laR+ L’intervista

‘Puoi stare tranquillo, io sono la tua fan numero uno’

‘Misery’, uno dei capolavori di Stephen King, al Teatro Sociale il 5 e 6 dicembre. È un viaggio nei meandri della mente umana: parlano i protagonisti

Da sinistra, Arianna Scommegna (Annie Wilkes) e Aldo Ottobrino (Paul Sheldon)
1 dicembre 2023
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La storia dell’inquietante Annie Wilkes che salva da un incidente d’auto lo scrittore Paul Sheldon, di cui è patologicamente fan, e lo sottopone a ogni tipo di vessazione purché egli mantenga in vita il di lei personaggio preferito, è vicenda nota ai molti. Per gli infatuati del re del brivido Stephen King, per chi ha amato il romanzo del 1987 o preferito l’omonimo film di Rob Reiner del 1990 (Oscar alla carnefice, Kathy Bates), il teatro ne offre una versione ugualmente claustrofobica grazie a William Goldman, autore della trasposizione. Al Sociale di Bellinzona i prossimi 5 e 6 dicembre, alle 20.45, Filippo Dini ne dirige la versione italiana, con il Premio Ubu Arianna Scommegna nei panni di Annie.

In quest’opera sul potere della narrazione, al tempo stesso immersione nei meandri della mente umana, Scommegna, tra i nomi più importanti del teatro italiano, si cala nel personaggio con capacità d’introspezione ereditata dal padre cantante (Michele Nicola Scommegna, in arte Nicola Di Bari). «Un cantautore veicola sé stesso mettendo in gioco la propria anima, il proprio cuore», ci racconta l’attrice. «Mio padre attinge dalle viscere tutto sé stesso e lo dona alla platea. A me ha donato questo modo di relazionarmi con il pubblico. Più sei vicino a qualcosa di autentico, meno sei generico e chi ti ascolta sente di essere chiamato in causa». Con Arianna Scommegna (AS), il nostro incontro include anche Aldo Ottobrino (AO), a teatro nei panni di Sheldon, e Carlo Orlando (CO), in quelli dello sceriffo McCain.

Non ci sono fantasmi o creature di altri mondi in ‘Misery’, nemmeno a teatro. In Stephen King, l’orrore applicato all’umano fa più paura di clown e macchine infernali...

AS – Anche io amo molto Stephen King senza fantasmi, lo preferisco quando indaga la natura umana più profonda, con l’horror punta dell’iceberg di questa sua analisi. ‘Misery’, in questo senso, è uno dei miei romanzi preferiti perché l’autore si concentra sull’animo di chi compie l’atto creativo, identificandosi con il personaggio di Paul Sheldon e vedendo nella figura di Annie lo sprone di quella creatività. Annie, per come la intendo io, è la spinta che l’uomo ha dentro di sé, che a volte lo tortura e quasi diventa ossessione; l’atto creativo, d’altra parte, è al tempo stesso azione gioiosa e dolorosa, in quanto parto. Annie, ancora, è quella figura che ci sta di fianco in ognuno di quegli atti, e che a volte ci deve, idealmente, spaccare le gambe per farci restare chiusi in camera a scrivere.

CO – Stephen King l’ho conosciuto e letto moltissimo in giovane età. Ho amato i grandi classici, da ‘It’ a ‘L’ombra dello scorpione’, ‘Christine la macchina infernale’, ‘Carrie’ e anche ‘Misery’. Di questo spettacolo sono stato anche aiutoregista ed è stata una grande soddisfazione portare questa storia a teatro. Caratteristica di King in molti dei romanzi dei suoi primi 25 anni di carriera, e ‘Misery’ ne fa parte, è la sua letteratura a più strati, sempre oltre il semplice intrattenimento. In quelle prime storie si ha la netta sensazione di avere a che fare con i grandi miti, anche se non esattamente in primo piano. La cosa bella di questo spettacolo e di tutte le storie congegnate in questo modo è il sistema di segni stratificato: c’è la trama di un thriller psicologico, magistralmente consegnata, che fa rivivere i colpi di scena anche a chi già li conosce, ma c’è anche un viaggio dentro la vocazione, nel rapporto tra l’artista e la musa che diventa demone della creazione, pronta a dare tutta sé stessa, ma a un prezzo altissimo.

