Contestazione

La legale di Fibra a ‘Io l’8’: ‘Rimuovete o chiedo i danni’

È la richiesta dell’avvocata del rapper al collettivo in seguito alla lettera aperta indirizzata a Città di Lugano e Lac. Le femministe: ‘È paradossale’

Silenzio
(Ti-Press)
25 luglio 2022
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«Ma quanto è femminista chiedere alle donne di tacere?».

Intro

Amareggiate forse non è l’aggettivo più azzeccato per descrivere lo stato d’animo delle militanti del collettivo Io l’8 ogni giorno. Diciamo che è più un eufemismo, che poco c’azzecca con la reazione delle femministe alla «richiesta intimidatoria dell’avvocata di Fabri Fibra (al secolo Fabrizio Tarducci; ndr) che in una lettera ci ha chiesto di rimuovere dal nostro sito e dalle pagine sociali tutti i contenuti inerenti alla lettera aperta indirizzata al Municipio di Lugano e alla direzione del Lac», dello scorso 12 giugno, in cui si chiedeva l’annullamento della tappa ticinese di Caos Live - Festival 2022 del rapper marchigiano, svoltosi regolarmente in piazza Luini il 6 luglio scorso. A detta dell’avvocata «il nostro scritto – riferiscono le militanti – avrebbe "violato l’onore e la reputazione personale del signor Fabrizio Tarducci, nonché la sua reputazione artistica e professionale"». Se non lo fanno?, l’avvocata – aggiungono le nostre interlocutrici – si vedrà costretta «"ad agire immediatamente in giudizio a tutela dei diritti del suo assistito per il risarcimento dei danni". Siamo in un mondo al contrario: rischiamo una denuncia per diffamazione», sottolineano allibite.

Analessi

Le motivazioni della richiesta d’annullamento del concerto sono arcinote, ne abbiamo scritto diffusamente nelle scorse settimane abbordando la questione sollevata dal collettivo circa l’opportunità di destinare un palco illustre come quello di piazza Luini, antistante il Lac (che vive anche di soldi pubblici), a un rapper controverso, per giunta già condannato in passato dal Tribunale di Milano per diffamazione aggravata. Ma non solo.

Però per chi se le fosse perse – perché ero vacanza, perché non mi è arrivato il giornale, perché non ci capisco niente di tecnologia, perché leggo femminista e mi sale il coccolone –, basti sapere che dopo una lunga discussione al loro interno le militanti hanno inviato una lettera aperta chiedendo a Municipio di Lugano e direzione del Lac di annullare il concerto di Fabri Fibra, perché – e citiamo nuovamente – "da vent’anni costruisce la propria fama e profittabilità commerciale inneggiando pubblicamente all’odio e alla violenza contro le donne e le persone Lgbtqi+". A loro parere, dare la possibilità al rapper di esibirsi su quella piazza portava con sé il rischio di legittimare i messaggi veicolati dalla sua musica, che perseguirebbe il solo scopo commerciale, senza alcuna tematizzazione critica dei contenuti. In particolare, il collettivo si era soffermato su alcuni testi di una decina di anni fa in cui il Tarducci non ci è andato proprio leggero ("se non me la dai te la strappo come Pacciani", "Giro in casa con in mano questo uncino/ ti ci strappo le ovaie e che cazzo me le cucino!", "Puttana vieni fuori che ti stupro").

L’intento della loro azione era provocare una reazione nella società e nell’opinione pubblica, affinché si discutesse della questione affrontando altresì il tema della ‘cultura dello stupro’ (ovvero il pensiero che tende a "giustificare e normalizzare la violenza sessuale nei confronti delle donne"), trattato in un secondo comunicato stampa, conseguente la presa di posizione delle autorità cittadine che hanno confermato lo svolgimento del concerto, nonostante "in passato Fabri Fibra si sia espresso decisamente oltre i limiti" (cfr. laRegione, 15 giugno 2022, p. 25; intervista al vicesindaco di Lugano Roberto Badaracco). A modo di vedere delle militanti era ed è doverosa una riflessione sulla dilagante concezione sessista della società, per cui le diverse forme di violenza veicolata, in questo caso dalla musica, è figlia di un immaginario maschilista divenuto (nei secoli dei secoli) fatto normale, tanto che una parte dell’opinione pubblica non lo percepirebbe nemmeno più come disturbante, ingiusto.

