la recensione

Silvio Orlando torna bambino a Parigi-Belleville

L’attore e regista ha portato lo spettacolo tratto dal romanzo di Émile Ajar sul palco del Teatro di Locarno, sabato 3 dicembre. In replica domenica 4.

In replica domenica 4 dicembre, alle 17
4 dicembre 2022
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Roman Kacew (1914-1980) nacque a Vilnius e giunse a Nizza all’età di 13 anni. Divenne avvocato, poi pilota d’aerei impegnato nella Resistenza durante la guerra, fu console di Francia a Los Angeles. Sposò l’attrice Jean Seberg e come lei finì suicida. Quando aveva ancora la vie devant soi divenne uno scrittore di successo cui piacevano gli pseudonimi. È l’unico scrittore che ha vinto per due volte il prestigioso Premio Goncourt: dapprima, come Romain Gary, con ‘Le radici del cielo’ e qualche anno dopo nei fantomatici panni di Émile Ajar* grazie a ‘La vita davanti a sé’. Da questo romanzo, Silvio Orlando ha tratto, diretto e interpretato lo spettacolo ‘La vita davanti a sé’, portandolo in scena nei giorni scorsi al Teatro di Locarno.

Siamo nella Parigi anni 70, nel quartiere operaio di Belleville, caro alla tribù Malaussène di Daniel Pennac e punto d’incontro tra culture diverse. Infatti vediamo Madame Rosa, ebrea sopravvissuta ad Auschwitz ed ex prostituta, prendersi cura degli indesiderati figli di alcune sue giovani colleghe, non importa di quale razza siano. Nemmeno Momò conosce le sue origini: "Non credevo di essere musulmano perché nessuno mi insultava a scuola". È un piccolo orfano che cerca disperatamente un affetto, visto che di sua madre si sono perse le tracce. Vive sulla strada e potrebbe finir vittima delle cattive compagnie, come quel drogato che decide di entrare in clinica, però solo dopo aver messo al sicuro una busta d’eroina per quando si sarà disintossicato: non si sa mai!

A salvarlo c’è la saggezza di Madame Rosa: sebbene ormai ultra novantenne, "95 kg uno più brutto dell’altro" (secondo l’arguto e tosto ragazzino) e con l’Alzheimer che fa capolino, la vecchia signora ben conosce le tragedie umane che cerca di evitare ai suoi protetti. Con loro vive al sesto piano di un palazzo un po’ fatiscente (lo scenografo Roberto Crea lo ha realizzato forse pensando all’Hangar Bicocca milanese), dove – due piani più sotto – abita un travestito senegalese ex campione di boxe nel suo Paese e dove troviamo pure un altro curioso soggetto che ha saputo vincere la fame. Difatti, commenta Momò, "adesso fa il mangiafuoco"!

Silvio Orlando, solo sul palco, si sdoppia e triplica per dar vita ai vari personaggi dello spettacolo, raccontando di drammi e tragedie con una leggerezza che probabilmente deve parecchio alla sua napoletanità. Passa dalla comicità al disincanto, dall’ira alla dolcezza con invidiabile nonchalance. E sorprende quando di punto in bianco ri/recita alcuni momenti già proposti pochi minuti prima – un inedito "tormentone"! –, arricchendo così la sua eccellente prova di atmosfere quasi surreali.

Un ruolo importante lo assume la musica dell’Ensemble dell’Orchestra Terra Madre, che apre lo spettacolo intonando ‘Padam Padam’ di Edith Piaf (nata in Rue Belleville 72) e, quando Madame Rosa sta per chiudere gli occhi, ci propone ‘Comment te dire adieu’ del ginevrino Quentin Mosimann in una versione arabeggiante. Finale molologico, dunque, con Silvio Orlando che saluta un pubblico entusiasta con le ultime parole del libro di Gary: un ecumenico quanto sempre necessario "Bisogna voler bene".

(* un critico letterario francese, evidentemente poco attendibile, scrisse nello stesso articolo che "Romain Gary sembra un semianalfabeta di fronte al talento di Émile Ajar"!)

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