laR+ Economia

‘Nessun illecito delle autorità, ma carenze su più livelli’

È la conclusione a cui è giunta la Commissione parlamentare d’inchiesta incaricata di far luce sulla gestione federale del tracollo di Credit Suisse

(Keystone)
20 dicembre 2024
|

Un lavoro in 18 mesi, sfociato in un documento di 565 pagine. È quello presentato oggi della Commissione parlamentare d’inchiesta (Cpi) incaricata di far luce sulla gestione operata dalle autorità federali nel contesto della fusione d’urgenza di Credit Suisse con Ubs. Dal rapporto della Cpi, istituita l’8 giugno 2023 e presieduta dalla deputata friborghese agli Stati Isabelle Chassot (Il Centro), emerge che il tracollo di Credit Suisse è imputabile ai suoi vertici ma altresì che le autorità – pur essendo riuscite a impedire una crisi finanziaria globale nel marzo 2023 e pur non avendo commesso alcun illecito – hanno accumulato carenze su più livelli. In particolare viene valutata criticamente l’agire dell’Autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) per le agevolazioni concesse sui fondi propri a Credit Suisse e per una sorveglianza in parte inefficace, così come l’esitazione nell’ulteriore sviluppo della legislazione “too big to fail” (troppo grandi per fallire, Tbtf) e il flusso d’informazioni talvolta insufficiente tra le autorità, puntando in particolare il dito contro l’ex “ministro” delle finanze Ueli Maurer. “Una situazione da cui bisogna trarre degli insegnamenti”, la considera la Commisisone, che chiede una serie di miglioramenti formulando 20 raccomandazioni al governo e presentando quattro mozioni e un’iniziativa parlamentare. Le richieste sono soprattutto di una regolamentazione Tbtf orientata agli standard internazionali, disposizioni più efficaci per le banche di rilevanza sistemica e regole più chiare per la collaborazione tra autorità preposte alla stabilità finanziaria.

Una crisi autoinflitta dalla banca

La Commissione parlamentare d’inchiesta ha preso in esame un periodo che va dal 2015 fino al completamento della fusione d’urgenza con Ubs nel giugno 2023. Secondo la Cpi, sono stati la cattiva gestione da parte del Consiglio di amministrazione e della direzione di Credit Suisse e i vari scandali – tra cui favoreggiamento nell’evasione fiscale, riciclaggio di denaro e corruzione – che, insieme agli scarsi risultati commerciali e alle elevate remunerazioni variabili del top management, hanno portato a una perdita di fiducia nei mercati. Dall’estate del 2022, Credit Suisse si è trovava in una situazione sempre più precaria, fino a essere sull’orlo della liquidazione a metà marzo 2023. Insomma, si è trattata di una crisi “autoinflitta” dalla banca.

Dalle analisi della Cpi risulta pure che i vertici di Credit Suisse hanno mostrato una “riluttanza di fondo” nei confronti delle attività della Finma. Nonostante i numerosi interventi dell’Autorità di vigilanza e, in particolare, le varie procedure di enforcement, Credit Suisse non ha compiuto “alcun progresso sostenibile” per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni in materia. Anche nel tardo autunno del 2022, quando i problemi non potevano più essere ignorati, la direzione della banca ha resistito “talvolta con veemenza” alle istruzioni della Finma.

Attività limitatamente efficace della Finma

In merito a quest’ultima, la sua attività di vigilanza, per quanto assidua, è tuttavia risultata solo limitatamente efficace e su Credit Suisse si è abbattuto uno scandalo dopo l’altro. La Cpi deplora che la Finma non abbia revocato la garanzia di irreprensibilità alla banca e non comprende i motivi per cui, nel 2017, le abbia accordato ampie agevolazioni sui fondi propri sotto forma di un filtro prudenziale. Nonostante la legalità di tale filtro, la Cpi ne mette fondamentalmente in discussione l’adeguatezza: senza la sua applicazione, le prescrizioni prudenziali in materia di fondi propri non sarebbero state adempiute da Credit Suisse in modo lieve già dal 2021 e in modo netto dal 2022.

