L’intervista

Andrea Fazioli alla frontiera con l’oscurità

Elia Contini, l’investigatore che vive sulle montagne ticinesi, è tornato. ‘Le strade oscure’, noir con bestiario annesso, raccontato dall’autore

‘Se si parla di quotidianità, e se si parla di un frontaliere, si deve dar conto della realtà con tutte le sue storture’
(Facebook)
10 settembre 2022
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"Sono lieto che nel 2022, appena un po’ più vecchio, continui a camminare nei monti sopra Corvesco". Nella nota dell’autore, quando tutto è concluso, i ringraziamenti includono anche Elia Contini ‘in persona’, l’investigatore privato che vive sulle montagne ticinesi. «Mi sono reso conto, anche con sgomento, che per me sono passati già vent’anni e che lui, invece, è invecchiato di una decina, non di più», dice Andrea Fazioli, che oggi, alla Libreria Taborelli di Bellinzona (dalle 10.30 fino alle 12) incontrerà il pubblico firmando di suo pugno ‘Le strade oscure’ (Guanda).

Nell’ultima fatica letteraria di Fazioli, Contini incrocia la traiettoria esistenziale di Ernesto Magni, pendolare da una decina d’anni tra Sarnate, località di fantasia in provincia di Como, e Molino Nuovo, Lugano. La dolorosa e mai accettata separazione dalla moglie Liliana e un improvviso licenziamento cambiano il corso della vita dell’ex professore di scienze che un giorno si era dovuto arrangiare. Tra frontalierato, sfruttamento, corruzione, ‘ndrangheta, molestie e alcune rare schiarite sentimentali, Fazioli oscilla tra la quotidianità e la psicologia dei personaggi chiedendo aiuto agli animali, in un pregevole bestiario di prose brevi che confluiscono nel noir: "Ho inventato una serie di animali immaginari e ho lasciato a loro il compito di mostrare ciò che non sono riuscito a dire", scrive l’autore annunciando il libro. Poco più sotto, unitamente a un doppio estratto dal bestiario, gliene chiederemo conto.

Partiamo dall’inizio, o dalla fine, dal ringraziamento personale: quanto più ‘fisico’ è divenuto nel tempo Contini?

Se penso al me stesso universitario di quando nacque e il me stesso che ha passato i quarant’anni, ha acquisito un peso e una concretezza che all’inizio non poteva avere. Un po’ per l’essere Contini, in principio, debitore di qualche cliché come forse ci si poteva attendere, ruvido e un po’ sdrucito detective 40enne, pur con le sue unicità creative, l’abitare in un paese di montagna ma avere l’ufficio a Paradiso, il suo rapporto col vecchio eremita mezzo matto che vive nei boschi, ispirato a figure anche reali della Svizzera italiana. Negli anni, Contini aveva bisogno di essere più vero, più reale, con tutta la fatica che per me comporta il fargli fare ogni volta cose nuove.

Per fatica s’intende il non ripetersi?

Per fatica intendo che in tanti anni di scrittura s’impara anche un mestiere, cosa non disprezzabile, ma io faccio fatica a scrivere in replica e con Contini accade a ogni romanzo. Forse è per questo che, rispetto ad altre serie poliziesche, i suoi romanzi non sono tanti. La difficoltà è quella di cercare di essere nuovo per quanto la scrittura di una serie poliziesca ti possa portare esattamente dall’altra parte. Come in questo caso, unendo un romanzo noir ad alcune prose poetiche, l’idea folle di fondo….

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Buiardo

Ti voglio raccontare di una bestia che di solito, se la lasci tranquilla, non ti fa del male. O almeno, così dicono. A volte invece è molto aggressiva, forse perché intuisce la fragilità delle vittime. Chi non si sente fragile, quando arriva il buio?

La notte non può farci del male, ma il buiardo sì. Lui non è la notte, è solo qualcosa che ha il colore, la forma, la consistenza della notte. Una persona è seduta in una spiaggia o in un prato, magari sta guardando le stelle. Intorno non si vede niente. Ed ecco, una forma nera balza sulla vittima, la stringe con le zampe nere, la fissa con gli occhi neri. Se ci sono altre persone vicine, quasi sempre non se ne accorgono: è difficile riconoscere un buiardo. Intanto la vittima non sa più chi sia, né perché si trovi in questo mondo senza più l’ombra di un desiderio. I canini oscuri azzannano la preda, i premolari e i molari oscuri stritolano i suoi pensieri.

Poi il buiardo se ne va. Come tutti i felini, anche lui sa muoversi in perfetto silenzio nel cuore della notte.

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Parliamone, dunque. E perché proprio un bestiario?

Ho pubblicato queste brevi prose solo raramente, la maggior parte è stata letta soltanto dagli amici. M’interessava unire i due poli, quello in cui ceselli le parole, la prosa breve, e quello in cui scrivi seguendo il flusso, il romanzo, due anime della mia scrittura. Di prose brevi ne ho recuperate alcune risalenti al 2017, che mi hanno dato l’idea del romanzo; altre sono state create mentre lo scrivevo. Ma non importa quando siano nate, ne sono il motore. Un bestiario perché l’animale non dice mai compiutamente ciò che si nasconde dietro la metafora. Come dimostra Federico Tozzi nelle sue ‘Bestie’, l’animale ha una forza simbolica, una sua concretezza di figura, di metafora, approfondisce la storia senza spiegare nulla.

