Il 1° giugno all'Usi, Varzi e Calosi in una rivisitazione metafisica della Divina commedia. Ma dall’Inferno degli errori di ragionamento si può uscire
Sulla copertina c’è il familiare “cono rovesciato” dell’Inferno, con i vari cerchi e gironi; solo che non troviamo ignavi, eresiaci o traditori bensì scettici, idealisti e deterministi. Quella che abbiamo tra le mani, infatti, non è la ‘Divina commedia’ di Dante, bensì una ‘Comedia metaphysica’ che, sempre con terzine di endecasillabi in volgare fiorentino, narra del viaggio del Poeta attraverso il buio inferno per uscire dalla palude nelle quali si è bloccata la sua ricerca filosofica.
Ad aver scritto – o “scoperto, redatto e commentato”, secondo l’espediente del manoscritto ritrovato – questa versione filosofica della ‘Commedia’ di Dante sono stati Achille Varzi e Claudio Calosi, rispettivamente professore alla Columbia University a New York e professore assistente all’Università di Ginevra. ‘Le tribolazioni del filosofare’, pubblicato da Laterza nel 2014, sarà presentato dagli autori Varzi e Calosi il 1° giugno alle 19 nell’aula A11 del Campus Ovest di Lugano dell’Università della Svizzera italiana; l’incontro prende il titolo da uno dei versi del poema – “abisso e stelle stesso foco chiama” – ed è organizzato dall’Associazione Ratio e dall’Istituto di Studi Filosofici della Facoltà di Teologia di Lugano affiliata all’Usi.
Quanto vi siete divertiti a scrivere questo poema?
Varzi: Ci siamo divertiti, e anche molto, ma nel senso profondo della parola, diciamo con grande entusiasmo filosofico. È stato un esperimento di scrittura filosofica molto diverso dai soliti testi che ci troviamo a scrivere e gli esperimenti sono, per loro natura, sempre molto divertenti. E ci siamo anche molto divertiti perché abbiamo fatto tantissime scoperte. Nello scegliere i filosofi da inserire e delle tesi da discutere, ci siamo immersi in autori medievali o dell’Antichità che conoscevamo soltanto un po’ di passaggio, o che addirittura non conoscevamo nemmeno. E ci siamo anche molto divertiti perché abbiamo sviluppato forme di lavoro e di comunicazione a distanza che sono state molto piacevoli.
Calosi: Mi ricordo in particolare le occasioni in cui Achille era in America e io in Europa, con lunghe discussioni, notturne per uno dei due, sulle pene: “Questi li mettiamo nelle gabbie?”, “Quelli del linguaggio come specchio mettiamoli con gli specchi rotti!”. Discussioni con una persona casa i ricordo ah no? Questi mettiamoli nelle gabbie, no? Sono stati momenti di condivisione con una persona cara facendo una cosa che piace a tutti e due.
Varzi: Aggiungiamo una cosa, però. Non l’abbiamo mai vissuta come un’operazione umoristica. Non è un divertissement, un insieme di battute filosofiche; al contrario, l’abbiamo sempre interpretato come un lavoro molto serio di presentazione di un punto di vista filosofico che in ultima analisi è una forma di nominalismo metafisico.
Non è quindi una semplice parodia di Dante.
Varzi: No, non va inteso in questi termini, anche se naturalmente ci rendiamo conto – come se ne rendeva conto anche Dante – che di tanto in tanto qualche pena per contrappasso possa essere tanto curiosa da far sorridere o addirittura sghignazzare chi legge. Questo aspetto c’è, e c’era già in Dante. Ma a parte questo non la abbiamo mai vissuta come una boutade, come una parodia o come un’operazione di umorismo filosofico, e il fatto di avere tutte queste note a piè pagina, come se fosse l’edizione critica di un manoscritto, ci ha permesso di ricostruire un percorso filosofico. Tuttavia, non nei modi canonici, ma in questa forma, per certi aspetti provocatoria, del poema medievale.
Avevate in mente un lettore tipo? Insomma, il testo si rivolge a persone che abbiano già una formazione filosofica e siano disposte a confrontarsi con una scrittura non canonica, oppure anche a novizi della filosofia?
Varzi: Da un certo punto di vista, entrambi. Tra i nostri interlocutori, cioè tra i nostri lettori immaginari, ci sono tutti i nostri colleghi che fanno filosofia, anche se appunto il testo non è standard. Del resto nella storia della filosofia e soprattutto nell’Antichità si faceva scrittura filosofica in molti modi diversi, dal poema di Parmenide ai dialoghi di Platone a certi testi di carattere diciamo più teatrale. Nella tradizione occidentale si è sperimentato molto, ma negli ultimi secoli ci si è un po’ fossilizzati sul trattato e, al giorno d’oggi, sul paper.
Uno dei nostri lettori immaginari è sicuramente il collega che però ha voglia di uscire un po’ dai binari classici. Allo stesso tempo c’è un po’ la speranza di riuscire a raggiungere anche chi non è filosofo di professione ma ama la lettura, ama la letteratura e ama lasciarsi stimolare.
Perché a guidare il Poeta è Socrate?