Governo e parlamento troppo accomodanti

La Commissione d’inchiesta critica inoltre lo sviluppo della legislazione “too big to fail”: al riguardo il Consiglio federale e il Parlamento sono stati troppo accomodanti nei confronti delle preoccupazioni degli istituti bancari durante l’implementazione degli standard internazionali. Il governo ha ripetutamente accordato a queste banche termini transitori più lunghi per gli ulteriori sviluppi legislativi oppure ha tardato a proporre l’adozione di standard internazionali.

Maurer ha tardato a informare

Quando i diversi indicatori della situazione economica di Credit Suisse sono notevolmente peggiorati, a partire da agosto 2022 le autorità hanno attivato i loro organi di coordinamento in caso di crisi e, in ottobre, sono passate alla modalità di crisi. La Cpi reputa che siano stati analizzati i principali scenari possibili. Deplora tuttavia che, in questa fase, non tutte le autorità coinvolte avessero lo stesso livello di informazione, il che potrebbe avere impedito di intervenire prima in modo deciso.

Le prime informazioni sommarie sono giunte al Consiglio federale nell’agosto 2022 e l’ex capo del Dipartimento federale delle finanze (Dff), Ueli Maurer, ha informato dettagliatamente il governo sulla situazione critica della banca solo all’inizio di novembre. Questa comunicazione “lascia molto a desiderare”, critica il Cpi. Per giunta il passaggio di testimone alla guida del dipartimento non è avvenuto senza intoppi: non c’è stato un vero e proprio trasferimento di consegne. Maurer e Karin Keller-Sutter si sono incontrati il 19 dicembre e la futura responsabile del Dff ha ricevuto solo brevi aggiornamenti orali sulla situazione di Credit Suisse.

Crisi globale impedita

A metà marzo 2023 le autorità non avevano ancora concluso i loro accertamenti sui diversi scenari. Tuttavia, grazie ai vasti lavori preliminari svolti dall’autunno 2022, sono state in grado di mantenere solvibile Credit Suisse dallo scoppio della crisi acuta mercoledì 15 marzo sino al fine settimana e di evitare così una crisi finanziaria internazionale. Una fusione con Ubs risultava la variante preferita da tutte le autorità coinvolte. Considerando l’esito incerto delle laboriose trattative tra Ubs e Credit Suisse, nei giorni di marzo le autorità hanno perseguito parallelamente diverse opzioni, più precisamente il risanamento, la nazionalizzazione temporanea e, quale ultima ratio, una fusione forzata. Non è chiaro quale soluzione sarebbe stata attuata nel caso in cui la fusione d’urgenza non fosse andata a buon fine. La Cpi riconosce il lavoro svolto nel marzo 2023 dalle autorità, che sono riuscite a impedire una crisi finanziaria globale, nondimeno reputa indispensabile trarre insegnamenti da quanto avvenuto, tanto più che è già la seconda volta che lo Stato deve intervenire per impedire la liquidazione di una banca di rilevanza sistemica. Il rapporto verrà esaminato dalle Camere federali nella sessione primaverile del 2025.

Critiche del Consiglio federale al rapporto

Affidandosi a una nota stampa, il Consiglio federale dice di aver preso atto del documento e rende noto di non condividere alcuni punti. Ritiene tra le altre cose infondata la critica secondo cui le disposizioni Tbtf non sarebbero state sufficientemente rafforzate e afferma di essersi sentito sufficientemente informato quando è stata negoziata la fusione d’emergenza. Critica infine la collaborazione con la Cpi e ritiene che il rapporto presenti fatti controversi o esempi estrapolati dal contesto che potrebbero portare a “conclusioni errate”.

Dal canto suo la Finma accoglie con favore la raccomandazione della Cpi di affidarle nuove competenze. “Noi stessi lo chiediamo da tempo”, afferma l’Autorità di vigilanza in una presa di posizione dopo la pubblicazione del documento. Allo stesso tempo accetta le critiche espresse dai commissari: “Continuiamo a rafforzare la nostra vigilanza e ad applicare le lezioni apprese dal caso Credit Suisse”.

