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‘Il rancore è sapientemente coltivato dalla propaganda di Putin’

Intervista alla giornalista Elena Kostjucenko, una voce dalla Russia: ‘Questo tipo di risentimento è un tassello chiave nella costruzione del fascismo’

(Keystone)
19 settembre 2023
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Cresciuta professionalmente fra le fila del periodico russo indipendente ‘Novaja Gazeta’ (la cui pubblicazione è stata sospesa a marzo 2022 a seguito delle forti pressioni ricevute dal governo russo) e sotto l’ala del caporedattore Dmitri Mouratov, insignito del Premio Nobel per la pace 2021, Elena Kostjucenko si è recata per i suoi reportage in luoghi della Russia dove sono stati in pochi.

Appena trentaquattrenne, la giovane Kostjucenko, ispirata da modelli quali Anna Politkovskaja (assassinata nel 2006 a Mosca) ed Elena Milashina (duramente picchiata lo scorso luglio mentre si trovava in Cecenia per lavoro) ha percorso chilometri e chilometri di un Paese sconfinato, da nord a sud, da est a ovest, raccontando una Russia che la sfavillante Mosca e il regime totalitario di Vladimir Putin preferiscono non vedere. Da questi reportage e da quelli sull’Ucraina, prima e dopo l’invasione russa, è stato tratto un libro: ‘La mia Russia. Storie da un Paese perduto’ (edizioni Einaudi). Si tratta di una raccolta di esperienze dure. La giovane giornalista ha avuto stomaco per scriverlo, ce ne vuole altrettanto per leggerlo, ma è quanto mai necessario per capire meglio, al di là di qualsiasi stereotipo presentatoci in questo tempo di guerra, qual è, e cos’è, soprattutto, la Russia contemporanea. Pagina dopo pagina diventa impossibile voltarsi dall’altra parte, si sente l’odore della miseria, il peso dell’incuria e della corruzione endemica, la responsabilità dell’agghiacciante realtà ecologica, la violenza, spesso, come unica soluzione ai problemi.

Elena Kostjucenko oggi vive in Germania, dove è riparata dopo essersi recata in Ucraina per ‘Novaja Gazeta’ a seguire il conflitto. Medici e polizia tedesca, in seguito a un profondo malessere fisico che l’ha colpita esattamente un anno fa mentre si trovava fra Monaco e Berlino, credono sia stata vittima di un avvelenamento.

L’abbiamo incontrata al Festival culturale Endorfine a Lugano, dove ha raccontato del suo lavoro e del suo libro. Giovane, di piccola statura, dall’aria fragile e dolcissima, si fatica a immaginare che questa ragazza pacata possa essere tanto invisa al regime. D’altro canto, è risaputo che parole e verità hanno il potere di corrodere lentamente, ma implacabilmente i sistemi totalitari. Ed è proprio partendo da una delle espressioni del totalitarismo, quale è stato il suo avvelenamento, a mo’ di avvertimento, che abbiamo deciso di cominciare la nostra chiacchierata.

Le autorità tedesche le hanno rimproverato di aver sottostimato il rischio di rappresaglie in Germania, sottolineando come le città europee brulichino di agenti dei servizi segreti russi e di come opponenti, attivisti e giornalisti indipendenti non possano sentirsi al sicuro solo per il fatto di trovarsi su suolo occidentale. È una presa di coscienza che l’ha spaventata? Secondo lei l’Occidente deve allarmarsi?

Credo che l’Occidente debba preoccuparsi in ogni caso, anche perché quanto è accaduto a me è già capitato in precedenza ad altri rifugiati politici russi che si trovavano in Paesi europei. Possiamo ricordare a questo proposito Aleksandr Litvinenko e Sergej Skripal, avvelenati, e Zelimkhan Khangoshvili, colpito da un cecchino in un parco di Berlino. Malauguratamente in due di questi casi la conseguenza diretta è stata la morte. Inoltre, tutti e tre si iscrivono perfettamente nella narrativa putiniana della punizione del traditore, siano essi ex agenti dell’Fsb (Servizio federale per la sicurezza della Federazione russa, ndr) o del Gru (Direzione generale per le informazioni militari: è il servizio situazioni operative delle Forze armate russe, ndr), come nel caso di Litvinenko e Skripal, oppure ex comandanti ceceni, come Khangoshvili. Oggi purtroppo il pericolo si estende su un perimetro più ampio e tocca anche attivisti, giornalisti e politici. Penso che l’Europa debba interrogarsi seriamente riguardo a una minaccia simile, poiché se sul suo territorio sono già presenti agenti dell’Fsb incaricati di uccidere delle persone, chi può sapere quale sarà il loro obiettivo domani?

Nel suo libro ‘La mia Russia. Storie da un Paese perduto’ leggiamo di una nazione allo sbando, corrotta, violenta, povera, totalitaria, senza valori morali, senza cura per l’ambiente. Come è stato possibile arrivare fino a questo punto? Oppure la Russia, e l’Unione Sovietica prima, sono comunque sempre state così?

