laR+ Votazione 18 giugno

Orari di aperture dei negozi e fake news

Le campagne politiche, ahimè, si giocano sempre di più su disinformazione e menzogna, le cosiddette “fake news” abbondano. D’altronde, a colpi di fake news c’è chi è riuscito a farsi eleggere presidente degli Stati Uniti, vuoi che alle nostre latitudini non ci sia nessuno che se ne ispiri per le sue battaglie? Ma il sindacato non è d’accordo di scherzare sui diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, per cui riteniamo necessario prendere carta e penna e segnalarle tutte, una per una, le panzane prodotte dagli uni e colpevolmente riprese dagli altri.

Prima bugia, la più grande di tutte, quella della “piccola modifica”. Si tratta invece di un cambio sostanziale, che aumenta in modo esponenziale il numero dei negozi che potranno restare aperti 365 giorni l’anno: raddoppiando la superficie di vendita autorizzata, il numero dei dipendenti toccati dal lavoro domenicale aumenterà con un rapporto ben maggiore. De facto, una liberalizzazione quasi completa del lavoro domenicale nella vendita, in barba alle disposizioni previste dalla Legge sul Lavoro (legge che definisce, lo ricordiamo, che “il lavoro è vietato nell’intervallo che intercorre tra le 23 del sabato e le 23 della domenica (tranne che) se è indispensabile per motivi tecnici o economici”).

E poi, “i lavoratori possono rifiutare di lavorare la domenica”. Falso, a meno di credere che chi decidesse di rifiutare non si trovi poi “sostituito” da personale più flessibile o senza obblighi familiari, ad esempio. Ma andiamo avanti: “Le nuove aperture permetteranno la creazione di impiego”. L’esempio italiano dimostra il contrario. Le aperture domenicali hanno fatto crollare le vendite durante gli altri giorni della settimana, e più di 30’000 imprese hanno chiuso in due anni di liberalizzazione degli orari, causando la perdita di 90’000 posti di lavoro. Altri studi dimostrano come il personale con responsabilità familiari sia stato espulso da mercati del lavoro così strutturati.

Ancora un paio di clamorose bugie veicolate dalle associazioni padronali del settore? “Queste aperture permetteranno di contrastare il turismo degli acquisiti”. Forse il sabato non ci sono colonne di auto ticinesi verso i centri commerciali oltre frontiera? Eppure, dovrebbe essere chiaro a tutti che il problema è legato ai prezzi più bassi e quindi al basso potere d’acquisto della popolazione, e non agli orari di apertura. Andiamo avanti, perché qualcuno racconta pure che il lavoro domenicale sarà pagato con delle indennità del 50%. Dimenticando di dire che la legge prevede questo supplemento soltanto per le prime 6 domeniche: quando il lavoro domenicale diventa regolare, proprio come richiesto dai fautori della legge in votazione il prossimo 18 giugno, le indennità spariscono. Il soldino da una parte, ovviamente senza il panino dall’altra. E non resta che mangiare la propria rabbia…

Dulcis in fundo, gli oppositori alla legge sarebbero contrari ad aprirsi ad una sorta di “dovuta modernità”. Ma per noi, modernità vuol dire sostenibilità e non sfruttamento, modernità non vuol dire precarietà, modernità significa creare posti di lavoro sostenibili e con salari dignitosi, non peggiorare ulteriormente condizioni già oggi inaccettabili.

Potremmo continuare a lungo, ma per questioni di spazio ci fermiamo qui, invitandovi a consultare la lista completa e approfondita delle fake news di campagna sulle pagine web del comitato unitario www.noaperturedomenicali.ch o sui social dei sindacati Unia e Ocst.

Contro la disinformazione, per un voto cosciente e solidale: No ai nuovi orari di apertura dei negozi il prossimo 18 giugno.

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