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‘All You See’, l'essere umano oltre la superficie

Quello di Niki Padidar, in concorso, è un film che ci fa scontrare con la nostra ipocrisia e che, fermo ma con dolcezza, ci avvicina gli uni agli altri.

Siamo ciò che eravamo o ciò che siamo diventati?
22 ottobre 2023
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“Da dove vieni?” è la domanda centrale di ‘All You See’, proiettato al Film Festival Diritti Umani di Lugano, film molto interessante che mischia in maniera peculiare lo stilema tipico del documentario con la fiction, quindi l’intervista con la messa in scena. Un progetto tutto femminile che si interroga sul concetto di provenienza e integrazione: due bambine, una giovane ragazza e una donna, accomunate dal trasferimento dal loro paese d’origine nei Paesi Bassi, precisamente ad Amsterdam, raccontano le loro impressioni riguardo l’accoglienza da parte degli abitanti locali. Un popolo che, tra quelli europei, ci risulta piuttosto vicino per valori e situazione di benessere.

Come la Svizzera, sono proprio i paesi del nord Europa a detenere alcune delle prospettive di vita e situazioni interne tra le migliori al mondo, venendo spesso rapportati a una sorta di idillio. Ma non è sempre oro tutto ciò che luccica. Si ricorda, ad esempio, ‘Prisoners of Fate’, presentato al Locarno Film Festival 2023, che mostrava la logorante attesa, le speranze spesso disilluse e le difficoltà d’integrazione di alcuni immigrati provenienti dall’Iran in cerca di una nuova vita qui, senza l’ombra della repressione e della guerra. Sembra facile trasferirsi in un paese cosiddetto civilizzato e aperto, ma quindi ci si rende conto che la paura del diverso è dappertutto, quasi intrinsecamente, e ci si deve scontrare con la propria ipocrisia per abbattere queste moderne mura di Gerico. Per sentirsi di nuovo a casa, essere accettata e costruire qualcosa di nuovo, una persona si deve in un qualche modo impegnare, ma dall’altra parte serve anche un certo tipo di approccio; le domande che vengono poste agli stranieri, forse frutto anche solo di semplice curiosità, possono in realtà risultare molto invadenti e bisogna ricordare che non si è mai i primi a porle ai neoarrrivati. “Da dove vieni?”, “parli la nostra lingua?”, “nel tuo paese vivete in capanne di paglia?”, “sei istruita?”, esempi che creano distanza e le cui risposte non rappresentano una persona in quanto tale. Ci si chiede, quindi, perché ci vengano quasi automatiche, sebbene non per forza con malizia o con la volontà di mettere il proprio interlocutore a disagio.

Avanti e indietro

‘All You See’ è un film potente, estremamente riflessivo e anche molto interessante da un punto di vista di messa in scena, grazie anche all’utilizzo di spazi limbici ed effetti speciali molto curati, che catapultano lo spettatore avanti e indietro tra realtà, ricordi e sogni, in un viaggio di scoperta visivamente molto creativo. Dentro a quattro mura grigie, queste persone raccontano la loro identità: c’è chi arreda, chi gioca con le bambole, chi colora le mura, connesse dalla volontà di creare il proprio spazio e ricostruirsi come persone, mentre aleggia la domanda: “Siamo ciò che eravamo o ciò che siamo diventati?”.

Grande è la regia, che cerca di scrutare le profondità di un volto, di un sorriso, di una postura e che porta ad accomunare ogni essere umano in quanto tale e non per vicinanza culturale, etnica, del colore della pelle o altro, risultando in un’esplosione di pensiero e umanità. Ognuno ha il proprio bagaglio culturale, eppure in molti sogniamo un mondo più fraterno, dove si possa percepire come vicina la persona che ci sta di fronte, indipendentemente se questa venga da Inghilterra, Ucraina, Somalia o Iran. La genuinità dello sguardo di una bambina che, ad esempio, si è dovuta separare dai propri amici, si mescola con quello di una donna che ha visto orrori indicibili e viene infine osservato da noi, abituati a sicurezze e alle comunità che ci fanno dimenticare ciò che ci circonda ogni giorno.

La durata di contenuta di ‘All You See’ nasconde un’enormità di spunti di riflessione e dovrebbe ricordarci che anche il nostro paese è letteralmente fondato sull’unione di popoli differenti. Un semplice saluto può far sentire più vicini e umani di qualsiasi domanda personale, come fosse guinizzelliano o dantesco, cioè che nobilita e salva.

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