Culture

Erminio Ferrari, sul filo della montagna

Tararà ha pubblicato un libro di racconti inediti del giornalista e scrittore cannobino scomparso nel 2020. Ne abbiamo parlato con la figlia Marta

Il suo Limidario... ‘o bella ciao, bella ciao’
(Keystone)
29 agosto 2022
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12 ottobre 2020, ore 11.12: "Ho riletto un tuo scritto di tempo fa sul tuo amico Kacem; molto bello; ma questa è un’altra storia. So che hai ancora qualche racconto nascosto… alcuni me li hai mandati qualche anno fa.

Stai bene! Quando verrai a Intra spero in un caffè.

Pieranna".


14 ottobre 2020, ore 5.12: "Pieranna, ieri mattina internet andava a sprazzi e non so se hai ricevuto la mia risposta, così te la rimando.

Kacem in effetti l’avevo pensato per un altro progetto che per ora è nelle sabbie mobili…

Sabato scarichiamo l’alpe e da settimana prossima avrò più tempo. Ti chiamerò.

Stai bene anche tu.

e."

***

«Non avrei osato riprendere il discorso se non ci fosse stata quella e-mail: è la chiave di tutto». ‘Quella e-mail’ Erminio Ferrari (e.) la invia a Pieranna Margaroli poche ore prima di cadere nel vuoto mentre assieme alla figlia Marta scende dalla Marona, nella sua ‘Valgranda’. Il ‘discorso’ è una pubblicazione che riunisse ‘Kacem’ e altri racconti che l’Ermi, negli ultimi anni, aveva consegnato alla spicciolata alla co-fondatrice della casa editrice Tararà di Verbania, per un progetto che però non si era mai concretizzato. Racconti «‘sospesi’, molto diversi tra loro», ricorda Pieranna. «La maggior parte parlava di montagna, sì; ma c’era anche ‘Kacem’, ‘Soccorso alpino’... Ci dicevamo: "Dobbiamo trovare il filo rosso"». Invece, in un limpido sabato autunnale, l’Ermi al posto di scaricare l’alpe è andato al suo funerale. Niente ‘più tempo’. Nessuna ‘settimana prossima’, nessuna chiamata. «Ma varda ti», avrebbe chiosato.

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Pieranna un giorno dice a Marta di quella e-mail e della ricerca interrotta del ‘fil rouge’: «Da lì è partito tutto». «Ci siamo sentite a dicembre [2020], poi a marzo [2021]», conferma Marta. «Mi ha chiesto di controllare se c’erano altri racconti in giro. Nel computer dell’Ermi, in una cartella ‘Racconti’, ne ho trovati alcuni che Pieranna non aveva. Altri nel frattempo sembravano essere stati rivisti. Pieranna ed Emilia [sua sorella nonché co-fondatrice di Tararà, ndr] hanno poi confrontato le versioni e corretto i testi. Io sono stata coinvolta soprattutto nella ricerca delle foto. Ci siamo trovate lì a casa e abbiamo scelto quelle da abbinare a ogni racconto». Il titolo (‘Ma liberaci dal male’) lo propongono Pieranna ed Emilia, su suggerimento della curatrice Paola Giacoletti. «L’ho condiviso con Tazio [il fratello, ndr]: all’inizio era un po’ scettico, ma dopo aver letto i racconti è stato d’accordo. Lui poi ha scelto il sottotitolo: ‘Racconti sparsi’, preferito a ‘Ultimi racconti’ e ‘Racconti vari’».

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E il ‘filo rosso’? Su una panchina al porto di Brissago, all’ombra del Limidario/Gridone (la montagna dell’Ermi), Marta abbozza una risposta: «La montagna? È la protagonista. Però non solo, non sempre. Forse si può dire che il filo rosso è… l’Ermi». Si prenda ‘Un blues per Gilardi’: «Non c’entra niente con la montagna. Ma c’entra con lui, eccome. Quando l’ho letto, è stato pazzesco: perché al suo funerale l’accompagnamento è stato proprio quello che lui descrive in questo racconto [ma Ermi avrebbe detto: "Per favore, non applaudite", ndr]. Non ne ha mai parlato con noi, anche se ogni tanto, scherzando, diceva: "Una fiammata, ‘Bella ciao’ e le ceneri sul Limidario". Poi un giorno, soltanto a me, mi dice: "Guarda ‘Ghez [il nomignolo di Marta, ndr], se mi succede qualcosa, qua dentro [nel cassetto della sua scrivania, ndr] c’è qualcosa". Il giorno dopo [15 ottobre 2020, ndr], sono andata a vedere: c’era una busta con la scritta ‘Per quando muoio’. Dentro c’era un biglietto per me e per Tazio: "Cari Tazio e Marta, ricordate: solo l’amore e la giustizia possono rendere vivibile il mondo. E la giustizia senza l’amore non è umana". Roba da Ermi! Però è vero: io una persona più giusta e corretta di lui non l’ho mai incontrata».

