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San Diego, la città-videogioco che non vede più la realtà

Inizia dalla California il nostro lungo viaggio negli Stati Uniti che si concluderà con le elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre

Un messicano abbraccia il muro che divide San Diego e Tijuana
(Keystone)
11 marzo 2024
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San Diego è un videogioco, un’annoiata partita di Sim City tirata troppo per le lunghe da qualcuno con poca fantasia. L’ottava città più popolosa d’America – progettata con squadra e righello – ha una perfezione geometrica che le conferisce un’aria asettica, da non luogo post-qualcosa che ancora non è dato sapere. Chissà se diventerà mai un museo a cielo aperto del capitalismo così come certi vecchi quartieri della Germania Est, con i loro rigorosi ‘plattenbau’, sono ormai monumenti (tuttora abitati e quindi viventi e vissuti) di un’altra epoca che pareva intramontabile, quella comunista.

Dentro a questa città-videogioco sembra sia bastato schiacciare un tasto sul computer per aggiungere tutto (lo zoo, la base navale, il ponte panoramico, lo stadio di baseball, grattacieli su grattacieli su grattacieli). Poi ti giri, la giri, e non c’è niente. Se non le spiagge, lontane, spinte ai bordi della città, come a La Jolla, l’esclusiva zona nord le cui case sembrano tutte uscite da un catalogo di archistar e gli abitanti da un negozio di Prada.


Keystone
La città vista dal mare nel giorno dell’arrivo di una nave militare

La stessa distanza viene imposta al mare: quello nel centro cittadino, salvo piccole porzioni, resta interdetto al comune mortale (da aree militari, club privati, residenze esclusive). Nei punti in cui la metropoli mette una barriera e non ti permette di andare oltre, ci si sente un po’ come il protagonista di ‘The Truman Show’ quando vede al di là della scenografia e scopre il trucco, come un Pac-Man costretto a girare in eterno dentro uno schema predefinito.

Certo, l’atmosfera a San Diego è tutt’altro che apocalittica. È anzi rilassata, ma solo perché chi ci abita non ha scoperto nel frattempo di vivere in una finzione, ma ci è andata apposta per quello: l’ha voluta, cercata, o ci è cresciuta dentro, pensando che sia la normalità.

I caffè – rigorosamente bio – strapieni, i giardini con le fontane per mitigare il caldo californiano, le catene di ristoranti e negozi che ormai hanno spolpato ogni metro quadro e l’idea di comunità locale sono solamente una carissima vetrina dove un espresso costa più che a Zurigo, una birra più che in Norvegia e una cena dozzinale quanto uno stellato in Europa.


Keystone
Tanto surf sulle spiagge a nord e a sud di Sam Diego

L’idea di San Diego è quella che meglio fotografa cosa vorrebbero essere gli Stati Uniti se solo potessero ignorare la realtà, chiudersi nella stanzetta e giocare al videogioco da soli. Ma la realtà, appunto, è un’altra, anche a livello politico: 4 degli ultimi 7 sindaci sono finiti nei guai, chi per scandali sessuali, chi per frode. Il penultimo, il repubblicano Kevin Faulconer, ha strapagato il palazzo della nuova City Hall, che si è scoperta poi inabitabile per via dell’amianto, riaprendo nuovi dibattiti su sprechi, incompetenza e affari sporchi con le agenzie immobiliari.

Il vero choc culturale è a soli 45 minuti di tram direzione sud: si chiama Tijuana, che non è solo Messico, è un concentrato di frontiera vecchio stile e gioioso imbarbarimento che solo l’America Latina può offrirti. Lì gli Stati Uniti hanno innalzato un muro che arriva sino al mare, a dire chiaramente che i poveri devono stare di là, mentre i dollari, come la droga, possono fare avanti e indietro impunemente.


R. Scarcella
La porta d’ingresso del Messico da San Diego

Saluti da Tijuana

Guardare il muro dal lato di Tijuana, con croci, nomi (rigorosamente latini) di chi non c’è più, appelli alla pace e a un mondo più giusto, ti ricorda che tra cowboy e indiani si è tifato sempre troppo poco quest’ultimi, e anche che per ogni San Diego linda e disegnata a tavolino c’è una Tijuana caotica e impolverata, disegnata dal caso: nient’altro che il giardino sul retro dei ricchi dove tutto s’ammucchia per avere sempre il vialetto d’ingresso presentabile.

“Lasciateci vedere le nostre famiglie”, “Niente muri, solo abbracci”, “Siamo tutti migranti”, “Fate nuove amicizie, non nuove barriere”, “Muro della fratellanza”, “Sotto lo stesso cielo”, sono solo alcune delle scritte sul lato messicano. Sulla pelle di quelle persone, e dei loro compatrioti dall’altra parte del muro, si sta svolgendo buona parte della campagna elettorale tra Biden e Trump, che sono andati proprio là sotto – dal lato senza scritte, quello ordinato e a stelle e strisce – a fare propaganda spicciola. Una posizione quasi naturale per Trump, e che Biden fa sempre più sua, a forza di leggere sondaggi in cui si trova a rincorrere il cowboy più cowboy di tutti.


R. Scarcella
“Lasciateci vedere le nostre famiglie”

Rientrare a San Diego dal Messico è istruttivo, perché tornano le sequenze matematico-urbanistiche, non tutte volute. Dentro il perimetro cittadino, nelle vie che incrociano Market Street – l’arteria principale – vedi delle tendopoli che si diradano man mano che ci si avvina al centro: all’inizio anche dieci- quindici tende di fila, poi sei, tre, infine una proprio là dove terminano i drugstore dove si parla spagnolo e iniziano i locali in franchising, dove spariscono i negozi a 99 cent e cominciano i supermercati con le guardie giurate, dove finiscono i parcheggi gratis e iniziano quelli da 5 e poi 10 dollari l’ora. In quelle strade, a poche centinaia di metri dal caos controllato del quartiere storico di Gaslamp e dei suoi cocktail-bar alla moda, vagano questi derelitti disfatti da vecchie e nuove droghe e da un sistema che appena finisci per un dollaro sotto la soglia di povertà ti fa cadere in un burrone.


Facebook/Hmls News
Tende di homeless a San Diego

‘Semper vigilans’

La popolazione di San Diego ha ormai sviluppato uno strano sesto senso: non è che li evitano, come fa il turista, sembra che non li vedano proprio più, che non esistano. Ai loro occhi sono fantasmi che si materializzano solo e sempre quando provano a varcare la soglia di un negozio, come se lì e solo lì ci fosse una luce speciale che ne rivelasse all’improvviso l’esistenza, in stile Ghostbusters: lì vengono allontanati, insultati, disprezzati, in alcuni casi compatiti. Dopo qualche metro non esistono di nuovo più. Possono stare male, contorcersi, urlare, chiedere denaro, lanciare oggetti, spaccare bottiglie, importunare il malcapitato di turno: niente. Sono semplice rumore di fondo di una città che ha deciso a tavolino di essere quel che è; sono intrusi, personaggi di un videogioco di zombie finiti ad abitare – per uno strano travaso di software, per un cortocircuito - dentro la fortezza di Sim City.

A tenerli a bada, un esercito di vigilantes, guardie private e angeli della strada a cui è totalmente delegato il motto cittadino, stampato anche sulla bandiera di San Diego, “Semper vigilans”: sempre vigili.


Un auto con l’adesivo Trump-Pence delle elezioni 2020

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