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I primordi della musica alla radio svizzera

A novant'anni dalla ‘Stazione radio nazionale onde medie del Monte Ceneri’, viaggio alle origini della proposta musicale radiofonica confederata

Museo della Radio, Rivera
(Ti-Press)
17 aprile 2023
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Nel 1936 sulla ‘Schweizerische Musikzeitung’ (SMZ) Karl Heinrich David apriva un’inchiesta sui problemi posti dalla radiofonia relativamente alla musica. Egli riconosceva un ruolo importante alla radio come “datore di lavoro” di artisti-interpreti, ma nel contempo rilevava la posizione di coloro che esprimevano scetticismo sulla sua pretesa di agire come istituzione culturale, vedendola piuttosto come sostitutiva e di secondo rango rispetto a quelle consolidate. Hans Ehinger propugnava l’elevazione della musica di intrattenimento a buon mercato in alternativa alla canzone di successo, al “Salonstück” e ai pezzi caratteristici. Rudolf Moser non mancava di porre in rilievo la possibilità data dai programmi svizzeri di riscoprire opere dimenticate di valore e di avvicinarsi a composizioni contemporanee interessanti. Heinrich Sutermeister raccomandava al critico radiofonico l’umiltà e la necessità di porsi in una posizione non da specialista in materie umanistiche ma vicina al punto d’osservazione della maggioranza degli ascoltatori. Erich Schmid sollecitava l’impegno a considerare la qualità fin negli aspetti della “musica folclorica primitiva” e del repertorio leggero. Paul Sacher denunciava la passività dei musicisti-interpreti nel considerare la radio come un mezzo di semplice propaganda e, in un’ottica di dichiarato centralismo, proponeva una “Radio Schweiz” provvista di un’orchestra di prima qualità con 80 esecutori, articolata in sottoformazioni per tutte le esigenze, uscendo dalla logica provinciale degli studi regionali. Gli si contrapponevano Roger Vuataz, rilevando l’importanza di una radio svizzera aperta in primo luogo ad autori svizzeri allo scopo di garantire una specificità dell’offerta (“couleur locale”) nel concerto internazionale, e Ernst Isler, il quale nel federalismo non coglieva solo gli svantaggi ma anche i vantaggi, in termini di specializzazione degli studi regionali in compiti differenziati.

In verità già vi era formulato tutto il ventaglio dei giudizi che periodicamente si sono affacciati nei momenti in cui la SRG SSR è stata chiamata al riesame della sua funzione, attuali anche oggi in un paesaggio mediatico ancora più aperto. D’altra parte non stupisce la varietà delle opinioni intorno al ruolo della radio negli anni 30 in una Svizzera che giungeva a definire il suo assetto quasi con un decennio di ritardo rispetto ai grandi paesi limitrofi. Prima ancora che fossero operative le stazioni sorte in diverse città del paese il nuovo mezzo consentiva già l’ascolto dei programmi esteri, aprendo le porte alla dimensione di massa della cultura ma anche alle influenze esterne. Nella tesa situazione politica europea, di regimi contrapposti interessati ad estendere la loro sfera d’influenza, la radio nazionale si impose quindi subito come strumento di difesa della specificità della Confederazione nei suoi valori sociali, politici e culturali. Dal punto di vista musicale ciò significava aprire le porte degli studi radiofonici agli interpreti e ai complessi corali ed orchestrali svizzeri, nonché ai compositori, anche se in quest’ultimo caso la proporzione rispetto al repertorio internazionale non poteva pretendere di occupare una posizione di forza. E comunque evidente che la presenza di musica svizzera nei programmi radiofonici svizzeri fosse rilevante, sicuramente più di quanto non lo fosse nella programmazione delle istituzioni concertistiche in cui operavano orchestre cittadine.


Museum für Kommunikation, Bern
Frequenze anche ticinesi (era il 13 aprile del 1933)