Non sono certa di aver descritto nel mio libro una Russia priva di valori morali. Il mio Paese ha molte facce e certamente sono presenti la corruzione, la brutalità ed evidentissimi problemi morali, ma la stessa nazione è anche Anna Politkovskaja, le mamme di Beslan che non rinunciano a ricordare l’uccisione dei loro figli durante la strage, la gente che dice la verità e si batte per ciò che ritiene giusto. La Russia sono tante persone differenti, ma all’interno del governo, del regime, del fascismo cresciuto nel cuore del Paese non c’è modo, né spazio, per l’umanità, al contrario, quest’ultima viene punita. Non si può affermare che tutto ciò sia sempre esistito. La Russia ha continuato a cambiare in un processo risalente a molto prima del 24 febbraio 2022, ma che resta comunque diverso dal periodo stalinista oppure da quello della presidenza El’cin. Personalmente rifiuto la teoria “storica” per cui “è sempre stato così”, perché a mio parere non apporta nulla di concreto, non spiega niente. Quello che invece vorrei trasmettere ai lettori sono le precondizioni che hanno favorito l’emergenza del fascismo nel mio Paese, le premesse che ne hanno facilitato il lento ma costante sviluppo, passo dopo passo, fino alla guerra. Purtroppo, noi russi, abbiamo sempre avuto la convinzione che essendo sopravvissuti, durante la Seconda guerra mondiale, all’aggressione nazista combattendola, questo tipo di ideologia non avrebbe mai potuto crescere e insinuarsi nel nostro Paese. Non è stato così. Se vogliamo però legare quanto sta accadendo anche al passato sovietico è certamente importante non dimenticare il risentimento che ha accompagnato la dissoluzione dell’Urss. Come ben sappiamo il rancore è un tassello chiave nella costruzione del fascismo e in Russia viene sapientemente coltivato dalla propaganda di Putin.

Nelle interviste concesse a famosi giornalisti russi indipendenti, quali Katerina Gordeeva e Yuri Dud, lei ha ripetuto più volte che Vladimir Putin non ha stabilizzato il Paese dopo i tumulti degli anni Novanta. Al contrario, lei considera il presidente russo la perfetta incarnazione di quel periodo, un prodotto tipico della Russia di fine millennio. Perché la politica dell’uomo dalla mano forte continua a stregare il popolo russo?

È molto semplice, non abbiamo mai avuto un’alternativa. Purtroppo, in Russia, non è mai veramente esistito un lasso di tempo definibile come democratico. Ci abbiamo provato negli anni Novanta, ma non ha funzionato. La gestione del potere è passata quindi molto velocemente nelle mani degli oligarchi. In quegli anni bui, crimini e nefandezze sono stati perpetrati nei confronti della popolazione, la quale ha perso fiducia nelle istituzioni. Quando Putin è arrivato al potere, i cittadini russi si sono semplicemente accontentati che non fosse né anziano, né alcolista. Le aspettative erano molto basse. Inoltre, non bisogna dimenticare che la propaganda putiniana investe risorse illimitate al fine di apoliticizzare la maggioranza della popolazione. Le votazioni e le elezioni in Russia si sono trasformate in una specie di rituale in cui si pone una crocetta, ma la realtà è che elezioni libere nel mio Paese non esistono più da molto tempo.

Quando discuto con cittadini russi che tentano di giustificare la presa della Crimea e l’invasione dell’Ucraina, rimango sempre sorpresa di come queste azioni vengano considerate inevitabili, alle quali la Russia è stata spinta dall’Occidente, dall’America, dalla Nato. Il capro espiatorio sembra essere sempre esterno. Perché non esiste nella maggioranza dei cittadini la capacità di autoanalisi, guardando ai propri errori e al proprio passato, all’interno del Paese?

Si tratta di una concezione molto interessante. A livello emozionale, il fascismo offre alla popolazione una visione affascinante della realtà, nella quale il cittadino non è colpevole di nulla, anzi, si considera eccezionale. In questa percezione idilliaca sono comunque presenti dei nemici, interni ed esterni, che non permettono la piena realizzazione del sistema perfetto. Putin non ha nemmeno dovuto lavorare molto per concepirla. Infatti, i nemici esterni sono stati semplicemente riesumati dalla propaganda sovietica e presentati in chiave 2.0, mentre quelli interni sono stati etichettati seguendo l’air du temps, quindi la comunità Lgbt, i giornalisti indipendenti, le minoranze religiose. In queste date condizioni, in cui si presentano avversari su tutti i fronti, la guerra è più facile da architettare, poiché la popolazione, inevitabilmente, tende a stringersi attorno al leader. Quando invece il conflitto è già in corso diventa praticamente impossibile analizzare quanto accade all’interno del Paese, cercare le cause che hanno spinto alla guerra con i vicini, con i nostri amici più stretti. Sento dire spesso “ora non è il momento. Cominciamo a vincere, poi esamineremo la situazione”. Si tratta evidentemente di un grosso problema, dato che per approfondire cause e azioni sono necessarie calma e sicurezza, percezioni oggi inesistenti in Russia.

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