Fotografia

Monte Carasso abbraccia la World Press Photo Exhibition

Presentata la mostra itinerante che da sabato 29 maggio al 20 giugno 2021 ospiterà a Monte Carssso, SpazioReale, tutto il meglio della fotografia mondiale.

The First Embrace © Mads Nissen, Danimarca, Politiken/Panos Pictures
28 maggio 2021
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Si chiama World Press Photo Exhibition e la relativa fondazione ha come proposito, testualmente, “connettere il mondo a storie che abbiano significato”. Una connessione riuscita per la prima volta nel 1955, data di fondazione di un contest per fotografi nato per volere di un gruppo di omologhi olandesi. Una connessione che da sei decadi gira il mondo e che da tempo fa regolare tappa nel Bellinzonese, unica destinazione per la Svizzera italiana. Lo farà anche quest’anno, inaugurando la decima stagione espositiva di SpazioReale a Monte Carasso, dal 29 maggio a 20 giugno nei sotterranei dell’Antico Concento delle Agostiniane. La mostra, ospitata in 120 città di 50 paesi del mondo, grandi capitali in primis, viaggia con il suo bagaglio di 142 fotografie finaliste del concorso fotografico più ambito dalla categoria, e che premia ogni anno i migliori fotografi professionisti della stampa, i fotogiornalisti e i fotografi documentaristi che siano riusciti a mettere in immagini un accadimento particolarmente rilevante dal punto di vista giornalistico. 

‘The First Embrace’

Negli spazi ancora distanziati della conferenza stampa, sono tre entità a introdurre l’edizione 2021. Prima entità: la città di Bellinzona, rappresentata dal suo sindaco Mario Branda e da Rossana Martini, direttrice settore Cultura ed eventi. «Queste opere fotografiche – spiega il primo – ci ricordano il mondo che sta poco fuori da casa nostra, e ci ricordano che dietro l’immagine c’è l’evento reale, ci sono persone reali, e quasi sempre sentimenti reali». Quale posto migliore di SpazioReale, verrebbe da dire, ma è la verità: non c’è nulla di più reale che Beirut spazzata via dall’esplosione dell’agosto 2020, un «olocausto» che al sindaco ricorda il Libano vissuto in loco anni fa e a noi lascia negli occhi uno dei momenti visivamente potenti dell’esposizione, il reportage di Lorenzo Tugnoli per il Washington Post negli attimi successivi alla deflagrazione (Primo premio ‘Spot News’).

Le seconda entità. A Monte Carasso c’è anche quest’anno Samira Damato, impedita nel guidarci tra la storia del concorso e relativi scatti esposti come in passato, perché presente nella sola forma di collegamento video, a riassumere come il World Press Photo rifletta “l’attuale stato del fotogiornalismo e aspiri quest’anno a rappresentare la transazione verso l’inclusione», a dire del privilegio (il loro) di essere circondati da una collezione di 74mila proposte riferite al 2020 e di come ogni mostra sia «un invito all’osservazione, un confrontarsi con circostanze reali ma anche con noi stessi». E forse mai come quest’anno siamo noi stessi la ‘World Press Photo of the year’, la foto dell’anno che si chiama ‘The First Embrace’, lo scatto del danese Mads Nissen che ritrae l’85enne Rosa Luzia Lunardi, di spalle, abbracciata da Adriana Silva da Costa Souza, infermiera della casa di cura Viva Bem di San Paolo del Brasile. ‘The First Embrace’ è, tradotto, il primo abbraccio ricevuto dall’anziana in cinque mesi d’isolamento, dinamiche che ben conosciamo. E la cosiddetta ‘Tenda dell’abbraccio’ pare un virus positivo e vendicatore, le ali di una farfalla, un campo energetico, o qualsiasi altro concetto che porti a pensare a un tutt’uno, o alla fine di un incubo.


‘The Transition: Ignat’ - © Oleg Ponomarev, Russia

Molte ‘Foto dell'anno’

A Monte Carasso sono esposti vincitori e finalisti, tra i quali è abbastanza semplice trovare una manciata di altre potenziali Foto dell’anno. Come una sorta di dipinto intitolato ‘The Transition: Ignat’, dal nome del transgender di San Pietroburgo ritratto insieme alla sua ragazza Maria. Nel suo sguardo c’è il risultato dell’avversione, anche di legge, alla sessualità non tradizionale in Russia. Anche i campi estivi militari per giovanissimi polacchi ritratti dalla conterranea Natalia Kepesz sono piccoli incubi a occhi aperti, e l’invasione di locuste in Africa orientale raccontata dallo spagnolo Luis Tato, la bara in ascensore nella foto del francese Laurence Geai o la ‘mummia’ indonesiana ritratta da Joshua Irwandi, intitolata ‘Il costo umano del Covid-19’, che fa il pari con la foto dell’anno e con una delle molte infermiere al fronte coi segni della battaglia sul viso (è quella fotografata dal messicano Iván Macías). Se la foto dell'anno è la fine di un incubo, altri incubi visivi sono ancora in mostra: la montagna del Myanmar dimezzata per estrarre giada e dall’altra parte un tempio buddista; la pet therapy nello scatto del francese Jérémy Lempin, difficilmente spiegabile; il suddetto Libano, George Floyd e dintorni, come il significativo e quasi grottesco ‘Emancipation Memorial Debate’, tutto mimica facciale. O la Storia dell'anno, ‘Habibi’, le storie d'amore e contrabbando (di sperma) degli oltre 4mila palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Ma ci sono anche vicende più lievi come ‘Piccioni e lockdown: una storia d’amore’, Primo premio Natura all’olandese Jasper Doest, che riconcilia con il genere umano (tutto o quasi).


Emancipation Memorial Debate © Evelyn Hockstein, Stati Uniti, For The Washington Post

Da Dacca a Berna

La terza entità affiancata al World Press Photo 2021 è il Locarno Film Festival nella forma delle sue Open Doors – la sezione del festival che fa luce e incentiva il cinema d'autore o indipendente del Sud e dell'Est del mondo – e nella persona di Giada Peter, responsabile ufficio stampa e comunicazione della kermesse locarnese, a introdurre l’evento Porte Aperte sul cinema dal mondo, in programma il 2 giugno alle 21.15 presso l’Antico Convento. E cioè – introdotta dal direttore artistico del Locarno Film Festival, Giona A. Nazzaro – la proiezione di ‘Made in Bangladesh’, film della regista Rubaiyat Hossain, storia di una della tante sottopagate lavoratrici in una delle tante industrie tessili di Dacca che, dopo l'incendio della fabbrica, si fa promotrice della nascita di un sindacato che protegga i loro diritti, andandosi inevitabilmente a scontrare col pensiero dominante, quello dei mariti incluso. Nulla è più adeguato di ‘Made in Bangladesh’ per integrarsi con la mostra ‘50/50/50’ in programma a luglio e agosto, realizzata dal collettivo di fotografe Frauenstreikfotografinnen nel 50esimo del diritto al voto alle donne in Svizzera. Completano la stagione gli ottanta scatti di ‘Dormire, forse sognare’ di Ferdinando Scianna, maestro del fotogiornalismo internazionale e altri EventiReali reperibili, come orari, costi, modalità, opzioni, e tutti i dettagli di quanto appena scritto, su www.spazioreale.ch.

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