l’analisi

Contraccolpo di Stato, tutte le fragilità del potere russo

La marcia interrotta dagli uomini di Prigozhin ha mostrato un Paese spezzettato e una leadership indebolita. Ma oltre Putin non si scorge un futuro

Mosca, in fondo a destra
(Keystone)
3 luglio 2023
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Venerdì 23 giugno Yevgeny Prigozhin, capo della milizia privata russa Wagner, diffonde un video in cui accusa l’esercito di Stato di aver bombardato un campo dei suoi uomini, in Ucraina. Promette che non perdonerà. Poco più tardi, militi e mezzi della Wagner entrano in territorio russo. Avanzano senza ostacoli sino a Rostov sul Don e occupano la città.

Le reti di informazione russe reagiscono in ordine sparso. Il primo canale tv trasmette un notiziario straordinario alla 1.30 ora di Mosca (le 2.30 in Svizzera). La consueta annunciatrice senz’anima comunica che le informazioni diffuse da Prigozhin sono false. Elenca le dichiarazioni ufficiali sui fatti, senza commenti. Le due principali voci della propaganda politica, Margarita Simon’jan e Vladimir Solov’ëv, tacciono.


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A Rostov, in posa con i carri armati dei ribelli

Intanto, nelle immagini diffuse in internet da privati cittadini si vedono uomini della Wagner intorno agli edifici pubblici di Rostov. Prigozhin entra nel Comando militare sud: in un filmato parla con il viceministro della Difesa Junus-bek Yevkurov. Chiede di incontrare il ministro della Difesa, Sergej Šojgu, e il capo di Stato maggiore delle forze armate, Valery Gerasimov: “Finché non verranno qui, teniamo bloccata Rostov e andiamo a Mosca”, proclama. I server internet russi iniziano a oscurare ogni notizia sui fatti, salvo quelle dei canali ufficiali. I mezzi della Wagner cominciano a muovere verso nord, sull’autostrada Rostov-Voronezh-Mosca.

Pugnalata alla schiena

Alle 10 ora di Mosca il Cremlino diffonde un videomessaggio di Vladimir Putin. Il presidente paragona i fatti all’inizio della Rivoluzione d’ottobre, nel 1917, quando la rivolta interna alla Russia indebolì il Paese e causò la perdita di territori nel contesto della Prima guerra mondiale. Si appella ai militi di Prigozhin affinché non causino divisioni, ora che “la Russia combatte contro forze neonaziste (si riferisce agli ucraini e agli occidentali) che vogliono dividere il Paese”. Putin definisce gli eventi una “pugnalata alla schiena” della Russia.

A metà giornata di sabato, le stranezze si moltiplicano. La scena non sembra quella di un tentato golpe. Rostov resta controllata dalla milizia Wagner, Prigozhin rimane nel Comando militare sud. Non viene arrestato. In città la popolazione è calma, i passanti scattano selfie con i blindati della milizia Wagner. Ci sono poche auto, i cittadini passeggiano nei viali. Altri canali segnalano negozi svuotati e autobus affollati in partenza dalla città, ma non ci sono scene di panico.

Intanto, gli uomini della Wagner sono a qualche ora da Mosca. Abbattono diversi elicotteri e un aereo dell’esercito che tentano di fermarli. Falliti gli attacchi aerei, l’esercito comincia a scavare solchi trasversali sulle strade che portano a Mosca da sud.

La svolta

A un tratto, in serata, la svolta. Il presidente della Bielorussia, Aleksandr Lukashenko, media un accordo fra Putin e Prigozhin. Le truppe della Wagner si fermano e Prigozhin, rimasto a Rostov, esce dal Comando militare sud in automobile. La folla lo circonda, lo applaude acclamando – Wagner! Wagner! – e scatta selfie con lui.

Riemerge solo lunedì mattina, su Telegram. Spiega che non intendeva rovesciare il regime, ha agito per salvare la sua milizia dallo scioglimento imposto dal governo. Elenca i successi della Wagner al servizio della Russia e asserisce che i fatti di sabato rivelano i problemi di sicurezza esistenti nel Paese. Aggiunge che se le forze armate dello Stato avessero combattuto in Ucraina come hanno fatto i suoi uomini, la guerra sarebbe stata vinta in un giorno.

Le accuse all’Occidente

Vladimir Putin ricompare alle 22.10 di lunedì ora di Mosca. In un videomessaggio accusa l’Ucraina e l’Occidente di aver organizzato il tentato colpo di Stato e si congratula per la fiera resistenza offerta dalla cittadinanza contro la rivolta. Afferma di aver fatto ogni cosa per evitare spargimenti di sangue. Invita infine i soldati della milizia Wagner che desiderano continuare a combattere a unirsi all’esercito regolare russo. Gli altri possono ritornare dalle loro famiglie o andare in Bielorussia, dove, conferma anche Prigozhin, per la milizia Wagner si prepara un inquadramento giuridico adeguato.


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Maschere russe

Si conclude così la sequenza di fatti del tentato colpo di Stato. Restano molti interrogativi. Anche gli analisti russi non del tutto piegati alla propaganda, pronunciatisi in questi giorni, concordano su un punto: il regime di Putin esce da questa giornata indebolito in misura sostanziale.

Fossi in autostrada

Nessuno immaginava che una colonna di mezzi militari di un esercito privato potesse occupare una città di un milione di abitanti, percorrere quasi 800 chilometri, abbattere come mosche velivoli dell’esercito di Stato e giungere indisturbata alle porte di Mosca. Tutto ciò mentre all’esercito, per ostacolarla, non restava altro da fare che scavare fossi sulle strade, come un esercito medievale.

