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Italo Calvino, lo scrittore chiaro per eccellenza

Le celebrazioni dei cent'anni dalla nascita dello scrittore italiano cadranno in ottobre. Inizia oggi il nostro percorso di avvicinamento

Oslo, 7 aprile 1961
(Johan Brun/Wikipedia)

Non so perché sia così difficile scrivere di Italo Calvino. Come se avessimo deciso una volta per tutte che ci piace, che davvero pare che non abbia alcun punto debole, nulla che non ci lasci ammirati. Nell’analisi della società, delle società in cui si trovò a vivere, non era possibile andare oltre. Tutto quanto era possibile comprendere, lui l’aveva compreso. E quando raccapezzarsi non era più possibile – in anni piuttosto lontani, i primi dei Settanta, e poi sempre peggio: mondo sempre più incomprensibile – ci si poteva dare al puro gioco ormai, senza rimpianti. Poi scrivere di Calvino è difficile perché è lo scrittore chiaro per eccellenza. Come commentare un testo il cui maggior pregio è la chiarezza?

Tutte le monografie, gli atti di convegni, i numeri di rivista dedicati a lui hanno colto nel segno. Lo hanno descritto proprio come ci sembra che sia, con molte luci e qualche ombra (ombre del paesaggio, del vivere impenetrabile). Lasciando trapelare forse un po’ troppo l’ammirazione. Cosa più che giustificata, da una parte, dall’altra un po’ meno trattandosi di un’analisi critica. Altra difficoltà: come mai solo lui tra tanti, o quasi solo lui (si possono aggiungere Buzzati, Levi, Pasolini?), è così amato fuori d’Italia? Giocando o non giocando è arrivato a quel livello di profondità – ben oltre la superficie che vagheggiava e dove ci è piaciuto immaginarlo tutto il tempo – dove le cose si fanno più nette, più elementari e possono ridirsi in modo da toccare limpidamente la ragione, e qualche volta il cuore, di ogni lettore. L’aspetto della grande reputazione all’estero, specialmente presso i giovani, non smette di interrogarci, ma che riusciamo a motivarlo o meno, resta uno dei suoi titoli di merito e la vera consacrazione.

Naturalezza, semplicità, brio

Provare a dividerne in parti la carriera è la solita semplificazione, ma non è inutile. Prima parte realistica: ‘Il sentiero dei nidi di ragno’ e i tanti racconti. Poi la trilogia fantastica, composta lungo una decina d’anni. Il visconte e il barone, il cavaliere erano un grande divertimento alla lettura e insieme dicevano molto altro sotto (di noi tutti), che si intravedeva. La lettura sottostante non incrinava la linearità e il puro piacere dell’altra, eppure si sentiva. I testi che hanno stabilito per sempre che Calvino era uno scrittore da seguire furono quelli. Una scrittura ancora mai vista in italiano, per naturalezza, semplicità, brio. E temi che non si vedevano dai tempi di Collodi, forse. Poi ha ripreso il racconto realistico, alternandolo al fantastico, con risultati quasi sempre all’altezza delle aspettative. Lo stesso protagonista che si perdeva nelle sue avventure storico-fantastiche, ora in abiti moderni si perde nella città, nelle relazioni familiari o di lavoro. Si perde nella storia. Uno spartiacque, all’inizio degli anni Settanta, fu ‘Le città invisibili’. Libro composito, frammentario, accattivante nella forma; baluginante in tante immagini e oscuro, finalmente – o però – in altre. Vi confluiscono anni di riflessioni e pagine sciolte, appunti che l’autore compone come in un mosaico, rafforzando la struttura con l’accorpamento in sezioni. Sarà l’idea che ripeterà, variandola, nel molto meno riuscito ‘Il castello dei destini incrociati’, poi di nuovo in ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’.


Wikipedia
Con il fratello, nel 1933 a Sanremo

Forse un poco ci aiuterebbe, a confermare o contraddire questa mappa, un giro per le librerie. Incrociando la ricerca: due o tre catene, Mondadori, Feltrinelli, Giunti, e tre o quattro altre ben fornite. I volumi di saggi scarseggiano, eppure ne ha pubblicati in vita solo due: ‘Una pietra sopra’ e ‘Collezione di sabbia’. Non mancano naturalmente le ‘Lezioni americane’. ‘Se una notte’ si fatica a trovarlo. ‘Palomar’, lo stesso. La trilogia dei ‘Nostri antenati’ è immancabile, così come ‘Le città invisibili’. Si possono trovare ‘La giornata di uno scrutatore’, o ‘La speculazione edilizia’. Le ‘Fiabe italiane’ possono esserci oppure no. ‘Marcovaldo’ c’è quasi sempre. ‘Ti con zero’ e le ‘Cosmicomiche’ quasi mai. Quale significato dare a una ricognizione così poco “scientifica”? Può corrispondere, con qualche aggiustamento, ai valori reali? Nessun titolo è di troppo, naturalmente. Nessun libro di Calvino si legge senza interesse, o frutto, o divertimento. Non si trovano i più prescindibili: Cosmicomiche e Ti con zero. Mancano però alcuni che non si vorrebbe aspettare troppo per averli, per esempio i due volumi citati dell’ultimo Calvino: ‘Collezione di sabbia’ e ‘Palomar’.

Tutti seguivamo Italo Calvino a ogni nuova uscita. A ogni comparsa anche sui quotidiani. E quando si dava all’iper-gioco, diciamo per colpa più che a causa dell’OuLiPo, dei suoi amici dell’Opificio di Letteratura Potenziale (Queneau e Perec su tutti), ci pareva che si fosse arreso. Poi con ‘Palomar’, con ‘Collezione di sabbia’, nell’uno fissandosi nel dettaglio fino all’ossessione, nell’altro divagando all’apparenza distratto, vedevamo che c’era ancora.

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