laR+ SPECIALE CALVINO /3

Breve vita di Marcovaldo Palomar

Nell'imminenza del centenario della nascita, una biografia letteraria al rovescio del grande scrittore, dai romanzi combinatori al neorealismo atipico

Italo Calvino (a destra) col fratello Floriano
(Wikipedia)

Questo articolo era già scritto al momento di due minuscole scoperte. Nel volume ‘Indici’ del ‘Dizionario delle Opere e dei Personaggi’ Bompiani, Calvino compare con 14 titoli, e ‘Marcovaldo’ e ‘Palomar’ sono affiancati. Sono anche affiancati, in fondo all’elenco, ‘Il sentiero dei nidi di ragno’ e ‘Se una notte d’inverno un viaggiatore’, cioè il primo e l’ultimo romanzo. L’ordine alfabetico ha voluto assecondare la cronologia scombinata che è alla base dell’articolo. Che fosse un gioco non occorreva dirlo, ma intendo segnalare l’unica regola prima che iniziasse: immaginare al contrario la carriera dello scrittore. Il primo libro come ultimo e l’ultimo come il primo.

Italo Calvino (15 ottobre 1923 - 19 settembre 1985), pseudonimo di Marcovaldo Palomar, nato a Santiago de Las Vegas (L’Avana) casualmente, e morto, per un caso parimenti fortuito, all’ospedale di Siena. Tutta la sua vicenda artistica si può restringere nella dualità di cui discorre la critica: ordine/disordine. Proiettò in buona parte dei suoi libri sé stesso in un personaggio che si aggira per il mondo senza capire nulla, per vedere cosa riuscirà a capire, sciogliere un nodo o scorgere una direzione. Così avviene programmaticamente nel più riuscito dei primi testi, ‘Palomar’, e nel tardo ‘Marcovaldo’. Occorrerà dire che in ‘Marcovaldo’ si ripete il triste equivoco della letteratura giudicata per soli adolescenti anche se nasce con altri fini o nessuno. Occorrerà dirlo oppure tacerlo una volta per tutte perché non c’è niente da fare. Due alter-ego di Italo Calvino, Palomar e Marcovaldo, a tal punto che diede apertamente all’uno e all’altro il proprio nome e cognome reali. Il risultato delle passeggiate solitarie dei due personaggi è tra scoraggiante e speranzoso, tra la malinconia, la noia e il gioco. Nei casi estremi prevale un velato disgusto (lo scontro con la realtà che resta scontro), o una specie di letizia.

A Parigi con Queneau e Perec

Tra i tanti incontri di una vita ricorderemo il più simbolico: quello plurimo con l’OuLiPo (Opicifio di Letteratura Potenziale), associazione francese di scrittori che non avendo di meglio da fare si riunirono in tale congrega letteraria non più perniciosa delle altre e dalle autoimposte regole d’acciaio, invece che semplicemente, quando non hai altro da fare, vederti al bar con i tuoi amici e parlare di qualsiasi cosa, anche libri. L’OuLiPo confermò quella profonda vena razionale che non aveva necessità di conferme? Soffocandola e meccanizzandola? Per fortuna non fu che un incidente di percorso magari necessario e comunque casuale: ami le stravaganze di Queneau, ti sorprende lo stile di Perec, l’uno e l’altro fanno parte dell’OuLiPo e vivono a Parigi come te, entri a farne parte anche tu per gioco e per letteraria solitudine, visto che il più del tempo, anche se sei a Parigi, non ti muovi da casa tua. La mente e il cuore, però, e le gambe che li muovono, si mettono in moto col camminare. Così è necessario tornare ai due solitari calviniani passeggiatori, a costo di ripetersi. Alla ricerca di quel senso nascosto delle cose e delle relazioni umane, che non si scopre da seduti, Palomar prima, Marcovaldo dopo (vent’anni), girano per le strade guardando e ragionando, mugugnando e meravigliandosi. Il continuare a non capire finisce in una (poetica) delusione; l’aver intuito un nesso tra le cose, in un luccichio o un’immagine ariosa. Si sarà compreso ormai che i tratti essenziali di Marcovaldo Palomar sono due o tre e contrastanti: razionalità (con punte di cerebralismo), malinconia (tristezza), gioco (gaiezza). O uno solo che li comprende tutti: gioco razionale o malinconico; nei casi più felici, solo gioioso e aereo.

Trilogie

Quanto alle forme, non scrisse che racconti singoli o in serie. I singoli li mise insieme in raccolte. Gli affini tra loro li unì, anzi spesso li scrisse, in serie (‘Cosmicomiche’, ‘Ti con zero’). Tre racconti lunghi risalenti alla prima parte della carriera, in cui prevale la tendenza realistica – ‘La giornata di uno scrutatore’, ‘La nuvola di smog’, ‘La speculazione edilizia’ – formano un’ideale trilogia. Altri tre similmente distesi e compositi li pubblicò a parte e poi congiunti, e siamo già nella seconda e terza parte del suo percorso: è il caso della fortunata trilogia de ‘I nostri antenati’. Nell’ultima, pressappoco decennale parte del suo percorso, liberandosi dalle auto-castrazioni dell’OuLiPo, senza smettere di andare a prendere la sera un’aranciata con Queneau e con Perec, i quali amavano come sempre prendere un Pernod con Calvino, dai testi seriali de ‘Il castello dei destini incrociati’, o de ‘Le città invisibili’, la sua vena si va liberando e approfondendo. Iniziano ormai i tempi della trilogia fantastica citata e de ‘Il sentiero dei nidi di ragno’, finale di carriera dalla sicurezza e freschezza di un esordio.

Uno scrittore mutevole

Questo autore dalla scrittura limpida, col passare degli anni va fissandosi o evaporando in figura sempre più sfuggente. La sua statura cresce occultandosi nei libri meno celebrati. Nelle ‘Fiabe italiane’ specialmente, che sono il libro di un altro: di molti altri e anonimi per di più. Lì è facile incontrare lo scrittore integrale capace di ogni tono, mutevole come le creature fantastiche che abitano nelle fiabe.

Che scrittore fu Palomar? Provò a incanalare la fantasia negli argini della ragione? Scontornare i confini della ragione con i vapori della fantasia? Se tutta l’autentica letteratura del ’900 italiano deriva dalla prosa delle ‘Operette morali’ – come disse lui stesso –, quel nostro Spleen di Recanati, anche la sua scrittura migliore nasce là.

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