Medio Oriente

Israele vuole sfondare ed entrare a Gaza

La Striscia senza cibo e luce. Hamas: per ogni attacco a civili uccidiamo un ostaggio. Scontri a nord con Hezbollah. Tel Aviv richiama 300mila riservisti

Israele va all’attacco
(Keystone)
10 ottobre 2023
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Israele stringe Gaza in un assedio totale, anche dal mare, e si prepara a entrare nella Striscia con l’aiuto dei 300mila riservisti richiamati nelle ultime 48 ore. Mentre anche al confine nord sale la tensione con gli Hezbollah, con il rischio che si apra un nuovo pericolosissimo fronte di guerra.

Al terzo giorno di conflitto si sono intensificati i raid sull’enclave palestinese, mentre non accenna a diminuire il lancio di razzi da Gaza verso le comunità israeliane a ridosso della Striscia ma anche verso il centro del Paese, compresa la grande area di Tel Aviv e quella di Gerusalemme.

Netanyahu all’attacco

A dare la prospettiva è stato lo stesso premier Benyamin Netanyahu in un colloquio con il presidente Usa Joe Biden: “Dobbiamo entrare a Gaza – lo ha avvisato –, dobbiamo andare dentro”. “Non possiamo trattare ora”, ha aggiunto il premier riferendosi ai circa 130 ostaggi portati via dalle fazioni palestinesi nell’assalto ai kibbutz di frontiera e alle strutture militari.

Anzi, ha incalzato Netanyahu forte degli aiuti promessi dagli Usa e dallo schieramento navale statunitense a largo di Libano e Siria, la risposta di Israele ad Hamas “cambierà il Medio Oriente”.

Negoziati difficili, Hamas apre

Sembrano dunque spazzate via dal tavolo le speranze su possibili colloqui tra le parti o ipotetici scambi di prigionieri. A confermarlo non è soltanto Israele ma anche la stessa Hamas: “Non è possibile alcun negoziato, finché sotto il fuoco di Israele. Lo afferma Abu Obaida, il portavoce delle brigate Qassam, braccio armato di Hamas. “Gli ostaggi sono a rischio, ma non negozieremo nulla se sotto la minaccia di una invasione o della battaglia. Cominceremo poi a giustiziare pubblicamente un civile israeliano in ostaggio per ogni bombardamento israeliano su abitazioni civili a Gaza senza preavviso”.


Keystone
Il massacro del mercato di Jabalya

L’annuncio di Hamas è arrivato proprio poco dopo che entrambi i fronti avevano chiuso in giornata le porte a una trattativa. In serata l’apertura è arrivata da Hamas, che ha parlato di possibile tregua avendo “raggiunto i suoi obiettivi”. Lo ha detto un alto esponente di Hamas, Moussa Abu Marzuk, alla rete televisiva Al Jazeera. Hamas è aperto a “tutti i dialoghi politici”, ha detto Abu Marzuk quando gli è stato chiesto se il gruppo è disposto a discutere un possibile cessate il fuoco.

Mentre la posizione di Israele è stata chiarita dal ministro della Difesa Yoav Gallant, che ha ordinato “l’assedio completo della Striscia: non ci sarà elettricità, nè cibo, nè benzina. Tutto sarà chiuso. Stiamo combattendo animali umani e – ha avvertito – ci comporteremo di conseguenza”.

Uno degli ostacoli all’ingresso delle truppe israeliane in territorio nemico era quello di alcuni villaggi di frontiera ancora in mano ai miliziani palestinesi. L’esercito l’ha rimosso: il portavoce militare ha spiegato che Israele ha ripreso il controllo di tutte le cittadine sul confine e che non ci sono più combattimenti in corso, anche se non ha escluso che "ci siano ancora terroristi nell'area".

Mobilitazione monstre

La mobilitazione in Israele ha raggiunto d’altra parte cifre che non si vedevano da decenni: nelle ultime 48 ore sono stati raggiunti 300’000 riservisti. Nessuno di loro - di fronte al pericolo per l’esistenza stessa dello Stato ebraico - si è rifiutato. Anche quelli – come i piloti – più contrari alla riforma giudiziaria del governo Netanyahu che ha spaccato il Paese per mesi. In questo senso molti indizi lasciano pensare che i contatti tra maggioranza e opposizione possano in tempi brevi portare a un governo di unità nazionale d’emergenza.

Oltre 1’500 vittime

Sul campo la situazione si sta incattivendo. Non si fermano i razzi dalla Striscia e gli attacchi dell’aviazione si moltiplicano. In Israele le vittime sono arrivate a oltre 900, con oltre 2’000 feriti, mentre a Gaza ci sono almeno 687 morti e almeno 3’726 feriti. I raid sulla Striscia, nel nord e nel sud, si sono intensificati con centinaia di attacchi a obiettivi non solo di Hamas ma anche della Jihad islamica: solo la notte scorsa sono stati 500. Alcuni si sono concentrati nell’area di Rimal, un sobborgo a nord di Gaza city, che secondo l’esercito è un hub da cui partono molti degli attacchi verso lo Stato ebraico.

