L'intervista

Angela Finocchiaro, eroina pasticciona a Lugano

Sabato 25 gennaio al Palacongressi ‘Ho perso il filo’, commedia che la vede anche nella veste inedita di danzatrice ('Danza? Più che altro, mi lanciano')

'Ho perso il filo' (© Paolo Galletta)
25 gennaio 2020
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Stufa dei soliti ruoli, entra in scena per essere Teseo e, in risposta, la totalità delle creature che popolano la commedia nata dal testo di Walter Fontana, le danno – testualmente – «della tapina». Gc Events porta a Lugano Angela Finocchiaro in ‘Ho perso il filo’, questa sera alle 20.30 al Palacongressi (www.biglietteria.ch). Di questo spettacolo che è insieme commedia, gioco e danza (su coreografie di Hervé Koubi), parla l’attrice italiana vincendo una dichiarata (Nelle interviste? Ma davvero? «Sì. Fortemente…») e a suo modo comica paura di annoiare.

Tanto per cominciare: ‘Ho perso il filo’ raccontato da chi il filo l’ha perso...

È uno spettacolo abbastanza originale, da quello che ci è parso di capire dalla reazione di chi sta dall’altra parte del palcoscenico e per ora lo ha accettato con festosità e allegria. Perché è una specie di viaggio fantastico dentro un labirinto. Inizio lo spettacolo ironizzando sul mito di Teseo e del labirinto, una cosa scritta da Walter Fontana che ha tutto un suo particolare umorismo, dicendo di volere interpretare un personaggio diverso dal solito, perché lo voglio io, perché me lo chiedono i miei figli. Entro in scena con la mia corazzetta, con la spada, e quando supero il sipario è come se cadessi in un tombino: entro in un mondo che non conosco, che non è il mio, che è popolato da creature che non mi aspettavo, dove c’è un muro parlante...

Un complotto, un ammutinamento...

Sì, perché preso atto del mio voler contrabbandare questa mia presunta capacità di diventare un eroe, tutti loro, con trappole, inganni, dispetti, mi dimostrano che l’eroe di cui io parlavo all’inizio è quello che alle dieci muore sul palco e un’ora dopo è seduto in pizzeria. Inizia quindi un gioco a tappe, un susseguirsi di situazioni dalle quali non esco proprio alla grande e per cui mi si dice, anche da parte del muro parlante che è una specie di nemico-amico, che non sono altro che un topastro, un’inetta.

E poi c’è la danza...

Sì, le creature sono sette danzatori che si muovono su coreografie di Hervé Koubi, cose molto particolari che potrei definire un misto tra arti marziali, capoeira e acrobazie. Loro sono un mondo antico fatto di grande energia, armonia e forza, e io invece sono quella che fa i chilometri con la lingua, che chiacchiera chiacchiera. Ne esce uno spettacolo che finisce con una specie di festa. Diciamo che per ora, se non ci fossero le poltrone, la gente potrebbe anche ballare. Poi magari da qui a gennaio diventerà un mortorio. Fino ad adesso è andata così.

Le coreografie includono anche te.

Ah beh, certo, includono anche me. Non so se quello che faccio si possa chiamare danza, però mi muovo, è vero. Più che altro, mi lanciano.

Mi sono informato e questa cosa che i figli ti hanno chiesto di fare qualcosa di diverso corrisponderebbe a verità.

Sì, ma in parte. Tutto può corrispondere a verità, poi in teatro si amplia, si esagera. Io sono stata dalle Suore Orsoline, nello spettacolo parlo delle Suore Orsoline, ma non in modo così autobiografico. Partiamo da uno spunto e avviciniamo la lente d’ingrandimento. Con tanta leggerezza, ci tengo a dirlo, perché Walter ha questa particolare dote. Con leggerezza si parla di razzismo, di solidarietà, di amore, di religione, di figli e tutto il resto.

