La recensione

Cammariere non si spiega (Locarno, cronaca di un successo)

I ‘Bravo!’ del Teatro di Locarno sul secondo pezzo sono cosa da fine concerto. In pochi si possono permettere la forma piano solo: Sergio è tra quelli

Sergio Cammariere, sabato primo febbraio a Locarno
(Ti-Press)
3 febbraio 2025
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«Sì, che bellissima risposta. Mi sono emozionato anch’io, forse perché quando è il cuore a parlare, accadono le cose». Al Teatro di Locarno il camerino è giusto dietro il palcoscenico, mondi dirimpettai come la vita e lo spettacolo dai quali Sergio Cammariere, sabato sera, è andato e tornato più volte. Era il Piano solo Tour, venuto a lenire i nostri apparati uditivi bombardati da algoritmi di compressione audio e da una generale gara a chi alza di più la voce, materia per psicanalisti e, non di meno, per logopedisti.

Sono in pochi a potersi permettere questa formula, il piano e voce, pochi a riuscire a rendere la canzone, cristallizzata nell’incisione su disco o su qualsiasi altro supporto fisico, senza che manchi nulla. Vedi un uomo solo sul palco ma pare di aver sentito pure l’orchestra: è il talento del pianoman, termine forzatamente anglofono perché ‘pianouomo’ suona male e ‘Uomopiano’ sa di supereroi della Marvel.

Crocevia

Nel Kursaal delle grandi occasioni il pianista e cantante crotonese suona felice, e nello stesso stato d’animo lo ascolta il pubblico. A partire dal ‘Tema di Malerba’, dal disco strumentale ‘Piano’ (2017), una cosa assai cinematografica che odora di Bill Evans. Subito arriva ‘Sorella mia’, capace di prendersi un applauso lunghissimo e quei ‘Bravo!’ che di norma arrivano a fine esibizione, o dalla metà in poi. È idealmente da qui, dal primo album di successo ‘Dalla pace del mare lontano’ – dal quale ‘Sorella mia’ è tratta – che parte il concerto, e mai troppo lontano è il 2001 di quel disco che tornerà lungo la serata.

Cammariere omaggia immediatamente il paroliere Roberto Kunstler, che puntella la sua carriera ancor prima di quell’album, regalando ‘La canzone dell’impossibile’ da ‘Sul sentiero’ (2004) e ‘Non mi lasciare qui’ da ‘Il pane, il vino e la visione’ (2006). Presto arriva anche ‘L’amore non si spiega’, uno di quei crocevia in mezzo ai quali si possono ritrovare tradizioni musicali diverse, ma altamente compatibili: è il Sanremo del 2008, quello in cui Sergio – che dal palco dell’Ariston era decollato cinque anni prima con ‘Tutto quello che un uomo’ – trova finalmente una nuova canzone che piace a Baudo e dunque torna a cantare in Riviera. Nella serata dei duetti si presenta con la regina della musica brasiliana Gal Costa (1945-2022): “Potremmo fare un concerto intero, ma non si può per motivi di regolarità del concorso”, dice Pippo introducendo la canzone, non riuscendo però a fermare un cospicuo accenno a ‘O amor’. Sul palco con lo storico trio di Cammeriere quella sera c’era la tromba di Fabrizio Bosso, mentre a Locarno c’è il sax soprano di Daniele Tittarelli, che non fa rimpiangere l’intensità di quel duetto. Tittarelli resta su ‘Per ricordarmi di te’ e sulla splendida ‘Via da questo mare’, di nuovo il disco d’esordio; a tempo di valzer tornano, dal 2006, ‘E mi troverai’ (“Ho messo le parole ad asciugare al sole”) e dal vicino 2024 ‘Valzer di chimere’ (“L’oscurità in tre quarti”), dall’ultimo album ‘Una sola giornata’.

Dal cielo

Tra i momenti d’oro di Locarno c’è l’autodefinita preghiera laica ‘Padre della notte’, cantata nel 2003 ancora in forma inedita nella Sala Nervi del Vaticano davanti al Papa. E c’è un ricordo datato 1997: «Fu il mio debutto al Teatro Ariston di Sanremo, al Premio Tenco. Quella sera cantai cinque canzoni, la prima s’intitolava ‘Tempo perduto’». Di quel brano in cinque quarti, medicina jazzistica contro il logorio dei quattro quarti moderni, Sergio spiega la struttura a modo suo («One, two, three, four, five»), dimenticandosi di dire quanto sia difficile cantare e suonare un cinque quarti. Grazie anche al gusto solistico di Tittarelli, l’ovazione pubblica post-frenesia di ‘Tempo perduto’ porta all’autoironico swing di ‘Cantautore piccolino’, storia di chi “confrontato a Paoli Gino” non soffre più da tempo di timori reverenziali.

È il momento per la canzone “forse arrivata dal cielo” (cfr. laRegione del 9 dicembre scorso), ‘Tutto quello che un uomo’, perfetta per lasciare il palco e poi tornare, ringraziare e cantare «un brano che ho nel cuore da sempre, una canzone sulla pace»: conclusa ‘Dalla pace del mare lontano’, manca solo ‘Vita d’artista’, ritratto universale di chi campa di musica, con tutti gli annessi e a volte poco agevoli connessi.

Homo musicalis

Dopo un’ora e mezza volata via come i film della vita, con la sazietà di avere ascoltato tutto e anche di più da uno chansonnier che non ha risparmiato pregevoli momenti solistici, solo a mente fredda ci si chiede come sarebbero suonate, in solitaria, ‘Ferragosto’, ‘L’assetto dell’airone’, ‘Nuova Italia’, ‘Libero nell’aria’ e altre perle dall’album ‘Sul sentiero’, ma altra soluzione non ci sarebbe stata se non quella di legare il pianista al seggiolino e obbligarlo con la forza a suonare per un altro paio d’ore. Sempre a mente fredda, forse c’è un solo posto nel quale cercare il perché della ricchezza di Sergio Cammariere ed è nel libro ‘Libero nell’aria’, storia di un ‘posseduto’ dalla musica la cui autobiografia è anch’essa musica. In realtà, proprio come l’amore che canta, Cammariere non si spiega, si ascolta, tanto bravo che gli faresti autografare l’auto nuova, uno che ancora sul palco si emoziona come un bambino, come il Sergino che cercava la nota corrispondente al canto degli uccelli. Sergino diventato Sergio, uno che visto la settimana prima del Festival verrebbe da chiudersi in casa coi suoi dischi e uscire solo quando tutto sarà finito.


Ti-Press
Il ‘grazie’ è reciproco

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