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Oltre le frontiere con la scrittrice Maylis de Kerangal

La scrittrice francese sarà ospite della decima edizione del festival letterario, ad Ascona e Locarno fino a domenica

Maylis de Kerangal
(Francesca Mantovani/Gallimard)

Quali sono le nostre Odissee? Chi sono i nuovi Ulisse? Partendo dall’opera di James Joyce (che quest’anno compie 100 anni), ma senza dimenticare il mito originale, la decima edizione degli eventi letterari del Monte Verità porta gli scrittori contemporanei invitati a riflettere sul loro viaggio nell’ignoto. Un viaggio che spesso comporta l’abbattimento delle frontiere, simboliche, immaginarie o reali. Ed è proprio di queste che ci parlerà Maylis de Kerangal venerdì sera. Autrice francese di romanzi e raccolte di racconti pluripremiati, è conosciuta soprattutto per ‘Riparare i viventi’ (2013), ‘Nascita di un ponte’ (2010), ma anche ‘Lampedusa’ (2014), ‘Corniche Kennedy’ (2008) e tra i più recenti ‘Un mondo a portata di mano’ (2018).

Sono romanzi, pubblicati in italiano tutti per Feltrinelli, che sanno raccontare con estrema passione, scevri di giudizio o morale, il mondo dell’adolescenza, e più in generale il limite in cui spesso ci si trova a vivere. Insomma, da quella linea che separa la gioventù e la vita adulta ci si apre alle frontiere e ai confini anche tra territori, modi di essere e di vivere, e poi paesi. Per Maylis de Kerangal la letteratura è la chiave per addentrarsi proprio su quei confini, tra luci e ombre, sondando i limiti dell’esistenza.

Abbiamo voluto interrogare Maylis de Kerangal proprio rispetto alla sua passione per un periodo della vita unico che lei sa restituire in maniera così limpida e giusta nelle sue pagine. Si tratta spesso infatti di romanzi di formazione, che raccontano la crescita come ricerca di sé sullo sfondo del mondo contemporaneo. «È una mia caratteristica, che poi ho sviluppato definitivamente in ‘Un mondo a portata di mano’, vero e proprio Bildungsroman. Ciò che mi interessa di più è raccontare la metamorfosi, il movimento, un essere che cambia nel corso del tempo, un percorso di conoscenza. Questo può passare dall’acquisizione di un mestiere, come il romanzo che ho appena citato, ma anche una storia d’amore. Quello che amo di questo sguardo sull’adolescenza è che si tratta del tempo dell’attesa: c’è una grande disponibilità, il futuro non è ancora chiaro, le grandi decisioni che riguardano la vita non si sono ancora fossilizzate, siamo nel mondo del possibile. E in questo c’è qualcosa di molto stimolante».

I suoi romanzi affrontano diversi temi, dall’etica medica (penso a ‘Riparare i viventi’), alle questioni sociali riguardanti i giovani d’oggi (‘Un mondo a portata di mano’), al rapporto con le diverse arti, la loro conoscenza, e poi la geografia e l’architettura (‘Nascita di un ponte’, ‘Lampedusa’). Si potrebbe dire, però, che in comune tutti dicano una sorta di fratellanza, la storia di una comunità, di un gruppo sociale.

È vero, nei miei libri i personaggi appaiono sempre sotto forma di collettività. Da una parte quella della ‘Corniche Kennedy’, l’équipe medica di ‘Riparare i viventi’, poi la folla nel ‘Ponte’ e anche l’alleanza in ‘Un mondo a portata di mano’. Si tratta per me di un’idea teorica, una posizione rispetto al romanzo: non c’è mai un personaggio che si prende tutta la luce e lo spazio. Si tratta spesso di relazioni che implicano una molteplicità. Questo permette una scrittura polifonica che recupera diverse voci. Non c’è mai un personaggio solo.

Il fatto poi di interessarsi a più personaggi permette di recuperare le relazioni, che spesso riguardano una questione a me molto cara, la solidarietà. Si tratta quasi di epopee, dove con gli altri si costruisce un mondo in comune. La sfida è parlare di individui semplici per raccontare una collettività, un simbolo universale, un mito comune a tutti. Questo mi evita anche di dover suddividere il mondo tra buoni e cattivi, per esempio. C’è l’avversità, l’idea che ci si batta insieme per esistere con gli altri. Ci sono difficoltà, ma mai grandi principi di morale, semplicemente si combatte per superarle.

In ognuno di questi romanzi lei utilizza un linguaggio tecnico molto dettagliato, che dimostra un’ottima conoscenza di campi quali l’ingegneria, l’ambito medico, le tecniche pittoriche… come nasce l’idea di un suo romanzo, come compie le sue ricerche?

Quello che amo nel mio lavoro letterario, è la maniera di accoglierlo. Mi dirigo sempre verso mondi socialmente e culturalmente molto lontani da me, ambiti che non possiedo. C’è qualcosa che mi stimola e mi eccita nel vivere questa sorta di scoperte. E soprattutto sentire l’eco che queste storie hanno poi nella mia vita, nella mia intimità, è forte. Funziona così, una rêverie chiama la scrittura, questa poi mi porta alla lettura, all’incontro delle persone, alla visita dei luoghi. C’è sempre un’inchiesta che soggiace alla scrittura. Io poi cerco sì, di acchiappare il linguaggio dei diversi mondi che vado a esplorare.

Veniamo ora al suo intervento di venerdì sera in occasione degli Incontri letterari. Al centro sta il concetto di frontiera. Ve ne sono di diversi tipi, nei suoi romanzi, fisiche, simboliche, geografiche, umane, spirituali.

In ‘Corniche Kennedy’, vi sono dei ragazzi che passano tutto il tempo sulla riva del mare (linea di frontiera); in ‘Nascita di un ponte’ c’è la frontiera tra mondo urbano e mondo della foresta, e questi non comunicano; in Riparare i viventi c’è la frontiera tra la vita e la morte, tra un corpo e la società. Tutti i miei romanzi sono in fondo attraversati da diversi tipi di frontiera, pensiamo a ‘Lampedusa’. La sensazione cartografica del mondo contemporaneo, è il motore intimo del mio lavoro letterario, c’è come una nozione di libro cartografico, che cerca di unire spazi e luoghi. Questo permette di scrivere delle traiettorie, ci sono luoghi dove le frontiere non ci sono, altri dove sono più marcate. Ma sempre, su questa linea succedono molte cose: tornando a ‘Corniche Kennedy’, la riva è una striscia di terra porosa tra mare e città, tra il mondo delle pulsioni e quello delle leggi.

Per concludere, ci sono argomenti che secondo Lei possono essere raccontati solo attraverso la letteratura?

Sì, io penso addirittura che la letteratura possa raccontare l’indicibile. Possa mettere in forma il silenzio.

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