Scienze

Anche gli alberi del bosco assorbono la nanoplastica

Uno studio del Wsl mostra il percorso dalle radici alle parti aeree della pianta.

25 aprile 2022
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I residui di plastica minacciano tutti gli ecosistemi del mondo, inquinando i luoghi più lontani dalla civiltà, con effetti sulla catena alimentare ancora non noti. Uno studio di laboratorio dell’Istituto federale di ricerca per la foresta, le neve e il paesaggio Wsl, pubblicato in iForest, mostra ora che anche gli alberi del bosco assorbono le nanoplastiche attraverso le radici e le trasportano nelle parti aeree della pianta.

Un team di ricerca diretto da Arthur Gessler del gruppo Wsl Crescita delle foreste e clima ha analizzato il fenomeno in tre specie arboree forestali diffuse: betulla, abete rosso e rovere, marcando delle nanoparticelle di polistirolo delle dimensioni di 28 nanometri con l’isotopo 13C, una variante pesante del carbonio, e aggiungendole all’acqua somministrata alla parte inferiore delle radici dei piantoni. Dopo un intervallo da uno a quattro giorni è stato effettivamente possibile rilevare il 13C nel tessuto delle piante. La sostanza si depositava prevalentemente nelle radici collocate direttamente nell’acqua mescolata con la nanoplastica. Tuttavia, anche nelle radici più alte e nelle foglie si accumulavano piccole quantità di nanoplastica. Nel caso della betulla, caratterizzata da un elevato consumo di acqua, si sono depositate quantità significative di nanoplastica anche nel tronco. Nel rapporto sulla rivista iForest, i ricercatori ipotizzano quindi che il trasporto avvenga attraverso lo xilema, il tessuto adibito alla conduzione dell’acqua.

Secondo Gessler, le quantità assorbite erano molto contenute. "Tuttavia, – ha specificato lo studioso – se gli alberi sono esposti per anni a queste concentrazioni, occorre indiscutibilmente fare i conti con il trasporto e l’accumulo di queste sostanze nelle foglie, nel tronco e nei rami". Le piante costituiscono la base della catena alimentare: in questo modo la plastica potrebbe insinuarsi negli ecosistemi forestali.

Ora il team sta effettuando ulteriori esperimenti per stabilire se la nanoplastica interferisce con la fotosintesi e, nel caso specifico, con la reazione fotochimica dei piantoni, compromettendo così l’alimentazione delle piante. Per Gessler, l’unica soluzione al problema della plastica è vietare il più possibile l’impiego di questo materiale per le confezioni monouso e massimizzarne il riciclo.

Fino a 450 anni

Quale derivato del petrolio, la plastica si decompone molto lentamente. Secondo l’associazione tedesca Naturschutzbund, affinché una busta di plastica si degradi in natura sono necessari 10-20 anni, mentre a una cannuccia di plastica ne servono 200 e a una bottiglia di plastica ben 450. Col tempo questi oggetti si scompongono in particelle sempre più piccole, denominate microplastica (meno di 5 mm) o nanoplastica (meno di 1’000 nanometri). Le particelle di nanoplastica sono particolarmente pericolose per gli esseri viventi perché possono essere assorbite nell’organismo, si accumulano nei tessuti e pare possano provocare infiammazioni croniche.

Finora sono poche le ricerche dedicate all’assorbimento della nanoplastica attraverso le radici delle piante, e non era stato effettuato alcuno studio sugli alberi del bosco. Da ricerche precedenti sulle cipolle è emerso che la nanoplastica danneggia le cellule delle radici e può ostacolarne la crescita.

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