Queste circostanze fanno credere a taluni che la rivolta sia stata inscenata da Putin e Prigozhin stessi, per giustificare l’allontanamento del ministro della Difesa Šojgu o del capo di Stato maggiore Gerasimov. Altri ritengono che la mossa di Prigozhin abbia finalità economiche: tutelare il suo esercito privato dalla fusione con l’esercito di Stato.

Il tentato colpo di Stato, però, mette in gioco valori troppo grandi, per credere che sia motivato da scaramucce personali o dagli interessi economici di un imprenditore. Prigozhin è a capo di un enorme impero economico: non rischia la galera o l’avvelenamento per salvare la milizia Wagner, ha tanti altri giocattoli nella cesta. D’altra parte, Putin in queste ore sta togliendo tutte le commesse di Stato alle molte imprese di Prigozhin.

La propaganda inceppata

Un altro elemento che fa escludere che il tentato golpe sia una messinscena è il comportamento dei media e dei propagandisti russi. Se si conosce il modus operandi della comunicazione, in Russia, si capisce dai lunghi silenzi e dall’improvvisa aridità dei comunicati, che nella notte tra venerdì e sabato si è verificato un evento che la macchina informativa non era preparata a gestire.

Nel classificare l’accaduto è prudente attenersi ai fatti, in particolare a due. Il primo è che i soldati della milizia Wagner hanno occupato un’intera città e percorso quasi 800 chilometri verso la capitale russa, il tutto senza incontrare seria resistenza. Il secondo fatto sono le mosse dei due protagonisti, Putin e Prigozhin.

Se Prigozhin si è imbarcato in questa avventura è perché una parte dell’apparato dello Stato gli ha garantito una possibilità di successo. Se ne desume che all’interno del potere russo esiste una frattura profonda, a tal punto da permettere una rivolta di tali proporzioni. Nel pomeriggio di sabato, per qualche motivo il campo pro-Prigozhin ha cominciato a cedere e lui ha fatto retromarcia; il campo pro-Putin non ha osato dare la spallata finale, ha lasciato che Prigozhin ne uscisse con l’impunità.

Ciò che non sappiamo è dove corra esattamente la frattura fra i due campi. La sparizione dalla scena pubblica del generale Surovikin, già comandante delle operazioni in Ucraina, potrebbe essere un indizio della gravità del dissenso interno. Tuttavia, a una settimana dai fatti, non si sa dove si trovi il generale e se sia davvero agli arresti.

Bugie e altre bugie

Quanto alle dichiarazioni di Prigozhin e Putin dopo i fatti: Prigozhin afferma che non era sua intenzione sovvertire l’ordine dello Stato. Nella sostanza, però, se fosse riuscito a imporre a Putin un cambio ai vertici militari, avrebbe di fatto sottomesso a sé il governo e il presidente, compiendo un colpo di Stato.

Putin, da parte sua, afferma che lo Stato e la cittadinanza hanno opposto energica resistenza al tentato golpe. Anche Putin mente. Una parte di apparato dello Stato ha lasciato fare Prigozhin, come abbiamo visto. A Rostov, poi, i cittadini non erano affatto impressionati dalla presenza della milizia Wagner.


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Il passato, il presente, i gadget di Stato

Putin non ha scatenato una reazione drastica contro Prigozhin, perché non era certo che tutto l’esercito e tutta la popolazione fossero davvero contrari al tentativo di colpo di Stato. L’argomento secondo cui tutto si sarebbe fermato per evitare spargimenti di sangue non è credibile, conoscendo i precedenti di entrambi i protagonisti. In realtà, nessuno dei due aveva interesse a portare lo scontro all’estremo: Putin, per aver scoperto quanto debole è la sua presa sullo Stato; Prigozhin, perché sentiva sgretolarsi le garanzie di successo che aveva ricevuto dalla fazione a lui fedele.

Il garante

Quanto al presidente bielorusso Lukashenko, si può escludere sia intervenuto nella vicenda per mera filantropia. Ha antichi e stretti rapporti personali sia con Putin sia con Prigozhin. In questa vicenda assomiglia più a un garante dell’accordo fra i due, piuttosto che a un mediatore. Che sia servito il suo intervento, è un’ulteriore conferma di quanto sia profonda la frattura tra centri di potere, in Russia.

Per chi è abituato a seguire gli interventi di Putin, il nervosismo del presidente è palpabile, nelle apparizioni di questi giorni, insolitamente frequenti. Durante una visita in Dagestan si è abbandonato a un bagno di folla: non succedeva da prima della pandemia. Il tentativo di mostrarsi saldamente in sella è evidente.

E poi il vuoto

La guerra in Ucraina sembra ormai volgere al peggio, per la Russia. Salvo imprevisti, si concluderà in un orizzonte di medio termine con un disastro non solo militare, ma anche sociale e politico per la Russia. Ritengo che la battaglia tra Putin e Prigozhin sia il rendiconto tra gruppi di una stessa architettura di potere, in vista della spartizione di ciò che resterà della macchina statale russa, a guerra finita.

L’incognita più pesante, però, riguarda chi salirebbe alla guida dello Stato russo, se l’attuale dirigenza ne perdesse il controllo. Nel Paese non è maturata una classe dirigente che possa garantire una transizione, in caso di caduta del regime attuale.

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