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Un grido di rabbia chiamato ‘Anxious in Beirut’

In concorso al Film Festival Diritti Umani, il viaggio personale del regista Zakaria Jaber attraverso le tragiche vicissitudini del dilaniato Libano

Tra cinema e necessità
23 ottobre 2023
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Un documentario che si colloca tra l’autobiografia e il reportage di guerra. ‘Anxious in Beirut’, in concorso al Film Festival Diritti Umani di Lugano, prende la posizione e le difese dei cittadini libanesi, tra attese logoranti e tanta voglia di scendere in strada a combattere, anche abbracciando le armi. Sicuramente una necessità per il regista Zakaria Jaber, che documenta il collasso del proprio Paese e l’emigrazione di amici e conoscenti, stremati dal vortice lento e inesorabile che fagocita ogni speranza per un futuro migliore. Un ritratto di persone sorridenti e scherzose, con differenti opinioni e ideologie ma che si ritrovano, accomunate dall’amicizia e dalla rabbia condivisa verso gli esponenti del governo che, dall’alto della cima di una piramide, osservano il caos e la disperazione sottostanti, quelle di un popolo per cui le scelte possibili si riducono ad “aereo o bara”, cioè emigrare o morire, lentamente.

Nitrato di ammonio

La storia ripercorre brevemente l’infanzia di Zakaria attraverso il legame con il padre e il suo primo documentario sui rifiuti di Beirut, quindi si focalizza sulle recenti ondate di proteste da parte dei cittadini e sugli eventi tragici: la malagestione governativa che avrebbe portato allo scoppio dei disordini, il crollo totale della lira libanese, la guerriglia urbana, quindi il Covid-19 e le esplosioni nei pressi del porto di Beirut, dove quasi tremila tonnellate di nitrato di ammonio, stoccate per anni nonostante l’alto rischio, hanno ulteriormente esacerbato il bilancio di vittime, feriti e sfollati, oltre ad aver bruciato importanti riserve di cibo e bloccato il commercio. Una spirale discendente e senza fine che ha come conseguenza appunto un perenne stato di ansia, dove solo la solidarietà tra parenti e vicinati resiste flebilmente, nonostante la maggior parte delle persone abbia già abbandonato il Paese, sia in procinto di farlo oppure lo stia programmando.

Una crisi umanitaria, sociale ed economica estremamente complessa e tumultuosa, originata dalla guerra civile che sconvolse il Libano tra il 1970 e il 1990, quindi dagli accordi di Ta’if, i cui punti salienti sono stati solo parzialmente o mai applicati. Senza filtri e con una posizione estremamente chiara, il regista condanna apertamente tantissimi esponenti governativi passati e presenti, partiti politici così come multinazionali estere: Samir Geagea, Rafiq Al-Hariri, Saad Hariri, Michel Aoun, passando poi per le cosiddette ‘Sette Famiglie’ di Beirut, le tantissime milizie armate indipendenti e partitiche fino ad arrivare, tra gli altri, a Dior, i cui negozi aperti, quando la più parte delle Pmi locali è fallita o incapace di sostenere il costo persino della corrente elettrica. Il tutto ben testimonia l’assurdo della situazione.

Bella Ciao

‘Anxious in Beirut’ è un documentario non del tutto informativo, anzi. Nomi e fazioni risultano perlopiù sconosciuti allo spettatore non avvezzo alle complesse dinamiche interne mediorientali ed è quindi difficile la comprensione dei dati forniti senza un sostanzioso approfondimento prima o dopo la visione. Tuttavia, ciò che rimane ed esce con forza dallo schermo sono le persone che, come farebbe ognuno di noi, si limitano a osservare il tracollo del proprio Paese, cercando di difendersi e combattere secondo le proprie possibilità, spinti da un misto di rabbia feroce e tenue speranza per un risollevamento dello Stato. Gli amici di Zakaria emigrano progressivamente e anche chi rimane a combattere risulta stremato, svuotato, sempre più considerante la fuga. Tra i rumori di grida ed esplosioni, echeggia Bella Ciao, cantata anche in versione libanese e che si conferma come vero e proprio simbolo mondiale per la lotta all’oppressione, la ribellione ai governi corrotti e repressivi.

Non presente alla serata sia a causa della difficile situazione interna del Libano, sia degli ostacoli delle autorità svizzere, il regista ha comunque espresso un ringraziamento e soprattutto solidarietà in favore dei palestinesi, distanti da lui solo un centinaio di miglia, a seguito dei recenti inasprimenti del conflitto con Israele.

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