Il decreto ‘Io resto a casa’ estendeva a tutto il Paese le restrizioni adottate in Lombardia e 14 province. Due giorni dopo sarebbe toccato al Ticino
Tutti ricordano quella sera del 9 marzo 2020, quando il premier Giuseppe Conte annunciò che tutta l’Italia sarebbe diventata zona rossa, con il decreto del presidente del consiglio dei ministri che estendeva all’intero Paese le limitazioni agli spostamenti previsti inizialmente per la Lombardia e 14 province per contrastare il diffondersi del contagio da Coronavirus.
"La decisione giusta è restare a casa, il futuro nostro – le drammatiche parole pronunciate tre anni fa dall’allora premier italiano nella conferenza stampa a Palazzo Chigi – è nelle nostre mani. Ognuno deve fare la propria parte. Perciò le misure predisposte qualche giorno fa per il Nord varranno in tutto il territorio". Un provvedimento che Conte aveva chiamato "Io resto a casa" e che sancì l’inizio del lockdown, con divieto di assembramento in tutta Italia; spostamenti possibili solo per motivi di lavoro, necessità o salute; lo stop alle scuole e a tutte le manifestazioni sportive, campionato di calcio compreso. Una decisione che diventò immediatamente la breaking news sui giornali di tutto il mondo e che chiuse in casa 60 milioni di Italiani, con corollari come l’autocertificazione da portare sempre con sé per motivare gli spostamenti.
E poi una vita nuova, completamente diversa da quella di prima: le mascherine e i guanti – che all’inizio non era facile trovare – da indossare sempre, le code infinite ai supermercati per fare la spesa, la misurazione della temperatura, la ricerca di un tablet in più per la didattica a distanza dei figli, le canzoni dai balconi, all’inizio cantate in coro, con voce stentorea, poi sempre più sporadiche, come le lenzuola con scritto "Andrà tutto bene", quando la sensazione era che non andasse bene niente. Quel mantra, "restate a casa", ripetuto da ogni parte, mentre su social e tv era tutto un susseguirsi di bollettini e nuove misure per contenere il contagio. E poi le immagini che resteranno impresse negli occhi di tutti: papa Francesco che prega in una piazza San Pietro deserta, e poi tutte le altre piazze, tutte ugualmente svuotate di vita. E al tempo stesso, la natura che si riprendeva i suoi spazi: i delfini nei porti, gli scoiattoli, i ricci, le oche in città. E i silenzi, le città senz’auto e senza persone, nessun rumore se non le sirene delle ambulanze.
E la divisione tra gli ultras dell’"io resto a casa", sempre affacciati ai balconi o appostati alla finestra per segnalare qualsivoglia ipotetica violazione, e chi aveva bisogno di portare fuori il cane, aveva voglia di farsi una corsetta o di portare i figli a prendere un po’ d’aria. Fece notizia il runner intercettato da un drone e multato dopo un inseguimento sul bagnasciuga.
Poi il 4 maggio un primo allentamento delle misure e dal 18 il via alla Fase 2, con il graduale ritorno alla normalità e la possibilità di prendere di nuovo un caffè al bar, di fare una passeggiata, andare al ristorante, visitare gli amici e non solo i congiunti (vincolo imposto durante l’abbassamento delle misure), fare sport e andare a scuola. Il tutto grazie alla massiccia campagna vaccinale che intanto era partita in ogni parte del Paese iniziando proprio da chi era al fronte a combattere il contagio, infermieri e medici. Dai vaccini in poi fu un graduale ritorno al pre Covid grazie anche al "green pass", il certificato di avvenuta vaccinazione. Poi una nuova normalità.