Alla pubblicazione delle femministe, un coro di apologeti si è sollevato esprimendo il proprio disappunto (via social, in larga parte) sostenendo che il rap è per definizione un genere duro e schietto, fatto di provocazioni e di immagini forti che però non vanno intese alla lettera. Un genere considerato quindi incompreso, legittimato però dalla libertà artistica ed espressiva, che apparentemente ha discriminanti.

Imbavagliare le femministe

Torniamo al presente. Se c’è un’immagine fortemente antitetica è proprio quella che accosta una femminista a un bavaglio. «Prima tutti a difendere Fibra in nome della libertà d’espressione quando canta testi sessisti che inneggiano alla violenza sulle donne e poi è lo stesso Fibra che vuole impedire alle donne di parlare se criticano i suoi contenuti misogini, omofobi, violenti. Intimarci di stare zitte significa non capire nulla della gravità delle violenze sulle donne e rifiutarsi di riconoscere l’importanza di un serio dibattito di società su questo preoccupante fenomeno», sostengono le nostre interlocutrici tornando alla lettera della legale in cui, riportano ancora, viene tratteggiato «il ritratto di un rapper particolarmente attento e sensibile nei confronti dei diritti delle donne, negando quindi le critiche mossegli». Allora «perché – si interrogano – in tutti questi anni non ha mai trovato il tempo per scusarsi per alcuni suoi versi, prendendone chiaramente le distanze?».

Evocare la libertà d’espressione per sé da un lato, e chiedere la rimozione di una presa di posizione dall’altra è quantomeno paradossale. Una richiesta che dal punto di vista giuridico non avrebbe appigli: «Secondo la Corte europea dei diritti umani (Cedu), ci sono due ambiti particolari in cui non sono ammesse restrizioni, quello del dibattito politico e quello dei temi di interesse generale», ricordano le femministe, che non mancano di segnalare che la stessa Cedu «riconosce il ruolo di "sentinella" a organizzazioni, come il nostro collettivo, che si impegnano contro forme di discriminazione». Nel caso in questione, «abbiamo cercato di rendere attento il pubblico e gli organizzatori della gravità di testi che contribuiscono negativamente alla costruzione di un immaginario sociale, soprattutto pensando ad alcune fasce di età più sensibili, che non sono tutelate in alcun modo da questo tipo di prodotti», ribadiscono.

‘Daunbailò’

Una tutela che è compito precipuo della autorità salvaguardare: è questo il motivo per cui nella lettera aperta, rimarca il collettivo, si è «contestato prevalentemente gli organizzatori e i promotori per la loro decisione. Scrivendo al Municipio, il nostro proposito era mettere in discussione le scelte artistiche del Lac». Appellandosi al Codice penale svizzero, in particolare l’articolo 261bis, le militanti ricordano che nel nostro paese sono vietati «esplicitamente i discorsi d’odio, offensivi e degradanti in base all’orientamento sessuale. E la Convenzione di Istanbul (ratificata dalla Svizzera nel 2017; ndr) impegna le autorità, ma anche gli enti pubblici e privati e persino i media a prevenire e contrastare ogni forma di sessismo e di cultura discriminante in base al genere», citano ancora le interlocutrici.
Seguendo la linea esposta dalle militanti femministe, il sillogismo è presto fatto.

Outro

Non abbiamo ancora scritto che le femministe hanno rispedito le accuse al mittente, rivolgendosi a un avvocato che le seguirà, se del caso, nella vicenda. Nonostante sia desueta e anche un po’ smaccata: "Affaire à suivre".

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