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One Mic One World, il mondo in un microfono (feat. Paola Zukar)

Domenica 26 marzo al Lux di Massagno, tra musica e dibattito con la cultura hip hop al centro. Parlano gli organizzatori e la signora del rap italiano.

Paola Zukar
25 marzo 2023
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È stato annunciato, ne abbiamo scritto, torniamo a farlo con i protagonisti, che sono molti e importanti. Si chiama ‘One Mic One World’ (sottotitolo ‘Come il rap unisce le culture e le generazioni’), si tiene domani alla Lux Art House di Massagno dalle 14 fino alle 19 (minuto più minuto meno, beat più beat meno) ed è l’evento voluto da L’Ora, associazione senza finalità di lucro che (testualmente) promuove il benessere comunitario e la diffusione di una cultura basata sull’integrazione sociale.

L’integrazione passa anche dalla cultura hip hop, e da tutto quanto accadrà di musicale e non a Massagno, garantiscono organizzatori e ospiti. Tra i nomi di rilievo, la donna di riferimento del rap in Italia, Paola Zukar, e Claudio ‘Sid’ Brignole, con lei in Aelle (poi AL Magazine), per dieci anni la rivista italiana dell’hip hop, che nel 2001 chiuse i battenti “perché a un certo punto c’erano più rapper che pubblico” (disse un giorno Zukar, viva l’editoria).

D’integrazione iniziamo a parlare con Lorenza Grassi e Ramona Sinigaglia, fondatrici de L’Ora.

Con la sintesi di un freestyler, ci spiegate cos’è, come e perché nasce?

L’Ora nasce dal sogno e dalla volontà delle sue fondatrici di offrire al territorio sociale ticinese dei progetti che dessero voce alla Comunità, giovani, adulti e famiglie, rendendoli attori principali delle loro vite. E così, dopo il sogno, arrivano due realtà rivolte a sostenere e accompagnare da un lato i giovani nel loro percorso personale e professionale, il progetto ‘Spazio Esplorativo’, e dall’altro le famiglie che attraversano momenti di difficoltà, il progetto ‘Una famiglia per una famiglia’. L’Ora è sostenuta finanziariamente con contributi federali, cantonali e comunali.

Qual è il grado d’integrazione sociale che vive questo Cantone?

Quando si parla d’integrazione il discorso è lungo, forse infinito! Crediamo fortemente nell’integrazione, ma per farlo, dal nostro punto di vista, non basta dare aiuti mirati ad alcune fasce della popolazione o a target specifici. Occorre iniziare a parlare d’inclusione e favorire progetti che fanno incontrare le persone, svizzere o straniere che siano, poiché tutte parti della stessa comunità. Il Cantone, in tal senso, gioca un ruolo fondamentale nel promuovere e sostenere iniziative sempre più allargate e inclusive.

‘One Mic One World’: perché avete scelto il rap per parlare d’integrazione?

‘One Mic One World’ è un progetto sostenuto dal Cantone, all’interno della settimana contro il razzismo promossa sul nostro territorio. Vuole quindi parlare d’integrazione, riuscita o mancata. Il rap nasce storicamente per dar voce alle fasce della popolazione più fragili e spesso dimenticate, perché la musica è un linguaggio universale, unisce oltre la distanza, oltre le differenze di provenienza, religione o cultura. ‘One Mic One World’ vuole offrire la possibilità di affrontare temi delicati come quello della discriminazione con un linguaggio leggero e diretto, che tocca giovani e meno giovani.

Cosa vi attendete da questo incontro?

L’evento nasce grazie all’integrazione tra le idee dei giovani di Spazio Esplorativo e il supporto tecnico degli operatori che accompagnano il loro percorso di crescita, questo a dimostrazione che ‘mondi’ diversi possono comunicare e dare vita a realtà e progetti comuni. L’evento è organizzato in modo da integrare momenti di dibattito tra ospiti e artisti, proiezione di filmati a tema, showcase di musica e breakdance. Ci aspettiamo partecipazione, divertimento e tanta creatività. Insomma, tanta leggerezza per parlare di tematiche serie e complesse.

Vi saranno altri incontri di questo tipo, in altri campi musicali o artistici?

‘One Mic One World’ è una prima assoluta di questo tipo per noi, vedremo come va domenica. Con questo evento non vogliamo tuttavia parlare solo di musica, vogliamo lanciare messaggi di unione e apertura. In questo senso, non ci fermeremo qui (per ulteriori informazioni: www.associazionelora.ch).


Una rappresentanza degli ospiti

Paola Zukar

‘Il rap è integrante per statuto’

‘Madrina del rap italiano’, ‘Signora del rap italiano’, “la donna che ha cambiato le regole del gioco” e altre definizioni, tutte applicabili e applicate a Paola Zukar. La manager di Fabri Fibra, Marracash, Clementino e Madame sarà protagonista del dibattito di ‘One World One Mic’, insieme al suddetto Sid, a Damir Ivic, storica firma del Mucchio, a Kaso, Johnny Marsiglia, Tommy Kuti, Dj Fede. Il mini show dal vivo includerà anche i ticinesi Mattak e Funky Nano.

Quando e come si è innamorata del rap?

