Libri

'Come ordinare una biblioteca' lo spiega Roberto Calasso

Quattro saggi di varia lunghezza, in parte inediti, tramite i quali dare un senso a un organismo 'in perenne movimento'

9 gennaio 2021
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Roberto Calasso ha il dono di saper prendere di tanto in tanto fiato dalla sua monumentale opera (ormai giunta al decimo titolo) pur continuando a dare ossigeno ai propri lettori. Lo fa con dei testi laterali (ma certamente non minori), come il recente ‘Come ordinare una biblioteca’, in cui sono raccolti quattro saggi di varia lunghezza, in parte inediti, tutti dedicati all’oggetto libro e accomunati dal concetto di “buon vicino”. Un’idea che l’autore desume da Aby Warburg e che vale anzitutto per il pezzo, eponimo, d’apertura; ma anche, variamente declinata, per quello dedicato alla nascita della recensione e per quello che indaga il periodo d’oro delle riviste letterarie del primo Novecento, negli indici delle quali Valéry poteva stare accanto a Joyce.

Buoni vicini

Benché Calasso concluda che “l’ordinamento di una biblioteca non troverà mai – anzi non dovrebbe trovare mai – una soluzione”, essendo la biblioteca un “organismo in perenne movimento”, restano preziosi i suggerimenti che egli si premura di allineare garbatamente accanto ai frammenti di un’autobiografia involontaria. A cominciare, appunto, dalla possibilità di creare degli atolli di “buoni vicini”, composti cioè da libri che si richiamino tra loro per affinità che superino criteri strettamente funzionali come l’ordine alfabetico o la distinzione tra letteratura e saggistica (forse lo ha ascoltato, aggiungo io, Sandro Veronesi, che ama ricordare come nella sua biblioteca Tolstoj stia accanto a Cervantes, in modo che Don Chisciotte possa salvare Anna Karenina). Altrettanto importante è acquistare un volume ben sapendo che non lo leggeremo subito, dato che ciò permetterà “l’incanto di trovarsi fra le mani – immediatamente – un libro di cui non si sapeva di aver bisogno sino a un momento prima”; soprattutto, proveremo la doppia sensazione data dal sospetto di avere anticipato, senza saperlo, la nostra vita e dalla frustrazione di non essere capaci di riconoscere, se non con grande ritardo, ciò che ci riguarda. Questa riflessione sul tempo dell’uomo (e della lettura) apre a un’altra annosa e tormentata questione, familiare a tutti coloro che leggono davvero, ossia quella dell’opportunità di annotare i libri, proprio per ritrovare, anche a distanza di anni, un determinato passo. Calasso ritiene che non aggiungere a un libro tracce di lettura sia una prova di indifferenza. Ma come intervenire? Sottolineare a penna porta a una “lesione immedicabile”; limitarsi a degli esili puntini a margine è invece un segno di stile. Le annotazioni apposte a un testo a stampa suggeriscono inoltre l’urgenza di una riflessione, ormai al centro di molti studi e qui appena abbozzata, sul rapporto tra scrittura al computer e scrittura a mano.

Secondo gli autori

Belle e opportune, infine, appaiono le aperture, nello spazio e nel tempo, che Calasso offre muovendo dalla propria biblioteca: dalla London Library all’officina di Aldo Manuzio, da quei librai che non sanno di avere dei tesori nel retrobottega (come le Rime di Cavalcanti nell’edizione curata da Ezra Pound, invisa agli italianisti per la sua inattendibilità), fino alla libreria La Central di Barcellona, elogiata perché vi si compra sempre qualcosa - come accade in ogni buona libreria - che non si voleva acquistare. Nel pezzo di chiusura, Calasso suggerisce pertanto di ordinare i libri in vendita secondo gli Autori (anziché secondo i generi e gli argomenti), in modo che si possa trovare proprio ciò che non si cercava, come il libro sconosciuto di un autore amato. Né poteva mancare un accenno al conflitto tra la libreria tradizionale e il colosso Amazon. Nessuna libreria potrà mai competere con i giganteschi magazzini di Jeff Bezos, quindi è necessario puntare sulla qualità, con un libraio preparato che sappia vagliare, e dunque proporre (ma circoscrivendoli) anche i libri brutti che vendono molto, se ciò permette di esporre quelli belli che vendono poco. E il discorso credo valga anche a monte, per l’editoria: ben venga qualche libraccio che fa cassetta se permette di finanziare un capolavoro di nicchia.

Né sfugga, dice Calasso, l’importanza di potersi comodamente sedere in una libreria, giacché “quelli che sfogliano un libro in piedi hanno un’aria furtiva, si stancano presto, non acquistano e diventano importuni per gli altri clienti”. Ciò non significa, tuttavia, che le librerie debbano snaturarsi e diventare degli spazi che espongano e vendano anche altri oggetti, come caffè, bigiotteria, camicie (!): il libro è autosufficiente, e se non basta più, conclude l’autore, “vorrà dire che il mondo sta voltando un’altra brutta pagina della sua storia”.

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