Letteratura

Il processo di distillazione nell’ecopoesia di Prisca Agustoni

Abbiamo incontrato l'autrice a ChiassoLetteraria. Il 19 maggio a Soletta, nel quadro delle Giornate letterarie, ritirerà il Premio svizzero di letteratura

Prisca Agustoni
(Marta Panzeri)
17 maggio 2023
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‘Verso la ruggine’ (Interlinea, 2022), vincitore del Premio svizzero di letteratura, è un libro epico frammentario, così piace definirlo alla sua autrice Prisca Agustoni, poeta, narratrice e traduttrice. Il libro è diviso in due parti, la prima intitolata ‘Colpi di scure’ è composta da un testo introduttivo, ‘L’Oriente capovolto’, e da sette “giornate” o meglio, sette sottosezioni, dalle quali le poesie danno vita a un canto epico frammentario con al centro il tema della distruzione del paesaggio. La seconda parte, denominata ‘Sopravvissuti’ raccoglie quattordici poesie che, per ogni titolo, riportano nomi propri, rievocando attraverso i versi le voci degli abitanti di Mariana e di Brumadinho.

Crimini ecologici

L’ecopoesia di Prisca Agustoni, che rappresenterà anche il Ticino tra pochi giorni – nella cornice delle Giornate letterarie di Soletta (19-21 maggio) – attinge dall’esperienza personale dell’autrice che negli scorsi anni ha assistito in Brasile, dove vive, a un susseguirsi di crimini ecologici perpetrati dalle multinazionali dell’estrazione mineraria che hanno portato alla rapida distruzione del fiume sacro Watu, che in lingua bauru significa ‘fiume dolce’.

In particolare, per questa raccolta, la genesi della poesia di Prisca Agustoni ha trovato slancio partendo da due episodi principali: il primo è il crollo della diga di contenimento nello stato del Minas Gerais, dove l’autrice vive, una diga che tratteneva i detriti di una miniera di ferro che si sono poi riversati appunto nel Rio Doce, il fiume dolce, devastandolo e mettendo in pericolo anche la vita della popolazione indigena, i Krenak; successivamente, nel 2019 sempre nella stessa regione, a Brumadinho, crolla un’altra diga e questa volta il numero di perdite umane è maggiore, oltre duecento.

Proprio partendo dal movimento generato da questa deriva Prisca Agustoni cerca di arrivare al nocciolo della lingua, che per lei è sia quella madre ovvero l’italiano, ma anche il portoghese. Scavando metaforicamente tra le macerie e i detriti, Agustoni va alla ricerca delle giuste parole per affrontare la distruzione ambientale di cui l’essere umano è sia agente che vittima al medesimo tempo «travolto dal fango e dagli eventi storici». Questo carotaggio nella lingua l’ha condotta a ricercare parole evocative, per raccontare solo il necessario, per questo motivo l’ecopoesia si è rivelata la forma più indicata per avvicinarsi quanto basta al linguaggio comune trascendendo comunque la realtà.

Tartarughe

Prisca Agustoni ha raccontato durante le giornate di ChiassoLetteraria di come, l’immagine di sua madre intenta a preparare lo sciroppo di sambuco l’ha accompagnata nella composizione del suo epico frammentario. «Scrivere poesie per me è un processo lento, come la distillazione operata da mia madre quando prepara il suo sciroppo: ci vuole pazienza, bisogna attendere i tempi della macerazione». Infatti, nella prima parte del libro dove gli animali sono gli interlocutori principali, una poesia viene dedicata alla tartaruga «l’animale archetipico che sopravvive alla tragedia» che incarna anche quella lentezza citata poco prima e che secondo l’autrice è anche quell’animale che perdurerà dopo la nostra scomparsa.

In conclusione, Prisca Agustoni cita Paul Celan, il quale, dice «pensa la poesia come un bebè che inizia a gattonare; sulla stessa scia io credo che in contesti catastrofici si debba ripartire dalla poesia, dal suo movimento che educa al rallentamento, da una poesia controcorrente che è dissidenza dei ritmi e non deve per forza parlare la stessa lingua della politica».

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