Culture

Addio a Hans Magnus Enzensberger, faro del dopoguerra tedesco

La Germania piange l’intellettuale onnivoro che “impersonava libertà d’espressione”

1929-2022
(Keystone)

Una produzione enorme, senza un centro evidente, è forse il risultato di quell’aspirazione dichiarata all’universalismo. La Germania dice addio ad Hans Magnus Enzensberger, e tributa omaggio a uno degli intellettuali decisivi del dopoguerra tedesco. Lo scrittore è morto mercoledì a Monaco, all’età di 93 anni, secondo quanto ha riferito la casa editrice Suhrkamp, raggiunta dalla famiglia. E il vuoto lasciato da questo "onnivoro" intellettuale è subito tangibile. "Suo marito non ha mai temuto di rivolgere anche le domande apparentemente più semplici. Originalità inesauribile, pensiero sorprendente, voglia di umorismo e ironia erano le firma inconfondibile della sua opera", ha scritto il presidente Frank Walter Steinmeier, nel messaggio di cordoglio alla vedova Katharina. "Ha personificato la libertà di espressione e di pensiero, di cui la nostra democrazia ha bisogno come l’aria che respiriamo", la chiosa. "Poeta, reporter, saggista, illuminista, collezionista, editore, redattore, provocatore, traduttore, critico, pedagogo, ammonitore", elenca la Faz, che ne ricorda l’ineguagliabile eleganza del tratto. C’è un’immagine che rende bene l’idea del colosso che perde oggi il Paese: "Era il polso intellettuale di una Repubblica federale più sfacciata e più interessante", scrive infatti il severo giornale di Francoforte. E in effetti quello che resta è l’ammirazione generale lasciata da uno spirito arguto, libero, un polemista che ha affrontato molte materie, attraversando la storia della Repubblica federale.

Nato a Kaufbeuren nel 1929, troppo giovane per diventare un soldato nel nazifascismo, visse la sconfitta della Germania e l’arrivo degli alleati come una liberazione, si ricorda fra l’altro di lui. Poeta giovanissimo, fece parte del leggendario Gruppo 47, e poi fondò la rivista culturale ‘Kursbuch’, guidata per un decennio dal 1965. Figura di riferimento del calibro di autori come Guenter Grass, Martin Walser, e Heinrich Boell, Enzensberger spaziò dalla lirica ai romanzi, scrisse con ben tre pseudonimi – presi in prestito dal 18esimo secolo – e con una produzione complessiva di oltre 70 tomi trovò la sua forma ideale di espressione nel saggio. Era anche un estimatore delle capacità intellettuali dell’infanzia, e proprio ai bambini destinò alcune opere, come ‘Il mago dei numeri’. Altri titoli indimenticabili sono ‘Tumulto’, in cui descrisse le esperienze fatte nel gruppo extraparlmentare Apo negli anni 60; ‘Parli sempre di soldi!’, ‘Che noia la poesia’, ‘Il perdente radicale’, ‘La fine del Titanic’.

"Una specializzazione non è mai stata presa da me in considerazione come soluzione - disse una volta, rivelando la chiave del suo percorso -. Anche se il sapere enciclopedico non è più possibile. Resta l’obbligo d’insistere sull’universalismo". Ed è la Suddeutsche Zeitung a ricordarlo nel giorno della morte come "l’enciclopedista". Un’apertura che si riflette anche nella vicenda esistenziale del cosmopolita, che visse lunghi periodi all’estero: in paesi come Cuba, in Norvegia, in Italia, negli Usa e Berlino ovest. Mentre nel ’79 si trasferì a Monaco di Baviera. Di questa attitudine parlò nel saggio ‘Sulla difficoltà di essere un indigeno’, dove definisce "la dissoluzione della nazionalità come forza obiettiva che plasma la società". La sua lente da intellettuale si era misurata con moltissimi temi, e indimenticate restano le critiche ai media, alla burocrazia europea, la difesa ironica della società di consumo, l’articolo politico provocatorio su "Saddam, Hitler". Sulle crisi degli ultimissimi anni, fra la pandemia e lo scoppio della guerra in Ucraina, non ha potuto più pronunciarsi. La Germania lo rimpiange già.

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