Mr. Sheldon: com’è farsi maltrattare in scena?

AO – Meglio sarebbe ‘torturare’. Forse ne dovrei parlare con l’analista, ma come attore è molto bello (ride, ndr), è un viaggio che va al di là della storia di una fan che sequestra un autore di libri, per includere un bellissimo discorso sull’arte, sull’amore e sul talento. Sono felice di essere torturato per più di due ore.

Guardando alla pura dinamica persecutoria, il rapporto fan-idolo è così da sempre. Sorprende, però, come Annie, nome declinabile al maschile, paia un prodotto dei nostri giorni...

AO – È stato così con i primi divi del cinema, con gli isterismi per i Beatles. Nel caso specifico di Annie Wilkes, lei dice molto chiaramente che i libri di Paul Sheldon le hanno salvato la vita. Spesso, chi ha una vita concretamente infelice può trasportare l’infelicità sul divo di turno, la cui esistenza fittizia diventa l’unica vivibile, un oppio che permette di sopravvivere, con tutte le sue pericolosissime storture. Il teatro ha una modalità di culto diversa, a noi l’eccesso può capitare con la popolarità data dalle fiction, che fanno pensare a molte persone che tu sia ‘quella cosa lì’, attribuendoti la fascinazione del personaggio e pregi e difetti che non hai, aprendo al voyeurismo.

AS – Sì, poetica a parte, è quel tipo di vicinanza di chi individua nel personaggio famoso un completamento che diventa ossessione e vorrebbe cibarsi di lui, dilaniarlo, farlo proprio, raggiungendo quella realizzazione di sé che non si è riusciti a compiere. La frustrazione produce rabbia e odio, penso a Lennon, ucciso dal suo stesso fan.

Dal punto di vista attoriale: come si porta in scena la violenza? Come la si rende credibile?

AS – Bisogna avere grande sintonia e fiducia nei colleghi di lavoro. Di fronte alla violenza è necessario lavorare sull’opposto, sulla solidarietà, sull’ascolto, sulla capacità di essere uniti e non farsi del male. La particolare sintonia con Aldo ci permette di arrivare fino al limite del fare male, e questo avviene solo per la grande fiducia reciproca. E poi c’è un lavoro sul corpo, che ha bisogno di essere coinvolto in pieno: Annie deve essere riconoscibile, convincente e anche allenata, dovendo sollevare un altro corpo. Di questa credibilità, il pubblico sente la necessità. ‘Misery’ non potrebbe essere solo un teatro di parola.

AO – Ci sono cose che non essendo mai state vissute, nemmeno si possono immaginare fino in fondo. Ecco allora che si va a ripercorrere memorie di cose viste. Mi piace affrontare il personaggio di Paul Sheldon nelle sue fragilità, nei punti oscuri e non in quelli già rivelati dalla scrittura. Mi piace tanto pensare che il suo dolore più grande risieda in episodi meno violenti, come vedersi il romanzo andare a fuoco, gesto di una violenza ancora maggiore di quella fisica.

Questa sera

Marie-Caroline Hominal, la solitudine dell’artista

Aspettando ‘Misery’, va in scena questa sera ‘Sugar Dance’, lavoro della danzatrice e coreografa ginevrina Marie-Caroline Hominal, artista associata del Teatro Sociale Bellinzona. Sul palco, una troupe composta da archetipi delle arti performative, dal clown alla drag queen: mettendo in luce lo scarto fra il tempo delle prove e quello della performance, giocando con i contrasti estetici e con tutti i momenti tipici del mondo dello spettacolo, Hominal mostra la solitudine dell’artista, in un mescolare di generi che fa di tutto una ‘tragicommedia’.

Biglietti all’InfoPoint Bellinzona (Piazza Collegiata 12, tel. 091 825 48 18), su www.ticketcorner.ch e relativi punti vendita.

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