Eventi Letterari

Noëmi Lerch, il viaggio dei contadini sulla pagina bianca

Al Monte Verità il già Premio Schiller e Premio svizzero di letteratura. Nella sua scrittura, la forza della natura e la fatica del lavoro nell’alpe.

Noëmi Lerch
(Keystone)

La grazia di Noëmi Lerch si manifesta attraverso le sue parole, mentre racconta la difficoltà fisica del lavoro in montagna, posando lievemente poesia sul foglio bianco, quasi disseminasse fiori di campo su un terreno arido. La potenza della natura, con la sua terra, le alte montagne, i cieli e i venti, e poi il mondo animale che respira caldo, e la vita degli uomini che vivono le valli, anno dopo anno, estate dopo estate. Gente di poche parole, grande memoria, voglia di raccontare.

Sono immagini di raro candore ma al contempo cariche di forza generatrice, che oscillano tra la realtà e il mondo onirico, tra vita quotidiana e storia eterna, quelle che ascoltiamo nel suo racconto estratto dal libro ‘Via lactea’ del fotografo Alfio Tommasini (pubblicato nel 2020 per Edition Patrick Frey), in occasione della sua presenza oggi agli Eventi Letterari del Monte Verità. L’incontro è stato moderato da Maurizio Canetta.

Un’odissea la sua, un viaggio, che spiega essere trait d’union di tutti i suoi romanzi (tra i quali ricordiamo ‘La Contadina’, pubblicato nel 2015 e tradotto in italiano da gabriele capelli editore nel 2018 - Premio Terra Nova della Fondazione Schiller, e ‘Willkommen im Tal der Tränen, die brotsuppe’, 2019 - Premio svizzero di letteratura 2020), iscrivendolo nel nomadismo dei pastori e dei contadini, che "accompagnano la vegetazione con gli animali. Essere in viaggio con gli animali è il motivo del viaggio". Il viaggio che abbiamo percorso noi è con le sue parole e il suo essere scrittrice e contadina, etichetta che considera "una figura bella, romantica, ma con la quale a volte mi scontro".

Noemi Lerch vive e lavora in Valle di Blenio, anche se "non so se sia stato il mondo contadino a scegliere me o io lui". Nata a Baden nel 1987, è cresciuta a Freienwil e poi ha studiato all’Istituto svizzero di letteratura di Bienne e all’Università di Losanna, non di certo in alta montagna, ma racconta: "La mia infanzia non era molto diversa da ora. Mia mamma era veterinaria, gli animali mi hanno accompagnato sin da piccolissima. Poi ho passato troppo tempo all’università. Mia nonna aveva una casa in Val di Blenio dove ho imparato a fare il formaggio e ho iniziato a lavorare nelle alpi. Ho conosciuto mio marito e mi sono fermata".

La Lerch esprime attraverso la sua scrittura la forza della natura ma anche la difficoltà, la fatica del lavoro nell’alpe, "a volte però anche valida, perché ci ricollega al terreno ed è molto intensa allo stesso tempo. Naturalmente è qualcosa di bellissimo, ci si innamora della vita alpina. C’è questo lato romantico altrimenti non faremmo questa vita". Una vita che si tiene stretta, che vuole proteggere rispetto al suo lavoro da scrittrice perché "sotto i riflettori si è troppo esposti, a rischio".

Racconta poi, rispetto al suo stile secco, fatto di frasi brevi, che "ha a che fare col fatto che io ascolto le persone come parlano in questo ambiente. A volte si parla molto, a volte molto poco. Ma ci sono frasi che uno dice e che poi vengono ricordate per dieci anni. C’è una tradizione orale, si tramanda. Questo mi interessa, io colleziono frasi. La metà dei miei libri è rubata, ho preso le parole dagli altri".

Non solo parole però, anche molto bianco, sulla pagina, e ci dice a proposito del libro ‘Benvenuti nella valle delle lacrime’, un libro definito da alcuni quasi graphic novel per la grande presenza d’illustrazioni, una per pagina a cura del duo Walter Wolff (di cui fa parte la sorella di Noëmi): "Qualcuno ha detto che scrivere è cancellare per me, ed è molto vero. Scelgo poco quando scrivo e quindi molto va perso. Spesso immagino la mia scrittura come una massa dalla quale detraggo quello che cerco, che è già all’interno della massa, procedo con cautela e poi tengo quel che mi piace". E in quel che ama, c’è sicuramente una commistione tra mondo reale e mondo onirico, aspetto che risalta ne ‘La contadina’, che racconta la visita di una nipote dai nonni in montagna: "Qui sogno e realtà sono molto legate, c’è la vecchia villa della nonna e la stalla. All’inizio nella villa stanno i sogni e nella stalla la realtà, ma col passare del tempo le due parti si iniziano a confondere".

Ma la cifra di questa scrittrice sta anche nel saper descrivere realtà contadine facendoci parte di contraddizioni non sempre evidenti. "Negli ultimi anni ho visto molte persone che vengono da fuori, italiane e portoghesi per esempio, che investono tutta la loro vita in questo mondo alpino per perseguire una sorte di sogno idilliaco svizzero. Sono loro che fanno il nostro formaggio, con le nostre mucche, quel formaggio che poi noi vendiamo con orgoglio come svizzero. Loro non hanno terreno o mucche. Sono però perfettamente integrati, forse perché i mondi contadini si assomigliano". Un mondo alpigiano favorevole all’integrazione, aperto alla tecnologia, che rimane però fortemente conservatore. "Questo credo si senta tra le generazioni. Per quanto riguarda il binomio tra città e campagna, è importante non rendere ancora più grande la differenza ma vedere cosa ci accomuna, quali idee ci hanno avvicinato. È importante trasmettere dei messaggi". E i suoi libri ci riescono, fanno conoscere il mondo alpino togliendovi la patina idilliaca? "Spero di sì, almeno un po’. Vorrei mostrare anche l’altra faccia, far vedere noi, che abitiamo nelle vallate. I turisti non salutano mai il malgaro, e a lui piacerebbe. Io stessa vorrei i contatti, in malga si soffre la solitudine. Noi tutti abbiamo bisogno dell’altro, non vorrei che queste differenze siano accentuate".

Sempre nel pomeriggio, Tullio Pericoli, pittore e disegnatore, ha raccontato la sua vita. Molto bello il racconto di un’odissea da Ascoli a Roma, tra l’Espresso e Zavattini. Poi Milano (che vede gialla), il Giorno, gli anni 60 e gli incontri che sono maestri. E la genesi di alcuni suoi disegni.

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