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Chiasso Means Noise, il carrozzone del rumore

Due fine settimana distinti, 22 e 23 marzo alle Scuole comunali e 12 e 13 aprile alla Polus di Balerna. A colloquio con Francesco Giudici, il curatore

Martina Berther, il 23 marzo
(A. Baumgartner)
20 marzo 2024
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La musica Noise ha radici profonde che vanno indietro di un secolo, da Luigi Russolo, passando attraverso le pratiche di Edgard Varèse per arrivare a Pierre Schaeffer e ai suoi cinque studi sul rumore, del 1948. Ma ora, nel 2024, il carrozzone del rumore è pronto per mettere radici a Chiasso in due fine settimana distinti (22 e 23 marzo nell’aula magna delle Scuole comunali di Chiasso e 12 e 13 aprile alla Polus di Balerna), ad aprire e saturare gli orizzonti di confine. Ne abbiamo parlato con Francesco Giudici, curatore del Festival Chiasso Means Noise tramite l’associazione Grande Velocità.

Francesco Giudici: da cosa nasce la volontà di proporre un festival come Chiasso Means Noise proprio in questo periodo?

Da parecchi fattori, in primis quanto stiamo facendo da quasi dieci anni con l’associazione Grande Velocità a Chiasso, associazione nata con gli intenti di invitare artisti facendo comunicare le discipline artistiche fra di loro. Dopo il periodo di gestione del Bar Mascetti come spazio concerti, sessioni d’ascolto e dj set, è il secondo momento dedicato esclusivamente al suono. L’idea è quella di promuovere un ascolto attivo, uscendo dal solco comune della proposta musicale grazie all’intervento di artisti delineati in una proposta ampia. Avremo poi due incontri: il primo sulla strada che sta percorrendo la musica come espressione di una cultura indipendente, anche sul solco di quanto espresso e rivendicato tramite La Straordinaria, il secondo con la presentazione di un libro che esplora il concetto di bassa fedeltà nella musica come fuga dal capitalismo.

Parlando con attori della cultura sonora esce sempre più spesso questo distaccamento da un suono e un’esperienza elitaria, puntualizzando su quanto queste manifestazioni siano auspicabilmente accessibili ed esperibili da tutti. Denominando il festival Chiasso Means Noise, rumore che è integrato da sempre nelle nostre vite, ma che forse può ancora spaventare, che messaggio volete dare al pubblico?

La frase nasce come un gioco, è quello che dicevamo agli artisti che si esibivano da noi a Spazio Lampo, presentando un contesto desertico dove serviva, a volte, una sferzata di rumore. Siamo partiti lavorando su Chiasso, su un Bar Mascetti che è il più a sud della Svizzera, in una città costellata dal rumore dei treni, un posto dove spesso la connotazione che viene data alla città è quello di una sorta di Bronx ticinese. Il suo paesaggio sonoro è noise, ma quello che ascolteremo al festival sono rumori che ci racconteranno delle storie, pensiamo alla presentazione di Alessandro Facchini con una playlist narrativa di suoni, rumori e canzoni creata insieme a Michel Libera, che attraverso rumori e suoni ci porta con sé su un percorso immaginario, grazie a un media, quello della musica, che fra le arti è quello che forse permette una maggior immersione da parte di chi vive l’opera d’arte.

Avrete con voi artisti di diversa nazionalità, estrazione e storia. Molti di essi sono svizzeri, a dimostrazione della fertilità di una scena interna che però, a tratti, sembra autoriferita e fatichi a trovare un pubblico che non operi nello stesso settore. Che impressione avete dalla vostra esperienza rispetto a questo tema?

Credo definitivamente che esista un pubblico in questo senso e il nostro passato lo dimostra. È anche vero che di norma non è un pubblico statico ma spesso si muove verso poli e spazi più idonei al loro modo di sentire (Milano e Zurigo) dove le possibilità di fruire di determinati eventi è molto più alta. Vero che comunque c’è un pubblico che, pur vivendo qui, non sa che esistono “altre” cose, meno istituzionalizzate e che magari non hanno mai avuto maniera di approcciarsi a determinati tagli artistici. Per questo abbiamo costruito delle serate, ad esempio quella del 12 aprile, dove gli artisti che si esibiranno, dalla cantante egiziana Aya Metwalli a Donna Leake, abitano mondi sonori estremamente lontani, la prima in una sorta di autoesorcismo e sperimentatrice estrema e la seconda una dj londinese abbastanza conosciuta, convivenza che potrà scatenare energie interessanti fra sperimentazione e accessibilità.

Spesso quel che colpisce e rimane nel pubblico ma anche negli organizzatori stessi è l’inaspettato, l’artista che spariglia la proposta. Se dovessi chiederti che tipo di sorpresa musicale ti ha portato a concepire una visione artistica come quella che ci presentate attraverso il festival dove ci porteresti?

Ti direi il già citato di Alessandro Facchini, in una sessione d’ascolto all’ex Bar Mascetti per me è stato un momento intenso ed emozionante, dove non credevo che suoni potessero scatenare tante reazioni ed emozioni. Oppure ascoltando una playlist di Ben Frost su Nts radio, a un tratto il suono mi ha costretto a fermarmi, smettere di fare qualsiasi cosa e semplicemente ascoltare un brano magnifico, pur senza sapere chi stesse suonando. Quando succede è un segnale forte, che ci costringe a dare importanza alle nostre azioni.

Anche le sessioni di ascolto che proporremo, la prima a cura di Marco Monaci, sono momenti che speriamo vengano seguiti ed esperiti, con un’attenzione all’ascolto che ci potrà avvicinare a stati di fruizione differenti e unici.

Per concludere, come sta la musica ticinese e svizzera?

Difficile dirlo, in un periodo nel quale ci siamo focalizzati sulla creazione del festival e meno rispetto all’ambito produttivo. Quel che possiamo dire però, a proposito di Svizzera, che la discesa dei tre set (Radiant Haze, Strotter Inst. & Flo Kauffmann e Martina Berther), che suoneranno il 23 marzo come tappa del Röstibrücke, format itinerante di musica sperimentale svizzera, sia un’ottima cartina da tornasole.

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