Jazz Cat Club

Dobler-Moroni, tra Modern Jazz Quartet e American Songbook

Lunedì 15 maggio, gran finale al Teatro del Gatto di Ascona con Thomas Dobler al vibrafono, in un quartetto che include anche il pianista Dado Moroni

All’insegna degli standard e di un celebre quartetto
14 maggio 2023
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Della musica dice che è necessaria alla vita come il sole. È nato a Zurigo nel 1978 e residente in Svizzera romanda dal 2011, vibrafonista acclamato, musicista di musica classica, jazz e world music, arrangiatore, band leader, professore e responsabile del programma jazz presso la Haute Ecole de Musique Hemu di Losanna. Lunedì 15 maggio alle 20.30 al Teatro del Gatto (biglietti alla cassa o sul sito jazzcatclub.ch), Thomas Dobler guiderà un quartetto comprendente anche Dado Moroni al pianoforte, nel concerto finale della stagione del Jazz Cat Club. Una serata all’insegna degli standard e della musica del Modern Jazz Quartet.

Thomas Dobler, lei è un musicista estremamente versatile spaziando dalla musica cubana al jazz alla classica. Come si è avvicinato alla musica? Iniziando da una formazione classica e poi passando al jazz?

Ho avuto la fortuna, quando avevo cinque anni, di avere come primo docente di musica un insegnante che faceva studi di percussione classica e allo stesso tempo era un batterista di funk e fusion. Nel suo insegnare la musica, questi due aspetti erano sempre presenti. Questo approccio mi ha sicuramente influenzato. Infatti, in seguito, nel mio percorso di studi ho sempre lavorato su più piani, perché per me era la cosa più naturale del mondo. L’importante è rimanere curiosi e considerare che da ogni musicista, non importa quale sia la sua origine o il genere che fa, ogni volta impari cose nuove. Capire come i musicisti si esprimono è come imparare ogni volta una nuova lingua.

Ma si diverte di più a suonare la classica o il jazz?

Difficile da dire (ride, ndr). Se suonati bene, entrambi i generi sono divertenti.

In ambito classico ha a lungo collaborato con l’Orchestra della Tonhalle di Zurigo…

Sì, per una quindicina di anni. A tempo parziale, ma ho avuto la grande fortuna di lavorare con i migliori direttori d’orchestra del mondo. Un’esperienza fantastica.

È poi così tanto diverso suonare con un’orchestra classica rispetto a un quartetto jazz?

È molto differente. Ci sono due codici diversi, sia sul piano musicale e sia dal punto di vista delle interazioni sociali. L’orchestra è molto organizzata, meno centrata sull’espressione delle singole individualità. Ognuno ha il suo ruolo chiaramente definito e sa che cosa ci si aspetta da lui, mentre in un quartetto jazz ogni musicista deve in qualche modo inventarsi, trovare la sua identità, cosa che non necessariamente viene chiesta se suoni in un’orchestra.

Spesso i suoi progetti si collocano tra la classica e il jazz. L’omaggio al classicheggiante Modern jazz Quartet, non è un caso, vero?

In effetti la loro musica è ricollegabile per diversi aspetti alla musica barocca, che presenta diverse similitudini con il jazz nella misura in cui elementi come l’improvvisazione e la variazione ne sono parte integrante; inoltre, la sezione ritmica nel jazz ha la stessa funzione del basso continuo nel barocco e le forme sono anche molto simili.

E il Modern Jazz Quartet in tutto questo?

Il Modern Jazz Quartet anzitutto è un punto di riferimento per me in quanto ci suonava il leggendario Milt Jackson al vibrafono. Poi, quello che ha fatto il Modern Jazz con la musica di Bach ha rappresentato una grande novità per quei tempi. Nel frattempo, certo, le cose sono andate avanti…

Pensiamo al suo progetto New Baroque…

Per esempio. New Baroque è un mix di arrangiamento, composizione, interpretazione e improvvisazione.

Lei suona uno degli strumenti più affascinanti che ci siano, il vibrafono. C’è un motivo particolare in questa scelta?

Mi sono avvicinato al vibrafono quando studiavo le percussioni classiche, di cui il vibrafono fa parte. L’ho scelto come strumento principale perché comprende sia l’aspetto ritmico-percussivo, sia quello melodico sia quello armonico. È uno strumento appassionante.

Con Dado Moroni la lega una lunga amicizia. Ci racconti qualcosa sul vostro rapporto e la vostra collaborazione artistica. Che tipo è Dado?

Ci conosciamo da una quindicina di anni. Curiosamente, all’inizio, ci si vedeva in vari contesti ma soprattutto per mangiare e bere. Insomma, il quadro era quello dell’incontro amichevole e ci è voluto un po’ di tempo prima che cominciassimo a collaborare. Ora sono almeno cinque anni che suoniamo regolarmente in duo o quartetto. Dado è una persona estremamente generosa, per me, nel jazz tradizionale, all’americana, è uno dei miglior pianisti al mondo. Ha una conoscenza impressionante del patrimonio jazz, è una sorta di biblioteca. Armonicamente parlando, ha un grande orecchio e quello che fa a livello ritmico è davvero notevole. Insomma, un artista fantastico.

Per il concerto di lunedì vi limiterete a brani del Modern Quartet o spazierete nel repertorio degli standard?

Il Modern Jazz Quartet è soprattutto un punto di riferimento stilistico, ma il repertorio, molto improntato sulla melodia, sarà incentrato soprattutto sull’American Songbook. In più, faremo anche un paio di pezzi nostri.

Un buon motivo per non perdere il concerto?

Il primo si ricollega alla musica e all’amicizia. Parlo di quelle vibrazioni, di quell’energia positiva che si trasmette sul palco e da qui al pubblico in sala quando quattro individui che amano quello che stanno facendo hanno voglia di condividerlo. Un secondo motivo d'interesse è poter vedere suonare un vibrafono, uno strumento abbastanza scenografico ma relativamente poco conosciuto. E musicalmente sarà una serata molto contrastata, con tante atmosfere diverse, con lo swing a fare da collante.

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