L’esperto

‘Sorveglianza troppo burocratica e giuridica’

«Devo ancora affrontare in modo approfondito il documento, ma da una prima lettura sommaria risulta una base di discussione molto intelligente e ben fatta. E ciò che non era scontato data la complessità della materia». La premessa è di Carlo Lombardini, avvocato e professore di diritto bancario all’Università di Losanna, che abbiamo raggiunto per qualche considerazione sul rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta. I contenuti generali delle 565 pagine non sorprendono Lombardini, che amaramente considera: «Sono la conferma della totale sprovvedutezza dei vertici di Credit Suisse i quali nonostante numerosi segnali che il treno stava per deragliare sono stati colti di sorpresa». Quanto al ruolo della Finma, «posso capire le critiche mosse dalla Cpi, che sono in gran parte anche condivisibili, ma il grosso problema è costituito dal fatto che l’attività di sorveglianza bancaria, non solo nel nostro Paese ma dappertutto, è vittima di un’impostazione culturale troppo burocratica e giuridica», dice Lombardini. Secondo l’avvocato «la Finma sarebbe dovuta intervenire in modo più incisivo nei confronti dei dirigenti della banca ai quali gli azionisti hanno lasciato piena libertà di agire. Avrebbe ad esempio dovuto allontanare chi stava conducendo il treno fuori dai binari dritto verso lo schianto anziché continuare a fare richieste che non sono state ottemperate. Non sarebbe stata una prima, già nel 2008 la Commissione federale delle banche (Cfb) aveva chiesto la destituzione del presidente di Ubs Marcel Ospel». Per Lombardini ben venga che la Finma abbia più poteri come chiesto dalla Cpi, «ma bisogna anche fare attenzione a non rafforzarla troppo rispetto al ruolo del Consiglio di amministrazione delle banche, altrimenti il pericolo è che poi diventi lei la responsabile di quello che succede».

‘Ingenuo pensare che i guai si possano evitare’

Secondo la Cpi il Consiglio federale e il Parlamento sono stati troppo accomodanti nei confronti delle preoccupazioni degli istituti bancari durante l’implementazione degli standard internazionali nello sviluppo della regolamentazione “too big to fail”: non è forse questo un indizio che nel nostro sistema, caratterizzato da una piazza finanziaria preminente, le banche hanno piena libertà d’azione? «Non sono d’accordo. Il problema è che si tratta di temi molto tecnici e si torna alla questione che è necessario che il sorvegliante sia almeno abbastanza bravo quanto il sorvegliato». D’altra parte per il professore è un’illusione pensare che la regolamentazione possa essere una soluzione per tutto: «Le regole Tbtf le avevamo già, e potevamo applicarle al Credit Suisse, però si è arrivati alla conclusione che sarebbero state nefaste. Nel rapporto si dice che la nazionalizzazione, che per me sarebbe stata la giusta soluzione, avrebbe calmato i mercati e ristabilito la fiducia, eppure non la si è voluta adottare, e in questo il Consiglio federale ha mancato di coraggio», giudica il professore. «Restava un’attività sana fatta di Credit Suisse che si poteva e si doveva salvare, ma purtroppo non è andata così e si è distrutta ricchezza con una grande perdita per l’economia elvetica». Stilando una classifica, per Lombardini «sono sì tutti un po’ colpevoli, ma a diversi livelli di gravità. I primi responsabili sono il Cda e la direzione generale di Credit Suisse, a seguire gli azionisti, poi la Finama e il governo per aver lasciato “couler la banque”».

Cosa bisogna fare affinché una situazione simile non si ripeta, per giunta all’unica banca di rilevanza sistemica globale ora rimasta in Svizzera a cui nessun’altra potrebbe andare in soccorso? Per Lombardini i margini d’azione politici sono limitati: «Bisogna essere consci che l’attività bancaria è di per sé rischiosa e che è molto difficile farla bene. Di qualunque tipo siano le misure, i guai potranno sempre verificarsi ed è ingenuo credere che si potranno “tout court” evitare. C’è solo da sperare che non affondino il Paese, stando attenti ai segnali, e soprattutto assicurandosi di avere delle persone competenti e realistiche ai vertici bancari».