Nella produzione anni Settanta-Ottanta, ‘Collezione di sabbia’ è una summa senza distinzioni di epoche
C’è stato un momento negli anni Sessanta o più di un momento, forse gli anni Sessanta tutti interi, in cui alcuni scrittori tra i maggiori hanno cominciato a vedere molto nero. Il risultato si manifestò nei libri dei due decenni successivi: una delusione, giudicata definitiva, sulla piega che aveva preso la società. Sciascia poté o volle intitolare un suo libro di note ‘Nero su nero’. La reazione di Pasolini fu disperata e vitale, come sempre. Quella di Montale disillusa e arresa e da non condurre a nulla, anche se pochi vollero ammetterlo. Per l’ultima parte della sua carriera, inaugurata dal Diario del ’71 e del ’72, alcune poesie da ex grande poeta (le poesie-ritratto, narrative), grandi anche loro, fra tutte le altre di mera recriminazione.
Italo Calvino per natura e per scelta si proibiva proteste e polemiche – e l’introspezione angosciosa – e non meno disilluso o disperato degli altri si diede al gioco più rigoroso possibile. Fuori di quel gioco che era la letteratura “ufficiale” – ‘Castello dei destini incrociati’, ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’ – dedicò la scrittura saggistica a un doppio assedio alla realtà. Il primo, un percorso di studi di ogni genere, dallo strutturalismo all’epistemologia, dall’antropologia alla cosmogonia, per cercare di raccapezzarsi malgrado tutto, con conclusioni che consegnò alla prima centripeta raccolta saggistica, ‘Una pietra sopra’. Il secondo, un divagare minuzioso e centrifugo tra libri eccentrici, esposizioni e resoconti di viaggio. Peregrinare noncurante al quale non chiedeva nulla e che ci diede il meglio dei suoi ultimi anni. Emblema ne sono i testi di ‘Collezione di sabbia’, del 1984.
La bufera che investì Einaudi l’aveva convinto alla storica conversione, per lui che vi aveva pubblicato ogni suo libro e lavorato tanti anni: il passaggio a Garzanti. E quella raccolta di articoli, come anche le storie di Palomar – specie di Marcovaldo in pensione, che non ha perso anzi ha fatto più esatta e capillare la sua curiosità – usciranno nel blu integrale, elegante e distanziante, dei ‘Saggi blu’, nello stesso anno del ‘Discorso naturale’ di Luzi, delle ‘Insistenze’ di Fortini. La raccolta è divisa in quattro sezioni che valgono il riassunto di una carriera: ‘Esposizioni-Esplorazioni’; ‘Il raggio dello sguardo’; ‘Resoconti del fantastico’; ‘La forma del tempo’ (cronache dei viaggi in Giappone, in Messico, in Iran), aperte da una presentazione che sappiamo sua anche se non firmata: “onnivora curiosità enciclopedica e discreta presa di distanza da ogni specialismo; rispetto del giornalismo come informazione impersonale e piacere d’affidare le proprie opinioni a osservazioni marginali o di nasconderle tra le righe; meticolosità ossessiva e contemplazione spassionata della verità del mondo”. Tre binomi che ridefiniscono il Calvino “distratto” che ho cercato di illustrare.
Lo scrittore più produttivo, per noi, è dunque quello delle “osservazioni marginali”, nascoste “tra le righe”; della “contemplazione spassionata della verità del mondo”, affidate alle pagine prima del Corriere, poi di Repubblica. Il Calvino maggiore degli anni 70-80, in altre parole, è quello minore. E ‘Collezione di sabbia’ nella sua mole discreta, 38 testi, diventa una summa del miglior Calvino senza distinzioni di epoche: dal ricordo di Roland Barthes alla “lettura” della Colonna traiana e alle scritture della città (epigrafi, graffiti), dai “francobolli degli stati d’animo” alla visita a una mostra di cartografia, dai segreti del Giappone al “tempo e i rami” del Messico... Nella sua ultima ma solo seconda raccolta saggistica troviamo così anche le scarse, preziose tracce del Calvino viaggiatore. Che si era rifiutato di pubblicare, per esempio (lo pubblicarono dopo), il suo diario di viaggio in America; che mandava da Parigi cronache di uno che ci viveva, nelle quali la città è una presenza-assenza.