Microcosmi

Dalla parte dei dimenticati

Domenica 23 agosto, Pietro Berra presenta la sua ultima raccolta di poesia ‘L’indifferenza del cinghiale. Poesie e visioni dalla quarantena’

La Casa d’Arte Miler di Capolago, già sede della Tipografia Elvetica
22 agosto 2020
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I laghi portano a risalite, lo specchio dell’acqua sale, va verso i monti. Torna, strappa lo sguardo di quel momento. Lo assorbe, cerca una strada. Allora, “Tu sai che la strada se discende/ci protende altri prati, altri paesi, altre vele sui laghi…”. È Vittorio Sereni, nell’arcipelago infinito della sua Luino. Lo sguardo che ogni persona consegna alla natura è nell’attesa delle forme che mutano, una storia silenziosa che esercita quella funzione di alleggerimento propria del racconto. Dall’indistinto si passa al riconoscimento, così si fanno avanti memorie, figure, un pontile dove alcune persone scendono, curiose. I paesi sono toccati dai treni che uniscono la vita di terra e acqua, mentre i riflessi portano a un mondo che si dilata; le nuvole interrompono la luce del giorno, l’attenuano. Vediamo il colore delle acque portate verso un reticolo fatto di piccole cose, anche le piu’ umili, dimenticate. Sto passando il semaforo di Capolago, la strettoia dove sembra di andare da un territorio a un altro, improvvisamente.

Capolago

Incontro Milo Miler presso la Casa d’Arte Miler di Capolago, già sede della Tipografia Elvetica. Qui, domani 23 agosto, alle ore 18.30, Pietro Berra, scrittore, giornalista, presenta la sua ultima raccolta di poesia ‘L’indifferenza del cinghiale. Poesie e visioni dalla quarantena’, edizioni IQdB’, 2020 (prenotazione obbligatoria). A metà ‘800, la Tipografia stampava i materiali rivoluzionari dei pensatori del risorgimento italiano, diffusi clandestinamente in Italia. Un edificio che si snoda tra XVII e XVIII secolo, con una ristrutturazione attenta agli spazi, alla luminosità, al respiro che entrando il visitatore sente, quale libertà. Insieme alla moglie Julia Kessler, studi filosofici applicati al restauro, Milo Miler ha fatto di questa casa un punto d’incontro che unisce arte, natura, letteratura, in particolare dedicato a scrittori, artisti, che uscendo dai circuiti maggiormente frequentati hanno scelto un cammino originale. Sul tavolo d’ingresso vedo un libro di ottima fattura. Titolo, ‘Indispensabile’. Tratta di autori che hanno testimoniato una radicalità di pensiero in diversi campi della cultura: curatore del lavoro, Marco Sommariva. Uscendo sul balcone, a cento metri una barca con due pescatori, immobili, è avvolta da una luce argentea fino a sembrare un’installazione. La casa che abitate, porta al concetto di vita attiva, apertura culturale.

Come nasce il progetto? “Ho sempre vissuto in questa maniera e mia moglie altrettanto. Rispetto a quello che dicevi mi sembra che la cultura sia oggi una realtà chiusa, gestita da pochi. Apertura è un modo di essere e vivere. Capolago rappresenta l’esperienza più significativa della mia vita per il salvataggio della Tipografia Elvetica, diversamente demolita con già i piani per farlo. Quelli di un orrendo cementificio”. Un progetto sfidante. “Soprattutto dal punto di vista del tempo. Forse si poteva fare di più, ma per noi questo è sufficiente; da subito, l’idea è stata quella di promuovere incontri, scambi, con una particolare attenzione ad autori, artisti, dimenticati. È la nostra missione”. Una figura rappresentativa è stata quella di Tommaso Labranca, scrittore, autore televisivo, molto vicino alla vostra idea (vedi il bel saggio di Claudio Giunta, ‘Le alternative non esistono, Il Mulino, Saggi). “Tommaso diceva che la cultura viveva e moriva di mainstream. Nomi che riempiono concerti, saloni letterari e che si invitano con poca difficoltà, previo compenso. Destiniamo invece i nostri proventi a persone che hanno tutti i numeri per essere prim’attori, accogliendoli”. Quando siete arrivati a Capolago? “Viviamo nella casa da dodici anni, però ci sono stati quattro anni di lavori di restauro, effettuati da mia moglie e da me. Senza architetti. Vista l’ampiezza, era gioco forza condividere gli spazi per spezzare il pane della visione e dell’udito. Amando la libertà, come sai, a volte lasciamo la casa per guardare un mare, un ghiacciaio”. Mentre parliamo, ricordo che il caso ci ha fatto incontrare diverse volte sul treno, un modo di viaggiare che amiamo e che per Milo Miler significa riscoprire percorsi dimenticati. Penso che tra te e Pietro, esistano affinità. Consonanze. “Sì. Pietro rispecchia con i suoi itinerari, le ‘Passeggiate Creative’, i miei viaggi sulle frecce di piombo, treni molto lenti. Incontrarci, significa gettare dei semi. Domenica, siamo felici di ospitarlo; la sua opera è figlia dell’Insubria, di quella vera, non da parata. Terre storicamente unite, anche culturalmente”.

Berra, il bosco, Dottesio

Nella quarta di copertina de ‘L’indifferenza del cinghiale’, leggo un passaggio di Stefano Donno, preso dalla nota introduttiva. “Versi come quelli di Pietro Berra, nati dalla quarantena, e destinati al futuro, come un fascio di luce purissima, riescono a squarciare le tenebre dell’indifferenza”. Libro dove l’album fotografico di Mirna Ortiz, poetessa, moglie di Pietro che ha partecipato a questa raccolta di immagini, dà corpo a un lavoro che parla di annunci, appelli. Domenica sei a Capolago. Milo parlava di una vicinanza tra i vostri percorsi. “Il tema che vedo unire noi è abitare responsabilmente, anche in maniera creativa e a misura d’uomo, la natura. L’idea è portare il libro in ambienti che rispettino il contenuto. Loro hanno voluto salvare un edificio del’600, ricco di storia. L’Italia non si faceva solo a pallottole e intrallazzi politici, ma in primis con la cultura”. Hai scelto di vivere fuori le mura di Como, lontano dal centro. Una casa nel bosco. “Riabitiamo una casa che sorge vicino a una mulattiera del 1817, ai margini della città, un bosco dimenticato che stiamo recuperando. Un po’ come Capolago, al centro degli avvenimenti storici fino a quando non è stato costruito il Ponte di Melide. A Capolago si approdava in barca e da lì le diligenze portavano a Chiasso. Una piccola periferia della storia”. Nel lavoro di Pietro l’attenzione va alle radici, al coraggio di un nuovo sguardo. Alla preghiera. “Io non abbraccio gli alberi/li prego”. Nel tempo del Covid, guardavi il bosco nella sua sacralità. “È l’essenza della montagna, il suo mistero. Tornare in montagna è riscoprire la sacralità del bosco, le leggi della natura, dopo tutto. Un mistero primordiale di cui siamo parte”. Il titolo del libro? “È giusto che il cinghiale sia indifferente quanto è giusto che l’uomo sia consapevole”. Pietro sta conducendo da anni una appassionata ricerca su Luigi Dottesio, patriota italiano morto a Venezia nel 1851, nel segno di una collaborazione editoriale con la Tipografia Helvetica. Anche Dottesio, un dimenticato, sarà con noi domani. Visto che sul vento Pietro Berra ha scritto un’ode, questo favorirà il suo viaggio sul lago.

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