Trovo irresistibile, andando a pescare dai tuoi primi passi da attrice, il fatto che il pubblico ridesse anche quando la tua era una parte drammatica, cosa molto divertente che comunque non ti ha impedito di vincere due David di Donatello.

Immagino tu ti riferisca a quello che dicono degli attori comici. Sì, a costo di sconfinare nel luogo comune, devo dire che mi è capitato di vedere spesso attori comici andare verso il drammatico in maniera magari non convenzionale ma estremamente commovente. La stessa cosa non posso dire per attori d’indole drammatica che siano riusciti a cimentarsi con i tempi comici, cosa più rara. Ma non vorrei generalizzare…

Hai citato Maggie Smith tra i tuoi punti di riferimento.

Quando guardo persone brave come lei, mi sento veramente una specie di tapina. Non so nemmeno se si possano chiamare punti di riferimento, la cosa mi fa pensare di essere veramente nei guai, e ogni volta mi sembra sempre di ricominciare dall’inizio. Ci sono tanti attori di grandissima qualità che possono essere di riferimento, anche in Italia. Ci lamentiamo, ma ne siamo pieni. Il problema è usarli, ricambiarli. Alle volte al cinema si vede per anni uno stesso attore, come se fosse questione di moda. Poi la gente dice “Eh, ma fa sempre la stessa cosa!”. E invece dipende da quello che gli propongono, anche perché alla fine uno il lavoro lo accetta, il mercato è piccolo.

Nessuno come te porta in scena se stesso, forse mai la maschera è così simile all’uomo, alla donna, un’identificazione che ricorda Totò. Vantaggi? Svantaggi?

Escludendo subito questi geni, diciamo che può diventare pigrizia rimanere dentro una linea un po’ comoda. Allora è lì che ci vuole determinazione, e la presenza di un regista che ti tiri fuori dal limo nel quale ti viene da sguazzare senza troppa difficoltà. Servono anche materiale molto diverso, e soprattutto tempi diversi. I tempi di produzione si sono accorciati di molto, per cui alle volte se non c’è modo per prepararsi per bene, succede che uno si appoggi a cose molto simili per andare sul sicuro nel poco tempo che ha a disposizione. Questo non è bello, non è interessante ed è ciò che porta a cadere nella routine, il problema di un settore che si è in qualche modo rattrappito.

Se non vogliamo parlare di geni, parliamo almeno di rivoluzionari. L’attrice comica che in ‘Volere volare’ giace nuda in un letto con un cartone animato era qualcosa di assolutamente rivoluzionario…

Beh, lì Maurizio (Nichetti, ndr) aveva avuto una bella idea rispetto al tipo di lavoro che stava facendo. Ci tengo a dire che dovette aspettare l’uscita di Roger Rabbit perché qualcuno credesse nel suo progetto di lavorare con un cartoon, che era precedente al film di Robert Zemeckis. Dopo la celebrazione della possibilità, gli è stato dato modo. Una cosa che dipende dal provincialismo.

Rivederti oggi nuda, nel letto con un cartone animato, che effetto ti fa?

Tendenzialmente non mi rivedo. Se posso, mi evito… 

Chiudo con la ‘Tv delle ragazze’, che ha fatto per il movimento femminista quasi più del movimento femminista. Una tua battuta sugli uomini ha destato polemica. Intervistando attrici mi sono sentito dire “davo meno fastidio quando facevo l’oca”. C’è ancora chi preferisce le donne che non fanno pensare?

Intanto, la reazione dei social a quella battuta può restare nell’angolo, dove sta. Direi che c’è sempre una netta prevalenza maschile sia di ruoli che di parti, e di registi rispetto alle registe. Se guardiamo al lavoro fatto, è chiaro che non è finito, però bisogna prendere atto di dove siamo, e in parte sono contenta. Ma non seduta sugli allori. Speriamo nelle generazioni future. Se ci sia ancora chi ci preferisce le oche, può essere, ma forse non è  proprio nel mio raggio di azione.

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