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Festival cinematografici come bussola

L'intera industria del cinema vive un cambiamento enorme. Tutti coloro che ne fanno parte devono farsene una ragione

In sintesi:
  • Siamo così storditi da contenuti audiovisivi di ogni sorta su ogni tipo di schermo, 24 ore su 24, che spesso non sappiamo più cosa sia la realtà e cosa la narrazione
  • Il nostro compito è quello di tracciare una mappa cinematografica, perché in un mare di offerte corriamo il rischio di perderci
Niccolò Castelli
(Keystone)

Negli anni 90, da adolescente, ero un grande appassionato della popolare serie televisiva ‘Friends’. Mi faceva ridere e non avrei perso un episodio per nulla al mondo. Gli adolescenti che oggi attendono con ansia la nuova stagione di ‘Wednesday’(Mercoledì) probabilmente stanno vivendo la stessa esperienza. Con una grande differenza. All’epoca, dovevo aspettare ogni giorno un nuovo episodio, schiacciato sul divano tra i miei fratelli maggiori, finché non accendevano la tv alle 18.05 sulla Rsi. Un episodio e poi basta. La mattina dopo, a scuola, si discuteva su come sarebbe continuato. Oggi, l’enorme offerta di piattaforme di video-on-demand permette a ogni spettatore di guardare qualsiasi tipo di film come, dove e con chi vuole. Il modo in cui consumiamo le immagini in movimento è cambiato completamente. Posso guardare un’intera stagione di ‘Friends’ in una sola notte. Esiste persino una parola per definirlo: binge-watching.

È un cambiamento enorme per l’intera industria cinematografica. Tutti coloro che ne fanno parte devono farsene una ragione. Comprese le Giornate di Soletta (dal 17 al 24 gennaio, ndr). Ha ancora senso che il Festival del Cinema Svizzero si svolga in un luogo fisico? Forse dovremmo assecondare i gusti del pubblico e adattarci a nuove abitudini: offrire ogni tipo di contenuti online, affidare la selezione a un algoritmo e soddisfare così gli spettatori?

No, perché in un mare di offerte corriamo il rischio di perderci. Il nostro compito è quello di tracciare una mappa cinematografica e fornire una bussola. Orientarsi è una cosa, curare è un’altra. Riconosco che è diventata una parola d’ordine controversa, ma il significato della parola “curare” descrive bene il nostro lavoro.

Siamo la vetrina del cinema svizzero. In una vetrina, l’esposizione e la presentazione sono importanti. Siamo così storditi da contenuti audiovisivi di ogni sorta su ogni tipo di schermo, 24 ore su 24, che spesso non sappiamo più cosa sia la realtà e cosa la narrazione. Festival come quello di gennaio a Soletta possono aiutare a creare ordine, a cercare contrasti e complessità, a scoprire ciò che viene dal basso e a metterlo in dialogo con ciò che ci è familiare. È un compito che non dobbiamo delegare al pubblico. Dobbiamo offrire agli spettatori un programma chiaro, preciso e accuratamente selezionato con forme, pensieri ed emozioni interessanti. Dobbiamo guadagnarci la loro fiducia.

Deve esistere un patto tra un festival e il suo pubblico: “Ti propongo qualcosa che (forse) non conosci ancora e ti prometto di avvicinarlo a te, lo presenterò e lo accompagnerò, ascolterò le tue sensazioni. Assieme possiamo creare qualcosa che ancora non esiste”. È un percorso forse meno gratificante a breve termine, ma interessante a lungo termine. Se vogliamo conoscere il futuro, dobbiamo lavorare per costruirlo oggi, con il presente. Soprattutto in un Paese complesso, vario e unico come il nostro. Se oggi conosco più o meno la mia identità, lo devo un po’ a ‘Friends’ e un po’ di più al cinema svizzero.

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