L’attacco più cruento è avvenuto attorno alle 12 a Jabalya dove, secondo il ministero della Sanità palestinese, si sono avuti 50 morti nel mercato ortofrutticolo. Le famiglie che hanno ancora una casa restano chiuse dentro, alcune con i loro morti, senza esporre, come d’abitudine, le insegne a lutto. Le equipe mediche sono allo stremo: i feriti aspettano fuori dagli ospedali, stesi su lettini o anche sulle panchine in attesa di essere ammessi al pronto soccorso. Il ministero della Sanità ha lanciato un appello a chi ha conoscenze mediche di offrirsi volontario. Jabalya è già piena di migliaia di palestinesi che hanno lasciato le case di Beit Hanoun, nel nord della Striscia, per timore che da lì entrino i soldati di Israele. Tutti i valichi fuori dal territorio sono chiusi, ad eccezione di quello di Rafah, strettamente controllato dall’Egitto.


Keystone
Bombe su Gaza

In Israele, nelle ondate di razzi arrivati dall’enclave palestinese, ci sono stati feriti ad Abu Ghosh (sobborgo di Gerusalemme) e a Beitar Illit, tra cui un ragazzino di 10 anni. I missili sono arrivati a Sderot, Hadera, Wadi Ara e anche in altri kibbutz. Cresce nel frattempo l’arrivo in zone più sicure degli abitanti del sud e del nord di Israele: a Tel Aviv – le cui strade sono deserte – molti alberghi hanno esaurito le stanze.

Il destino dei rapiti

Intanto si rincorrono le indiscrezioni sul possibile ruolo dei Paesi arabi per riportare a casa le decine di uomini, donne e bambini caduti nelle mani dei jihadisti, crescono gli appelli disperati sui social e gli allarmi delle cancellerie di tutto il mondo. Perché gli ostaggi sono israeliani ma anche italiani (due), tedeschi, britannici, statunitensi, francesi, sudamericani, asiatici. Alcuni riconosciuti e identificati dagli scioccanti video dei rapimenti, virali sui social, altri ufficialmente indicati come dispersi oppure morti. Di loro infatti non se può ancora conoscere il destino con certezza.

Gli ostaggi comunque sarebbero almeno 130: cento nelle mani di Hamas, trenta tenuti prigionieri dalla jihad islamica, la loro vita appesa a un filo. Numeri divulgati dai miliziani, mentre dalle autorità ebraiche non sono state riportate cifre ufficiali.

Le mosse americane

Joe Biden nel frattempo sente gli alleati europei e assume la guida anche in questo secondo fronte di guerra. Il vertice in videocollegamento, cui si lavorava da domenica, è a cinque, con Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Rishi Sunak e Giorgia Meloni.

Ad annunciarlo, durante i loro colloqui bilaterali ad Amburgo, sono stati il presidente francese e il cancelliere tedesco, che hanno anticipato la linea di tutti: “Francia e Germania sono fermamente al fianco di Israele”, ha assicurato Scholz, ammonendo che “non bisogna permettere che il conflitto diventi una conflagrazione nella regione” e che qualcuno “alimenti ulteriormente il terrore in questa situazione”.


La moschea distrutta a Gaza

‘Cassis: ‘Liberare subito gli ostaggi’

Gli ostaggi in mano ad Hamas devono essere “immediatamente liberati”. Lo ha detto davanti ai media, in relazione all’attacco di Hamas in Israele, il consigliere federale Ignazio Cassis, secondo cui non ci sarebbero cittadini svizzeri presi dai miliziani, né vittime.

La Svizzera, ha ribadito Cassis, condanna fermamente questo attacco del tutto ingiustificato del gruppo islamista sul territorio israeliano.

Il ministro degli Esteri ha ribadito la solidarietà con Israele ed espresso, a nome della Svizzera, le condoglianze ai parenti delle persone rimaste uccise, “oltre mille in poco tempo”.

Evitare un conflitto regionale

Secondo il capo della diplomazia elvetica, quanto sta succedendo “non si vedeva da decenni”. Vista la situazione geopolitica, Cassis ha richiamato le parti al rispetto del diritto internazionale umanitario e alla protezione della popolazione civile – tra cui figurano 28mila cittadini svizzeri che vivono in Israele –, nonché alla prudenza, invitando i contendenti a non provocare una escalation del conflitto che potrebbe facilmente propagarsi in tutta la regione creando una destabilizzazione a livello globale.

A livello politico, ha detto Cassis, la Svizzera rimane federale alla soluzione dei due Stati, e farà ciò che è possibile al momento, nel solco della sua tradizione umanitaria per portare sollievo alla popolazione.

Vista il contesto fluido e in costante movimento, è stata istituita una Task Force in seno al suo Dipartimento per la gestione di questa crisi il cui compito sarà di monitorare costantemente la situazione, sostenere gli svizzeri in loco e provvedere al sostegno umanitario.

Pressioni sullo status di Hamas

Per quanto attiene alla crisi in corso, quest’ultima sarà un tema della riunione di mercoledì prossimo del Consiglio federale, in cui si discuterà anche di come definire Hamas (sempre più voci chiedono che venga definita una organizzazione terroristica, come il Plr, il partito di Cassis).

Cassis ha sostenuto che quanto accaduto equipara Hamas ad Al Qaida, un gruppo contro il quale sono stati adottati provvedimenti nel 2015. La Svizzera non ha i mezzi per definire certe organizzazioni come “terroriste”, ma ciò non significa, ha aggiunto il “ministro” degli esteri, che non si possano adottare misure contro il terrorismo e i terroristi.

Circa il sostegno elvetico ai palestinesi, Cassis ha fatto notare che la Svizzera finanza in loco trenta organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani o educazione. Al momento Berna non intende sospendere gli aiuti, né il sostegno all’Unrwa, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa dell’aiuto ai rifugiati palestinesi.

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