La recensione

Riccardo III tra video, social e fake news

Al Lac, stoico Pierobon, elegante Kustermann, ma disturbano (in primis) i repentini passaggi dai toni drammatico/tragici a quelli del farsesco/grottesco

Ieri, 5 aprile, e in replica questa sera a Lugano
(Luigi De Palma)
6 aprile 2023
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Incontrai Riccardo III per la prima volta nel 1985 al Teatro La Maschera di Lugano, nella versione firmata da Alberto Canetta. Accanto agli attori tutti bardati con un drappo nero e una maschera bianca quasi costantemente sul volto, l’apparizione di Ketty Fusco su una sedia a rotelle fu certo lo strappo più clamoroso che il compianto regista si permise riguardo al dramma shakespeariano.

Nella versione vista nei giorni scorsi al Lac, la coppia magiara Krista Székely (regia) e Armin Szabo (dramaturg) si prende viceversa ben altre quanto clamorose libertà. Il celeberrimo monologo iniziale (“L’inverno del nostro affanno s’è ora tramutato in una luminosa estate, grazie a questo bel sole di York”) vi figura ancora, posticipato tuttavia di un bel tot. Niente in contrario da parte mia sull’attualizzazione di un testo, ma potete immaginare un’edizione della Divina Commedia che presenta “Nel mezzo del cammin di nostra vita…” solo dopo il dramma del Conte Ugolino? L’ambientazione è traslata ai giorni nostri e la scenografia di Botond Devich ci porta in un ambiente che fa pensare a uno chalet: le travi a vista, la sala dominata da un grande camino con la cappa di mattoncini la cui geometrica sequela si interrompe giusto a metà per dar posto a un monitor tv. È l’escamotage pensato per propinarci da tal video dapprima il ricorso a un pr in vista dell’incoronazione ufficiale del Duca di York e poi – come un gatto che si morde la coda – per sparare a zero su talk show, fake news, social e quant’altro personalmente definisco “diavolerie moderne”.

Sul grande schermo che fa da sfondo al palcoscenico vediamo il futuro Riccardo III salutare il pubblico – come fanno i ragazzini che intravedono le telecamere puntate su un calciatore al termine di una partita – mentre suo fratello re Edoardo IV cerca di illustrare il suo programma di governo: “So io qual è il bene di tutti e del Paese!”. Sembra di sentire il Berluska e per bona pesa c’è chi gli suggerisce di ricorrere alla maschera del fango sintetizzata da Roberto Saviano (“Non temere di gettare troppo fango sugli avversari, qualcosa certo gli resterà appiccicato addosso”). In un delirio massmediatico di sicuro non contemplato dal Bardo, ecco Riccardo dapprima lanciarsi in un “chi non è con me è contro di me” di mussoliniana memoria e poi chiedere direttamente alla platea “Voglio ascoltare la vox populi! Sono io il vostro re?”. Chi non alza la mano, tra il pubblico, è severamente redarguito e allora sembra lecito pensare a Jannacci: la televisiun la gà na forza de leon. Nella loro furia d’attualizzazione, regista e drammaturgo costringono Margherita di Lancaster a lanciare un appello affinché un popolo aggredito possa dotarsi delle armi necessarie a difendersi, e se vi viene in mente l’Ucraina avete fatto bingo! Ciò che disturba maggiormente, tuttavia, sono i repentini passaggi dai toni drammatico/tragici a quelli del farsesco/grottesco: difficile capacitarsene e, al limite, farsene una ragione, in mezzo a tanto bailamme.

Per nostra fortuna (leggendo le recensioni e soprattutto le rimostranze dei colleghi italiani dopo l’esordio del marzo scorso) ci è stato risparmiato – dopo il celeberrimo “Un cavallo! Il mio regno per un cavallo” – un incredibile quanto insulso “Questo debbo averlo letto da qualche parte!”, inizialmente previsto e andato in scena nelle prime repliche di uno spettacolo dove si salvano lo stoicismo di Paolo Pierobon (costretto ad agitarsi sul palco con una mano sempre infilata in tasca per dimostrare l’anomalia storicamente provata di Riccardo) e – seppur relegata in un cammeo – l’eleganza di Manuela Kustermann.

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