‘Ma liberaci dal male’ (che verrà presentato venerdì 2 alle 18.30 all’Auditorium del Monte Verità, ad Ascona) contiene la testimonianza di Marta: ‘14 ottobre’. «Ho scritto subito, dal primo giorno, su un’agenda vuota che mia mamma mi aveva regalato anni prima. Ho fatto una sorta di diario. Vedevo che mi aiutava buttar fuori quel dolore. E poi tanta gente mi chiedeva. Proprio ieri sono stata con un’amica lì dov’è successo. Lei mi ha detto: "Lo racconti senza emozioni". Chiaro che se mi fermo, se guardo dov’è caduto, diventa molto difficile. Raccontarlo scrivendo, invece, è diverso: mi ha aiutato a stare in piedi, a sentirmi un po’ meno sola. Nel momento in cui accade una cosa del genere, le persone ci sono (anche se poi alcuni lo fanno per sentirsi meglio loro, per dire che gli erano amici). Ma poi, giustamente, ognuno torna alla propria vita. Scrivere mi ha aiutato anche a far capire a queste persone chi era davvero l’Ermi, il suo reale valore».

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Da quel 14 ottobre «la nostra vita è completamente cambiata», dice Marta. «Io mi trovo in due bolle: una è il lavoro, la vita quotidiana; l’altra è quando sono là, a casa sua [dove abita, ndr], senza di lui». La casa di Cannobio: «Da ottobre a maggio non è stata vissuta. Era già piena di ragnatele… E c’era la sua quotidianità ferma: i vestiti che avrebbe indossato per andare a lavorare, il gilet sulla sedia, gli occhiali sul giornale lasciato sul tavolo di cucina, la tazza del caffè. Andavo ogni settimana a curare il giardino. Mi sono detta che la casa doveva tornare a vivere. Così mi sono trasferita. Tra lavoro [è educatrice in un istituto socioterapeutico, ndr], mucche e altro, avevo molte cose da fare. E questo mi ha aiutata. Ma la sera, sul divano, tutto continua a parlarmi di lui: i milioni di libri, dischi, cd, l’ufficio dove scriveva; l’immagine di lui che scende dalle scale. Sento che sto portando avanti anche quella che era la sua di vita. E poi c’è tutto questo partecipare a conferenze, incontri, interviste eccetera, che a me richiede tantissimo. Mettere mano alle sue foto, entrare nei suoi archivi, parlare sempre di lui… non mi fa andare avanti. Ma sento che è una cosa che va fatta, anche se lui non avrebbe voluto».

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Marta è tornata più volte sul luogo dove l’Ermi è caduto. «Ha inciampato una prima volta, poi una seconda: e lì è precipitato. Dall’alto, guardando giù, l’ho visto sbattere due volte contro la roccia. Ma poi non ho più visto niente. Sono scesa fino a una bocchetta un po’ più in basso, ma sono riuscita solo a scorgere il suo bastone. Quest’immagine mi è rimasta dentro, così il 25 ottobre sono tornata lì. Mi hanno accompagnata Tazio e un collega del Soccorso alpino, che volevano rendersi conto. Tazio si è assicurato a una roccia e si è calato: ha recuperato il bastone, il copriobiettivo della macchina fotografica (una calza di lana), frutta secca e altre cose che erano saltate fuori dallo zaino. Poi sono tornata altre volte: da sola, e con amici cari che volevano vedere il posto. Perché non riuscivamo a spiegarci come l’Ermi [alpinista e membro del Soccorso alpino della stazione di Cannobio, ndr] potesse essere caduto in un punto simile. Il 14 ottobre 2021 abbiamo messo una targa».

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Esattamente un anno prima l’Ermi dice a Marta: "‘Ghez, non si deve fermare il cambiamento. Dovremmo piuttosto trovare il modo di adattarci a esso in ogni situazione della vita, perché inevitabile". Più facile a dirsi che a farsi. «Io ho reagito subito. Ma faccio fatica ad andare avanti. La casa, per dire: abito lì, ma la sento sempre come la casa dell’Ermi. Anche se non ci vedevamo, se spesso era difficile da ‘acciuffare’ fisicamente, lui c’era ed era una sicurezza per me. Ancora oggi a volte mi dimentico che è morto. Sembrerà folle, ma non ho il coraggio di lasciar andare questo dolore. Adesso con Tazio abbiamo preso la decisione di lasciare le mucche [la Gilda, la Frida e la Leda, ndr]: ci spezza il cuore, ma ci siamo resi conto che portiamo avanti un desiderio che era di Ermi e che non è più possibile farlo, soprattutto per i nostri impegni professionali. Vedo le mucche tutte le mattine, tutte le sere. Sono state la mia salvezza, senza di loro non avrei potuto reagire come ho fatto. Però è arrivato il momento di voltare pagina. Sennò restiamo impantanati nel dolore».

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28 giugno 2021: Marta sparge le ceneri dell’Ermi sul Limidario. «Era un giorno che non si vedeva niente. Appena l’ho fatto, s’è aperto uno squarcio tra le nuvole e c’è stata una… botta di sole! Lì è iniziato il processo: ok, stiamo mettendo a posto le sue cose; lui è lassù, dove voleva essere; noi siamo qui; e la vita va avanti». In ‘14 ottobre’, Marta esprime il dolore per non avergli potuto dire addio, per "non poter fare nulla per cambiare il finale". Questo libro serve anche a questo, a scrivere un altro finale? «Sì, dovrebbe poter avere questa finalità: mettere al suo posto quel che andava sistemato, per poi cercare di andare avanti in un’altra maniera. Per portare l’Ermi con sé in altro modo».

Eccolo, il filo rosso.

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