Nel lontano 1984. In realtà mi sono innamorata dell’hip hop, una cultura vera e propria che affonda le radici in tanti elementi della cultura afroamericana. È capitato casualmente, andando a vedere un film che si chiama ‘Breakin’’, che pur essendo un teen movie aveva già ben rappresentate tutte le quattro discipline dell’hip hop, e cioè il writing, la breakdance, il rap e anche il Dj, in una scena fantastica con Ice T che cantava ‘Reckless’, il Dj che scratchava e la musica rap che colorava tutto il film. Poi in America ci sono andata, nell’87, nell’88, negli anni 90 per Aelle, con Sid, e l’abbiamo conosciuta più in profondità.

Quale importanza riveste oggi il rap nel panorama musicale e sociale, e quale importanza ricopre per lei, nello specifico?

Un ruolo importantissimo nella musica e quindi nella società, perché la musica ne è la colonna sonora. Naturalmente è una musica generazionale, che sta agendo su diverse generazioni, ma sempre riferita a quella più giovane. Il rap esisterà fino a quando la generazione più giovane l’accetterà come propria colonna sonora. È quello che accade ora, con sfaccettature ulteriori dell’hip hop come drill e trap, che sono di fatto rap. Lo vediamo anche nell’importanza che ragazzi e ragazze danno a questa musica. A livello di mercato è senz’altro un genere, se non ‘il’ genere più amato oggi.

Nel mio caso, il rap è tutto. Mi ha dato un’identità, una vita, un lavoro e un modo di essere. Pur non essendo afroamericana, averne preso gli stilemi mi ha aiutato a muovermi nella vita con i valori che sono propri dell’hip hop, come la libertà d’espressione, quel certo senso di ribellione, di autoaffermazione, tutti elementi che si ritrovano nella cultura hip hop e che ho fatto miei, adattandoli alla mia vita.

Il tema di ‘One Mic One World’ va oltre la musica: quanto, il rap, può dirsi unificante, integrante?

Il rap è inclusivo e integrante per natura, per definizione, per statuto. È la musica più inclusiva che esista, per quanto al suo interno ci siano competizione, scontri, a volte anche mortali come quello di Biggie con Tupac, avvenuto più che altro per il potere e per i soldi. Ma la cultura hip hop, che si deve comunque confrontare con l’industria discografica, è inclusiva anche quando utilizza un linguaggio brutale, anche quando è tacciata di misoginia. In realtà, non fa altro che produrre un’istantanea della società per tirar fuori tutti questi temi che poi, nell’espressione più libera del testo, vengono per forza analizzati e discussi. Questa musica crea sempre dibattiti e argomentazioni di vitale importanza, perché nascono dalla società per la società. Credo che la cultura hip hop abbia sempre portato avanti un discorso sociale se non, a volte, politico.

Un giorno ci siamo svegliati e il rap era in tutte le classifiche e in tutti i mercati. Forse il rap è l’unico genere che ha un mercato. Che cosa ci è sfuggito? E a proposito di misoginia, di dissing, ‘Parental Advisory’ e delle accuse di omofobia: anche qui, cos’è che non abbiamo capito?

A mio parere, chi non capisce il rap fa fatica a confrontarsi con i temi scottanti della vita, che permeano poi macrotemi come la censura, la propaganda e le trasformazioni repentine della società. È una musica che ti coinvolge a livello emotivo, che crea spaccature, che alle volte ti lascia perplesso e comunque ti fa riflettere. Esiste musica con una sola funzione, come quella pop, fatta solo per consolare; quando invece s’inserisce l’elemento ribellione, che non è solo del rap ma anche del punk, quando s’impone una spaccatura, quando ti fa chiedere se è giusto o sbagliato, allora il rap ha fatto il suo, allora il rap è davvero rap. E il rap deve essere anche fastidioso, deve avere almeno un elemento di controversia. È controverso anche quando non dice niente, dice sempre qualcosa anche quando non lo dice.

Perché il numero di rapper donne è inferiore a quello degli uomini?

Il numero di donne che fanno rap è inferiore come inferiore è il numero di donne rispetto a quello degli uomini protagonisti di qualcosa. È un retaggio culturale che da qualche decennio a questa parte viene smontato, ci vorrà del tempo. Ma le donne crescono a livello esponenziale, donne che danno il proprio punto di vista, che si raccontano in modo unico e la cui prospettiva è imprescindibile.

Oggi si rappa anche nei pezzi pop: il rap è diventato mainstream? Se sì, lei prova mai nostalgia per l’underground?

Sì, certo, il rap è diventato mainstream, lo dicono i numeri e non sempre essere mainstream è piacevole, non solo per il rap ma per qualsiasi altra controcultura che lo diventa, Nel momento in cui guadagni qualcosa, perdi qualcosa. Non sono una persona nostalgica, non mi manca l’underground perché lo posso ascoltare ogni volta che voglio. Al di là di qualche album mainstream, spesso mi ritrovo ad ascoltare dischi americani che fanno fatica a entrare in classifica. In Italia, ho la fortuna di lavorare con artisti che continuano a mantenere, per come lavorano, l’attitudine underground ma con risultati mainstream. Come dicono gli americani, ‘best of both worlds’, il meglio di entrambi i mondi.

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