Nazionalismo culturale

È significativo che tale problema venisse sollevato dall’Associazione dei musicisti svizzeri (AMS) proprio in relazione ai programmi radiofonici. Ciò avvenne nel 1938 con un intervento polemico sulla SMZ, in cui si rimproverava al primo Kapellmeister dell’Orchestra di Radio Zurigo di aver eseguito ben 112 composizioni russe nello spazio di soli 6 mesi, trascurando il repertorio nazionale. La replica dei responsabili, oltre a ridimensionare quella cifra, faceva invece stato di una proporzione decisamente più favorevole ai musicisti svizzeri (9,8% composizioni svizzere di contro a 90,2% di composizioni straniere nel secondo semestre del 1936) rispetto alla prassi delle orchestre cittadine, dove solo San Gallo e Ginevra si avvicinavano a quel livello (9,3 rispettivamente 8,5%), mentre a Zurigo la Tonhalle non superava il 6,1%, Basilea il 5,8%, Berna il 3,8% e Winterthur il 2,3% (nella stagione 1937/38). Evidentemente l’aspettativa di musica svizzera nei confronti della radio era maggiore, poiché presso le organizzazioni concertistiche non risultavano interventi del genere da parte dell’AMS. Ciò non può essere semplicemente imputato al luogo comune secondo cui “la radio è un’organizzazione ipertrofica come molte al giorno d’oggi, un’idra alla quale non ci si può avvicinare”, accusata di assorbire i 2/3 dei mezzi nell’amministrazione e nei servizi tecnici, lasciando poche risorse agli artisti, accompagnato dall’accusa di riservare agli interpreti onorari troppo bassi con la conseguenza di doversi accontentare di prestazioni mediocri al microfono (SMZ 1936). Era soprattutto il carattere nazionale dell’istituzione, e non più locale e regionale, a sollecitare un livello di responsabilità capace di mobilitare le forze disponibili verso la nuova frontiera di un’offerta musicale che la SMZ ufficializzò fin da subito con l’apertura di una rubrica (Radio) concepita come osservatorio dell’attività degli studi radiofonici, soprattutto per quanto riguardava gli aspetti innovativi della creazione. Nel 1932 Radio Zurigo viene segnalata per una “Schoeck-Abend”, per una serata con giovani e anziani compositori zurighesi, per il Concerto per violoncello di Rudolf Moser e per la prima esecuzione del Concerto per pianoforte n. 2 di Alberi Moeschinger. Il fatto ad esempio di rilevare nel 1933 una serie di serate intere di musica moderna svizzera (Moser, Müller von Kulm, Hans Haug, Hans Huber) con varianti addirittura monografiche (una dedicata a Werner Wehrli, l’altra ad Honegger) mostra un impegno senza precedenti in altre istituzioni nella promozione degli artisti viventi.

Decisamente la stazione zurighese sotto l’impulso di Hermann Hofmann mostrava un dinamismo senza pari che induceva a concepire serate tematiche dedicate alla musica contemporanea di vari paesi. Nella serata ungherese non passò inosservata la presenza di Béla Bartók come interprete del suo Concerto n. 2, preceduto dalla presentazione delle Danze di Maroszek di Kodaly e seguito da una serie di composizioni vocali degli stessi due autori con Bartók stesso al pianoforte quale accompagnatore di Ilona Durigo, il cui testo tradotto figurava sulla Radiozeitung per un più diretto coinvolgimento degli ascoltatori.

Democrazia dell’ascolto

Tale fatto rivela abbastanza chiaramente come le intenzioni alla base dell’offerta musicale radiofonica fossero di tipo formativo, mirassero cioè a creare una cultura musicale presso il pubblico generico e non necessariamente presso i frequentatori delle sale di concerto. A quel tempo la radio, che in Svizzera alla fine del 1935 raggiungeva già i 418’900 utenti, veniva celebrata proprio per la capacità di estendere la sua azione presso il pubblico vergine al di là del raggio urbano, in ogni focolare, in ogni ceto sociale. Ne conseguiva un principio pedagogico che induceva a ritenere possibile un allargamento del contesto di ricezione senza passare per i gradi di preferenza assodati presso il pubblico borghese. Mirando all’ascoltatore generico, considerato disponibile al messaggio acculturante, lo si poteva ritenere libero dai pregiudizi nei confronti della musica contemporanea gravanti sulla componente conservativa dominante nella cerchia borghese. In questo senso la radio veniva a costituire lo stadio più avanzato della tradizione “festiva” svizzera, dei raduni di massa coinvolgenti la popolazione senza distinzioni di ceto, nei rituali del “Festspiel” inteso come rappresentazione del popolo per il popolo, tipica di un paese di cultura politica fondata sul senso di responsabilità comunitaria e sul principio della partecipazione. Non meraviglia quindi che Radio Basilea nel 1936 festeggiasse i 10 anni della propria esistenza con una serata strutturata come un “Festspiel”, a partire dall’apertura affidata alle campane della cattedrale. L’anniversario parallelo di Radio Berna fu festeggiato alla stessa maniera con numerose trasmissioni tra cui un concerto della Bernische Musikgesellschaft diretta da Luc Balmer (Streicherfantasie di Willy Burkhard e il Violinkonzert di Albert Moeschinger) a cui facevano da contorno il Berner Mannerchor, la Stadtmusik della capitale (con la Festliche Ouvertüre di Stephan Jaeggi) e il Berner Streichquartett col pianista Hirt nel Klavierquintett sul tema popolare bernese ‘Es isch settige Stamme’, composto su incarico per il giubileo radiofonico. Moderno e popolare si incontravano al di là di ogni possibile riserva.


