Culture

World Press Photo, a Monte Carasso una fotografia del mondo

La mostra torna a Spazio Reale, nell'Antico convento delle Agostiniane. Ci resterà da domani al 4 ottobre. A colloquio con la curatrice, Samira Damato

La foto dell'anno: 'Straight Voice' - © Yasuyoshi Chiba (France-Presse)
27 agosto 2020
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I nazisti dell’Illinois, anzi, dell’Arkansas che festeggiano il compleanno di Hitler sul Lago Dardanelle (Mark Peterson, terzo premio ‘Storie d’attualità’) sono la testimonianza del fatto che “World Press Photo non è soltanto foto di guerra”, spiega Carole Haensler, direttrice di Bellinzona Musei. E in effetti, i cinque estremisti col sorriso sulla faccia, le svastiche sui polpacci e la mano tesa in avanti sono, drammaticamente, molto di più. Sono parte della World Press Photo Exhibition, tour mondiale del prestigioso contest fotografico nato nel lontano, lontanissimo 1955 da un gruppo di fotografi olandesi. Tour che torna anche quest’anno a Monte Carasso, al fresco di Spazio Reale, nell’Antico convento delle Agostiniane. Torna con tutto il meglio che il fotogiornalismo ha prodotto a partire dalla foto dell’anno, il giovane uomo illuminato dalla luce dei telefonini durante un blackout a Khartoum, in Sudan, durante una manifestazione di protesta contro il governo locale. ‘Straight Voice’ è opera del giapponese Yasuyoshi Chiba, per France-Press, e nel palmarès del concorso succede a madre perquisita e figlia in lacrime al confine tra Messico e Stati Uniti (‘Crying Girl on the Border’ di John Moore), qui celebrata lo scorso anno. A rappresentare la fondazione olandese della fotografia è Samira Damato, curatrice ed Exibition Manager di World Press Photo. Con lei, nel Salone delle Agostiniane, ci sono anche Roberto Malacrida in nome e per conto dell’Educazione e Cultura cittadina e Sarah Schiesser in nome e per conto degli Open Doors del Locarno Film Festival, a conferma del rinnovato dialogo tra cinema e fotogiornalismo che si concretizzerà venerdì 11 settembre, sempre a Spazio Reale, con l’ingresso gratuito alla mostra (ore 18) e la successiva proiezione di ‘I Am Not A Witch’ della regista anglo-zambiana Rungano Nyoni, nella corte del convento (nel Salone in caso di pioggia).


Samira Damato, curatrice ed Exibition manager del World Press Photo (Ti-Press)

Ambiente

World Press Photo Exhibition si apre oggi per restare aperta due settimane in più delle tre previste. Cinque settimane che si devono, ovviamente, all’emergenza sanitaria che impone un numero di visitatori in contemporanea non superiore a dieci. Monte Carasso è una delle 120 città del mondo a ospitare la mostra, caratterizzata dalle ondate di protesta e rivendicazione dei diritti umani (la Foto dell’anno e il Repotage dell’anno, i suddetti Chiba e Laurendeau) e la crisi climatica, focus di molti dei finalisti. A confermarcelo è proprio la curatrice Samira Damato: «Sì, assolutamente, ed è un aspetto interessante. Due anni fa il World Press Photo inaugurò la sezione dedicata all’ambiente con l’intento di creare una piattaforma globale centrata su questo aspetto. Pensavamo che gli scatti inerenti l’ambiente non ottenessero mai la visibilità che l’urgenza dell’argomento meritava. Allo stesso tempo ci siamo resi conto che la crisi cilmatica è così pervasiva, così presente in ogni aspetto della nostra vita da andare al di là di qualsiasi categoria. E compreso lo sport, quasi in ogni singola categoria c’è una storia che ha collegamenti o è basata sull’ambiente. In generale, credo che non sempre chi imbraccia una macchina fotografica decida a priori di ritrarre la crisi ambientale. È semplicemente inevitabile non includerla. Da parte mia, cerco di enfatizzare questo aspetto, perché credo fermamente nel doverne sensibilizzare l’estrema urgenza».


Ti-Press

Diversità

A parte il funesto pangolino ritratto da Brent Stirton per il National Geographic (secondo posto ‘Premio natura’), non c’è nemmeno l’ombra del Covid-19 al World Press Photo 2020, ma solo perché l’anno di riferimento è il 2019. A coprirsi naso e bocca sono soltanto la donna algerina ritratta dal francese Romain Laurendau (primo premio ‘Progetti a lungo termine’) e la bimba nel centro di evacuazione per le vittime degli incendi australiani (Sean Davey, secondo premio ‘Storie d’attualità’). Ma l’edizione 2021, quanto a mascherine, potrebbe abbondare: «Da un certo punto di vista sì – risponde Damato – e da un altro punto di vista credo invece che ci saranno novità. È anche una prerogativa del World Press Photo portare alla luce storie che non sono enfatizzate dai media. Ogni anno vediamo crescere nuove fette di fotogiornalismo che raccontano storie che non stiamo leggendo. La crisi sanitaria, in questo momento impattante, è il soggetto privilegiato dei media. Il che non significa che sia l’unica cosa che accade. Questa è la forza di un contest come questo, portare a conoscenza tutto il resto che accade». Un contest in pieno divenire, forte delle sue 72mila submission, dei fotografi in crescita e dei relativi background più disparati. «Più che il numero di fotografie ricevute – continua Damato – mi piace sottolineare la diversità di quanto riceviamo. Uno dei motivi più importanti è che l’iscrizione al concorso è assolutamente gratuita, aspetto raro per un contest fotografico, specialmente per uno così prestigioso com’è il nostro. Sicuramente vogliamo ispirare fotografi in tutto il mondo e invitarli, vogliamo rappresentarli globalmente. E a Monte Carasso c’è in mostra un mondo senza distinzioni, che è lo scopo della piattaforma, la visione globale, non le conseguenze, ma anche le cause.


Ti-Press

'Love'

Gli studenti in piazza a Hong Kong, storia che dal 2019 si è trascinata sino ai giorni nostri, li racconta il danese Nicolas Asfouri per France-Presse, primo premio nella sezione ‘Notizie generali’. La serie di scatti, che non lesina ginocchia sul collo di floydiana (successiva) memoria, è chiusa da uno scatto che manda in frantumi l’imparzialità di Damato. La donna dall’eccentrica tutina rossa che agita un ombrello in una mano e nell’altra un cartello con scritto ‘Love’ e pare scagliarsi, a colpi d’amore, verso le forze dell’ordine, è la preferita della curatrice; alle spalle del soggetto centrale, la cui espressione dice già molto, si muove un corteo di fotografi con gli obiettivi che guardano a lei e davanti: «L’immagine è parte di una lunga storia e rappresenta immediatamente, intensamente il concetto della protesta pacifista. Ne capiamo il messaggio: quella donna vuole il cambiamento, e lo vuole con una protesta pacifica». È la foto della protesta pacifica, con una sua anche buffa drammaticità. Non è a disposizione della stampa, altrimenti sarebbe in pagina; e non si trova nemmeno sul catalogo. Quindi, a costo di diventare anche noi imparziali, va vista (www.incitta.ch, spazioreale@bellinzona.ch).

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