Estero

Bambini decapitati dai jihadisti in Mozambico

Le testimonianze delle madri di ragazzini di anche soli 11 anni alla Ong Save the Children

(Keystone)
16 marzo 2021
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Ragazzini di 11-12 anni, praticamente dei bambini, eppure c'è chi taglia loro la testa: è il più recente orrore del conflitto terroristico di matrice jihadista, già ampiamente insanguinato da decapitazioni, che funesta la più settentrionale provincia del Mozambico. A denunciarlo è Save the Children, i cui operatori hanno raccolto raccapriccianti testimonianze di madri e familiari delle piccole vittime di Cabo Delgado. Nella provincia mozambicana "sono stati decapitati bambini anche di soli 11 anni", denuncia l'organizzazione internazionale che da oltre un secolo lotta per salvare i piccoli a rischio.

Una madre di 28 anni, una delle centinaia di migliaia di sfollati creati da oltre tre anni di attacchi di una formazione ispirata dall'Isis e di brutali repressioni perpetrate da mercenari, ha raccontato la decapitazione del figlio di 12 anni: "Quella notte il nostro villaggio è stato attaccato e le case sono state bruciate. Quando tutto è iniziato, ero a casa con i miei quattro figli. Abbiamo cercato di scappare nel bosco, ma hanno preso mio figlio maggiore e lo hanno decapitato. Non abbiamo potuto fare nulla perché saremmo stati uccisi anche noi". "Il nostro staff è scoppiato in lacrime nel sentire le storie di sofferenza raccontate dalle madri nei campi profughi", ha riferito Chance Briggs, direttore di Save the Children in Mozambico, gettando uno sguardo sull'abisso di disumanità rispecchiato dai quei racconti. Nella provincia dell'ex colonia portoghese nell'Africa orientale, dall'ottobre 2017 al mese scorso sono stati contati oltre 800 attacchi con più di 2.600 morti, di cui la metà civili, con un forte aumento negli ultimi 12 mesi.

Numeri in aumento

Un connotato delle violenze sono le decapitazioni, registrate a centinaia: già nel novembre scorso i media avevano riportato informazioni su una decapitazione di massa di oltre 50 persone in un campo di calcio. Altre decine fra teste tagliate e uccisioni a colpi di arma da fuoco erano state denunciate in un villaggio ad aprile. Il terrore, cominciato con un assalto a tre commissariati da parte di una trentina di uomini, ha causato quasi 670 mila sfollati (dato di fine 2020, anno in cui hanno preso la fuga poco meno di 580 mila persone). Il fenomeno è comunemente considerato parte dell'espansione dell'Isis in Africa, visto che i terroristi del nord-est del Mozambico hanno annunciato un'alleanza con lo Stato islamico nel giugno del 2019, anche se non è chiaro quanto sia stretta.

Pur senza legami con gli omonimi somali, il gruppo di jihadisti mozambicani formatosi nel 2015 è noto come Al-Shabaab ("i giovani", in arabo). L'obiettivo che viene loro attribuito è quello di imporre nella provincia a maggioranza musulmana una versione integralista della legge islamica, la sharia. I loro moventi però sarebbero anche rivendicazioni locali in un'area di profonda povertà ed endemica corruzione sebbene sia fra le più ricche di gas al mondo. Il tutto fra ipotesi di una loro convergenza con reti di trafficanti interessati a disarticolare i controlli statali: fra i territori conquistati dai jihadisti c'è pure lo strategico porto di Mocimboa da Praia, preso ad agosto. Le stime sull'entità numerica del gruppo, che gli Usa hanno ufficialmente dichiarato terrorista questo mese col nome originario di Al-Sunna wa Jama'a, variano da 800 a 2.000. Il governo di Maputo, frenato da divisioni tra esercito e la potente polizia, si è rivolto a mercenari stranieri: prima a un centinaio di Wagner russi subito ritiratisi a causa di perdite, poi ai sudafricani del Dag (Dyck Advisory Group). Ai mercenari, secondo una recente accusa di Amnesty International, vengono ascritti arresti arbitrari e crimini di guerra come torture e uccisioni indiscriminate di civili, anche negli ospedali.