Non c’è il rischio che il lettore non riconosca più il ‘suo’ Contini?

I miei lettori sono abituati alla sua progressiva evoluzione. È vero, può sussistere il rischio che alcuni di essi, vedendolo coinvolto nella rapina in banca (‘Come rapinare una banca svizzera’, terzo romanzo della serie, ndr), o inserito nello squarcio sul Sahara in ‘Gli svizzeri muoiono felici’ rivendichino un giallo più tradizionale o restino sconcertati, ma il mio rimane comunque un giallo. La difficoltà, che è poi l’eterna sfida, è anche quella di unire una ricerca di verità nella letteratura con la piacevolezza della lettura.

‘Le strade oscure’ è anche una storia di frontalieri, per un Contini che pare sempre più vicino alla quotidianità...

Mi sento di rispettare una delle regole del genere noir, l’aggancio alla realtà, che nel caso di questo romanzo sono gli 80mila che attraversano il confine ogni giorno, formando una piccola cittadina in movimento nella quale ho voluto ambientare una storia, scegliendo come protagonista un frontaliere e mostrando alcuni meccanismi perversi legati al mondo del lavoro, allo sfruttamento dei lavoratori, al dumping salariale, agli imbrogli di presunti sindacati e alle infiltrazioni della ‘ndrangheta, cresciute d’intensità dagli ultimi romanzi. Questa quotidianità s’inserisce nel discorso generale sul bene e sul male, che sono un bene e un male non soltanto privati. Non si tratta di una teorica denuncia sociale, ma se si parla di quotidianità, e se si parla di un frontaliere, si deve dar conto della realtà con tutte le sue storture.

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Pulciottera

Ci sono degli animali minuscoli, certe meduse quasi invisibili o certe rane di pochi millimetri. E ci sono quelli giganteschi, come le balene. La pulciottera invece è una bestia insieme piccola ed enorme. Quando due esseri umani si trovano vicini, può darsi che le pulciottere dell’uno saltino in testa all’altro. A volte accade in pochi minuti, a volte dopo molti anni.

Tutti, o quasi, abbiamo delle pulciottere. È come un prurito, ma non fastidioso. Mentre guardi, ascolti, annusi, mentre tocchi qualcosa o mentre parli, mentre lavori o mentre ti riposi, ogni tanto senti un pensiero diverso fra i tuoi pensieri. Un giorno o dieci anni prima, non importa, la pulciottera ha spiccato un balzo fino a te. Tu riconosci che viene da un’altra persona ma, per un curioso fenomeno scientifico, senti che la pulciottera ormai ti appartiene. È tua, e nessuno te la può rubare.

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Oltre al libro a quattro mani con Yari Bernasconi, tra i due ultimi Contini c’è ‘Le vacanze di Studer’, l’inchiesta asconese del celebre sergente costruita su frammenti inediti di Friedrich Glauser. Cosa ha lasciato l’esperienza nell’ottica dell’ultimo Contini?

Sono da sempre lettore di Glauser, per il suo calarsi in atmosfere alla Simenon, che ha qualcosa di classico e d’inarrivabile. Tra la morfina, la legione straniera e il resto dei problemi, Glauser non avrebbe mai potuto avere la continuità e la forza per raggiungere la limpidezza stilistica di Simenon, pur andandoci vicino. Muovere questo personaggio, su invito di Casagrande, è stato un insegnamento, è significato abbandonare la parte più razionale dei polizieschi per accogliere ulteriormente quella fatta di colori, odori, sapori. Oggi è più difficile avere sergenti come Studer, o commissari come Maigret, ma un investigatore di mezza tacca può ancora seguire le sue piste e provare a diventare i personaggi che incontra.

Chiedo scusa se finisco sul personale: il mio primo supereroe è stato un ispettore. Cosa affascina di questa figura, a parte il potere di risolvere enigmi?

Da un lato c’è il fascino di un uomo che ha a che fare con il mistero, e l’ispettore può essere un uomo o una donna, dunque non è una questione ‘alla James Bond’. Colui o colei che indaga ha sempre qualche debolezza, qualche tara, si pensi alla stravaganza di Poirot, alla stazza di Nero Wolfe che non lo fa muovere di casa. Ciò che colpisce è come nonostante l’apparente debolezza essi sappiano arrivare vicino al mistero e ci aiutino a chiarire ciò che prima si presentava in maniera oscura. Tutti, nella nostra vita, tendiamo a voler approfondire anche soltanto il mistero di esserci, nella vita. Con l’arrivo del noir la cosa si è fatta ancora più interessante. Io non scrivo per svelare il mistero ma per approfondirlo, e la risoluzione apre soltanto a un altro mistero più profondo.

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