Calosi: Ci sono diversi motivi. Uno è “tecnico”. Socrate non ha lasciato niente di scritto. E nel testo Atena stabilisce la pena, cioè giudica a quale girone mandare i vari filosofi, pesando i loro tomi per cui Socrate è un personaggio che non appartiene a nessun girone e può muoversi liberamente, può entrare e uscire dal nostro Infero.
Ma ci sono anche motivazioni più filosofiche. Il dialogo socratico è uno dei motivi centrali della ricerca filosofica del Poeta. Socrate non è un portatore di verità dogmatiche, non si porta dietro una prospettiva filosofica ma è, da un certo punto di vista, neutrale. E insegna al Poeta a fare domande: alla fine del viaggio impara a formulare domande molto migliori, meno vaghe e con una terminologia più precisa.
Tra i tanti “peccati del pensiero” che trovano una punizione in questo Inferno, qual è il più grave?
La risposta alla domanda è duplice perché ci sono due sensi in cui si può parlare di un peccato filosofico grave. Una risposta la troviamo nella struttura dell’Infero che troviamo in copertina: in fondo ci sono gli ignoranti e i fraudolenti, questi ultimi a loro vota suddivisi in adulatori, plagiatori e cialtroni. Quindi si può dire che il nostro Poeta ritenga questo il peggio del peggio: i cialtroni della filosofia. E sappiamo che ce ne sono stati tanti, ce ne sono sempre tanti e ce ne saranno tanti. Tra l’altro lì ci siamo ben guardati dall’inserire dei filosofi veri e propri come esempi, ciascuno ci metta chi ci vuole…
E l’altro peccato filosofico grave?
Varzi: C’è un secondo senso, più strettamente filosofico e non metodologico, in cui si può parlare di peccato filosofico grave. E qui il peccato è un realismo ingenuo, un realismo che può anche essere pericoloso per le conseguenze che ne derivano. Il nostro poeta è un come dicevo prima, un nominalista, cioè un anti-realista, uno che pensa che buona parte della struttura che siamo abituati ad attribuire alla realtà è in effetti espressione dei nostri bisogni, del nostro sistema concettuale. E l’errore più grave da questo punto di vista risiede in chi ritiene che invece il mondo sia fatto in un certo modo e che si debba obbedire a come è fatto il mondo. Una posizione che spesso è stata poi sfruttata in ambito etico, in modi che il nostro Poeta ritiene inaccettabile. Per il resto anche oggi si dice “non fare questo perché è contro natura”.
Calosi: Ed è per questo che il poema si chiude con un deserto illuminato. È un’immagine che abbiamo scelto per avere un contraltare metaforico a questa visione: all’uscita dall’Infero, alla fine del viaggio del Poeta, c’è una distesa apparentemente povera ma che in realtà contiene una grande abbondanza. Perché un deserto è un luogo in cui i confini li tracciamo noi, è lo spazio in cui possiamo organizzare le cose come meglio riteniamo. Ed è anche uno spazio in cui ci prendiamo la responsabilità di tracciare certi confini piuttosto che altri.
Non è strano paragonare errori e peccati? Sbagliare è un’occasione per correggersi e migliorare.
Varzi: Diversamente da Dante, dal nostro Inferno si esce: il nostro è un percorso di “purificazione intellettuale” e una volta che si impara dagli errori e attraverso gli errori, si supera l’impasse iniziale. All’inizio abbiamo una situazione parallela a quella di Dante, solo che invece di una foresta abbiamo un pantano che blocca il Poeta. Ed è una condizione in cui ci troviamo quando si fa filosofia. E che cosa si fa in quella condizione lì? Si cerca di fare chiarezza, di capire come mai siete finiti in quel pantano e quale sia la direzione da prendere. Il peccato in filosofia, cioè l’errore di ragionamento, è qualcosa che commettiamo tutti e ci mancherebbe altro, non è che uno poi viene punito per l’eternità. Nella prospettiva dantesca il peccato rinvia a un insieme di verità, di dogmi: chi disobbedisce commette un peccato, punto e basta. In filosofia, come sappiamo, il dogmatismo è una cosa terribile e molto spesso il dubbio è più importante della verità. E infatti Socrate è un maestro, nel generare dubbi dove noi pensiamo di conoscere la verità. I peccati filosofici sono quindi parte di un processo che può essere costruttivo.
Il testo si intitola ‘Comedia metaphysica’, ma mi sembra si spazi verso altre discipline filosofiche.
Varzi: È vero. Infatti il libro lo abbiamo intitolato ‘Le tribolazioni del filosofare’. Abbiamo messo quel sottotitolo perché spesso, soprattutto in epoca medievale, si usava “metafisica” come se fosse il fondamento di tutta la filosofia. Però è vero, si passa dalla metafisica all’etica, alla filosofia del linguaggio, alla logica, all’estetica.
Tra l’altro ‘Le tribolazioni del filosofare’ richiama ‘La consolazione della filosofia’ di Boezio. Per noi la filosofia non dà consolazioni ma dà tribolazioni, purtroppo. E però è forse lì tutto il potenziale rivoluzionario della filosofia: nel non farci sentire tranquilli, ma nell’avere sempre questa voglia di andare oltre. Ed è un tribolare, perché vuol davvero dire non essere mai tranquilli, andare a dormire con mille pensieri per la testa.
Il volume, edito da Laterza