SULLA CROISETTE

Cannes, una Giuria affrancata dai giochi di potere

Tra riconoscimenti a sorpresa e decisioni non condizionate da pregiudizi, un palmarès che premia il grande Cinema

La giuria (Foto Keystone)
18 luglio 2021
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Se tutti si sono stupiti perché Spike Lee ha rotto l’incantesimo istituzionale annunciando prima degli altri premi la Palma d’Oro, ancor di più ha spiazzato quando si è capito che il premio più prestigioso del cinema mondiale era stato assegnato a ‘Titane’, opera seconda di Julia Ducournau, di cui molti giornali avevano scritto che il pubblico usciva di sala vomitando. In realtà la Giuria con questo premio si è affrancata da tutti i giochi del potere cinematografico, ha sottolineato la sua indipendenza e ha segnalato l’importanza delle scelte artistiche del direttore del Festival Thierry Frémaux, uno che davvero sa cogliere la bellezza del Cinema, senza farsi intimorire dall’industria. ‘Titane’, come avevamo scritto, è un film sorprendente, un incubo giocato al femminile sul dolore di nascere e partorire. Un film che segna il vivere dello spettatore costretto a far i conti con la fragilità delle sue sicurezze. Un film finalmente politico, contro la morale incivile del presente. 

Ex aequo che sanno di divisione

È interessante notare come la Giuria si sia poi scissa mostrando al suo interno una divisione artistica insanabile, prova ne sono il Grand Prix (ex aequo) a due film lontani esteticamente e cinematograficamente come ‘Ghahreman’ (Un eroe), opera minore del pluripremiato Asghar Farhadi, e ‘Hytti N°6’ (Compartiment N°6) di Juho Kuosmanen, uno dei film più interessanti del Festival, e il Prix Du Jury (ex aequo) a ‘Memoria’ di Apichatpong Weerasethakul e a ‘Ha’berech’ (Le Genou D’ahed) dell’israeliano Nadav Lapid. In questo caso il problema estetico si fonde con quello etico, entrambi i film avrebbero meritato il premio maggiore per l’intensità del loro dire, in tonalità diverse, il peso storico del nostro camminare su questa terra. Entrambi sono il racconto di un incontro, e se l’israeliano pone proprio il suo essere narrante come ostacolo a un positivo divenire, il thailandese ritrova, nel mettere in comune il ricordo, una radice come unica possibilità di poter guardare avanti. 

Ha sorpreso molti anche il meritato premio per la miglior regia a Leos Carax per il suo ‘Annette’, non casualmente scelto da Frémaux per aprire la manifestazione, un film che rende omaggio al grande musical e all’antica fiaba del burattino che diventa bambino. 

Il premio per la sceneggiatura è invece andato a uno dei film dati alla vigilia per Palma d’oro, ovvero ‘Drive My Car’ di Hamaguchi Ryusuke, scritto dallo stesso regista insieme a Takamasa Oe. Un’intrigante storia d’amore, sulle tracce del ‘Zio Vanja’ di Cechov. 

Interpretazioni convincenti

Il premio per la miglior interpretazione femminile è andato giustamente a Renate Reinsve per il buon film di Joachim Trier ‘Verdens Verste Menneske’ (Julie - En 12 Chapitres), storia di una ragazza di oggi in cerca, come tante, di non farsi sopraffare nel lavoro e nell’amore dalla voracità maschile. 

Il premio per la miglior interpretazione maschile è andato al convincente Caleb Landry Jones per il doloroso film ‘Nitram’ di Justin Kurzel che racconta un recente massacro, 35 morti e decine di feriti, compiuto in Tasmania da un giovane squilibrato che ha avuto la possibilità di avere a disposizione senza problemi un vero micidiale arsenale. Il fatto portò il governo australiano a legiferare velocemente sulla vendita delle armi. Il regista poi ci fa notare che oggi, nonostante quella legge, le armi in mano ai privati in Australia sono fortemente aumentate rispetto all’epoca di quel fatto del 1996. 

I ben quotati rimasti a mani vuote

In generale i grandi delusi sono stati quelli che prevedevano un premio a ‘The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun’ di Wes Anderson, ma soprattutto quelli che pensando a Spike Lee avevano previsto i premi ai due interessantissimi e importanti film africani in concorso: ‘Lingui’ di Mahamat-Saleh Haroun e ‘Haut Et Fort’ (Casablanca Beats) di Nabil Ayouch. Sono entrambi film che con altre Giurie forse sarebbero andati a premio, ma proprio Spike Lee ha dato una lezione: una Giuria non deve avere pregiudizi, a vincere deve essere il cinema e ‘Titane’ è grande Cinema.

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