Ti-Press
Museo della Radio, Rivera

Nella Svizzera italiana

Di vero e proprio “Festspiel” si deve invece parlare a proposito delle iniziative spettacolari di Radio Monteceneri, che qualche anno dopo videro la stazione radiofonica della Svizzera italiana impegnata a sviluppare una tradizione da poco attecchita a sud delle Alpi (il primo “Festspiel” ticinese risale appena al 1924 con Il trionfo della camelia a Locarno). Orbene, proprio per la perifericità del Ticino rispetto alla radice delle grandi tradizioni nazionali, il ruolo che nella regione assunse la radio su questo fronte fu fondamentale. Ovviamente alla fine del decennio esso si inquadrava nel principio acquisito della “difesa spirituale” di cui la radio nazionale si fece carico a più di un livello, anche e soprattutto musicale. La prima realizzazione di questo genere prodotta dalla stazione radio luganese nell’ambito delle manifestazioni della Fiera svizzera fu la “commedia lirica” Casanova e l’Albertolli (1938) di Guido Calgari, dove il celebre personaggio settecentesco, che effettivamente soggiornò a Lugano nel 1769 per stampare un suo libro polemico, veniva sceneggiato nell’ambiente storico dominato dal landvogto von Roll.

Per l’aspetto musicale, a marcare la novità assoluta di questo genere teatrale epico-storico, l’incarico fu dato al compositore solettese Richard Flury anche a costo di affrontare un esito poco convincente a causa della musica “poco italiana”. A Walter Jesinghaus la RSI affidò l’incarico di comporre un altro Festspiel Leggende ticinesi (su testo di Virgilio Chiesa e Giuseppe Zoppi), eseguito sotto la direzione di Otmar Nussio l’11 novembre 1938 nel concerto d’inaugurazione del nuovo studio. Il 29 maggio 1939 Radio Monteceneri trasmise in diretta dall’Esposizione nazionale di Zurigo lo spettacolo Sacra terra del Ticino di Guido Calgari con musiche di Giovan Battista Mantegazzi, rivelatosi il momento più intenso di coscienza patriottico-regionalistica per il paese minacciato dalla guerra. Lo sforzo maggiore profuso in questo campo da Radio Monteceneri fu nel 1941 l’allestimento di Vita ticinese su libretto di Vinicio Salati con la musica di Otmar Nussio, dal 1938 direttore dell’Orchestra della Radio della Svizzera italiana. La grande manifestazione avvenne alla Fiera svizzera di Lugano nell’ambito dei festeggiamenti per il 650esimo della Confederazione. Articolato come un trittico sui temi del “pane” (rappresentazione della faticosa condizione contadina per guadagnarsi da vivere), l’”arma” (la coscienza del soldato di fronte alla patria minacciata), la “fede” (la dichiarazione di appartenenza del Ticino ai destini della nazione), grazie a una musica efficacemente collocata a metà strada tra le intonazioni popolari e una solida struttura compositiva esso costituisce la realizzazione più matura raggiunta nella Svizzera italiana in questo settore creativo.

Rispetto alla vita musicale del nostro paese la radio interpretò per molto tempo in termini istituzionali un ruolo attivo di mediatore, declinando in nome della caratteristica “democratica” svizzera la funzione coesiva dei livelli culturali che propriamente le compete. Senza appiattirsi sul gusto di massa né privilegiando le espressioni radicali fatalmente ghettizzabili in spazi remoti della programmazione, ad essa va riconosciuto il merito di aver dato corpo a modelli che si giustificano sia sul piano specifico della comunicazione, sia su quello condiviso con la scena culturale nazionale, in quei decenni ancora impegnata ad affermare il carattere fondante di valori che legittimavano la loro autenticità nel riconoscimento della radice popolare.


Keystone
Arthur Honegger nel 1947

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