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Addio a Peter Bichsel, un maestro della letteratura svizzera

Le ‘sue’ Giornate di Soletta gli avrebbero reso omaggio a breve. Se n'è andato poco prima dei 90 anni dopo aver parlato della nostra realtà al mondo

Peter Bichsel
(Keystone)
17 marzo 2025
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Avrebbe compiuto 90 anni fra pochi giorni, il 24 marzo, e il mondo letterario e culturale svizzero era pronto a rendergli omaggio, riconoscendogli tutti i meriti di una lunga e prolifica produzione di scritti che ne hanno fatto uno dei massimi autori letterari svizzeri dell’ultimo secolo. Peter Bichsel se n’è andato qualche giorno prima, forse, ancora una volta, emblematicamente, per sottrarsi a cerimonie e celebrazioni che non ha mai amato. Nato a Lucerna ha vissuto quasi tutta la sua vita nel Canton Soletta, dove si è spento sabato circondato dai suoi familiari. Bichsel è stato per anni maestro elementare, per poi dedicarsi all’attività politica nel Partito socialista, in particolare come consulente dell’amico consigliere federale Willy Ritschard fra il 1974 e il 1981. Già allora, Bichsel era anche, e forse soprattutto, uno scrittore riconosciuto, autore di libri di successo, caratterizzati da una forma, quella del racconto breve, che ne ha sempre contraddistinto la peculiarità letteraria.

Una storia

Tutto comincia con la raccolta ‘In fondo alla signora Blum piacerebbe conoscere il lattaio’ (1964), un libro eccezionale, stravagante, antiretorico si potrebbe dire, che attira l’attenzione di critici e scrittori di fama, sia svizzeri (Frisch su tutti) sia tedeschi (specie quelli dello storico ‘Gruppo 47’). In quel suo libro c’è già forse ‘in nuce’ un’idea di scrittura e di letteratura che Bichsel ha poi affinato e approfondito nelle sue varie opere successive, fra cui si possono segnalare le ‘Storie per bambini’ (1969), ‘Il lettore, il narrare’(1985), ‘Al mondo ci sono più zie che lettori’ (1985), ‘Questo mondo di plastica’ (1995). Per Bichsel conta anzitutto avere una storia, una storia umana, di persone e oggetti legati a un’umanità piccola e nascosta in esistenze appartate, chiuse, ad esempio, dentro un appartamento di una casa come quella dove la signora Blum aspetta il passaggio del lattaio lasciandogli ogni sera, fuori dalla porta, un biglietto con la richiesta di due litri di latte e un etto di burro. La prosa di Bichsel è scarna, asciutta senza enfasi. Non di rado, nei suoi testi letterari (che poco si discostano dai numerosi contributi giornalistici pubblicati da note testate svizzero-tedesche) prevale l’esigenza di narrare parlando, in dialogo con la storia stessa che sta raccontando e con quella del lettore, che a sua volta, nell’atto di leggere e condividere l’esperienza raccontata, ‘riscrive’ a suo modo quel testo. Niente è necessariamente fissato a priori; sin dall’inizio del volume dedicato alla signora Blum leggiamo: “Provvisoriamente ci si può immaginare una casa, una casa a quattro piani (…). Al pianterreno non abiterebbe nessuno. Primo piano: porta scura, laccatura scheggiata, vetri smerigliati. Qui abita qualcuno. Secondo piano: anche qui abita qualcuno. E al terzo piano abita qualcuno”. Spicca, naturalmente, quella prima parola, “provvisoriamente” che già affida al lettore la possibilità di definire un’alternativa a quel senso di indefinito, impreciso e approssimato che sta, per Bichsel, dentro ogni istante (e istanza) del narrare.

Impegnato e critico

Il costante ‘dialogo’ con il lettore si è tradotto, in Bichsel, anche nelle diverse iniziative da lui promosse in ambito di politica culturale. Si pensi, in particolare, alla polemica ‘scissione’ dall’Associazione degli scrittori svizzeri per dar vita, nel 1970 al Gruppo di Olten o alla creazione, nel 1979, delle Giornate letterarie di Soletta, tuttora l’evento letterario svizzero più importante dell’anno, con numerosissimi incontri e letture di autori delle quattro regioni linguistiche nazionali. Che Peter Bichsel sia stato uno ‘scrittore impegnato’ e salutarmente critico nei confronti del nostro Paese lo dimostrano, fra i tanti esempi, le pagine de ‘La Svizzera dello svizzero’ (1969, tradotto in italiano da Enrico Filippini nel 1977 per l’editore Casagrande di Bellinzona) in cui possiamo leggere, ad esempio: “Siamo convinti che sia un nostro merito essere stati risparmiati [dalla guerra]: merito del generale Guisan e merito di tutti noi, perché con il nostro comportamento, con il nostro esercito e con la bellezza del nostro Paese dobbiamo aver impressionato Dio. (…) Questa presunzione rende la Svizzera immutabile e io sono terrorizzato all’idea di dover vivere tra vent’anni in una Svizzera uguale a questa”. Un testo da leggere e rileggere integralmente. Parole che ancora oggi, a distanza di tanti anni, potrebbero risuonare opportunamente dentro il dibattito attuale sul “modello svizzero” e la sua idea di democrazia e neutralità. Parole da accogliere, accanto a quelle eminentemente letterarie, che si ritrovano anche in una recentissima pubblicazione di Casagrande di Bellinzona, nel volume “La poiana. Di ubriaconi, poliziotti e della bella Marghelona”.

Con la scomparsa di Peter Bichsel se ne va forse l’ultimo testimone e protagonista di un’epoca della letteratura svizzera che ha saputo parlare della nostra realtà rivolgendosi con riconosciuta autorevolezza al mondo intero.