L'APPROFONDIMENTO

Venezia, l'arte sa nuotare

La città è tornata alla normalità. Cecilia, accompagnatore turistico: 'Eppure c'è chi pensa che siamo con l’acqua alla vita da novembre' (e Blub insegna...)

Acqua passata (B.D.)
24 dicembre 2019
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Il viaggio in gondola parte dal Bacino Orseolo e nel giro di mezz’ora raggiunge Canal Grande, nei pressi del Ponte di Rialto; si naviga il Rio del Fuseri, laddove si affaccia Ivo, il ristorante dei Vip; poi la gondola vira verso destra, lungo Rio San Luca, ultimo tratto di un tragitto alternativo alla navigazione da cartolina, che porta comunque dritto alla cartolina. Dalla principale arteria di traffico di Venezia, prima di mettere la freccia a sinistra stando attento ai motoscafi che sorpassano dove gli pare, il gondoliere Pier fa l’inchino davanti al lussuoso Aman Canal Grande; Google arriva a cinque, ma il gondoliere che una volta era carrozziere e adesso le gondole le guida, assicura che (1) l’Aman di stelle ne ha sette, (2) che al mondo di hotel lussuosi così ce ne sono al massimo altri sei e (3) che una notte a Palazzo Papadopuli, debitamente ristrutturato da una multinazionale dell’ultralusso, addormentarsi guardando i soffitti affrescati dal Tiepolo costa una cifra che noi umani non possiamo neanche immaginare. L’Aman Canal Grande è l’hotel in cui si è sposato George Clooney e nel quale con la sposa Amal (l’avrà scelta per assonanza? Viceversa?) l’attore ci è rimasto due notti, spesa che per un ex-medico di pronto soccorso di Hollywood saranno stati bruscolini. «Ma la suite al Danieli – che di stelle ne ha due di meno – costa di più», dice Pier.

Al Danieli hanno dormito e probabilmente ci hanno pure scritto due righe Goethe, Proust, Wagner, Dickens, Montale; il Danieli è l’hotel di ‘The Tourist’, di ‘Casino Royale’ (con bar che espone targa dedicata a Bond, James Bond); il Danieli è l’hotel del professor Raniero Cotti, stacanovista della medicina che in una delle regali stanze consumò la prima notte di nozze con Fosca, neosposa schiacciata dal peso della di lui ex-moglie Scilla; Fosca che si dà la morte (così come accade per la precedente) gettandosi nel canale per fuggire a un’esistenza all’insegna del senso d’inferiorità. Chiuso il capitolo su ‘Viaggi di Nozze’ (l’accostare Verdone, Goethe, Proust, Wagner, Dickens e Montale è atto deliberatamente provocatorio, ndr), è bene dire che su Canal Grande s’affaccia pure il Gritti Palace che nel ’95 ospitò il Woody Allen di ‘Tutti dicono I love you’, film sull’arte della vigliaccheria del farsi raccontare da altri le passioni di qualcun altro e conquistare il qualcun altro fingendo che le sue passioni siano anche le tue (fine del capitolo ‘Hotel’, propedeutico al successivo ‘La città è deserta’).

‘La città è deserta’

Andare per location cinematografiche a Venezia è sempre meglio che farsi i selfie davanti all’appartamento di Jeffrey Dahmer a Milwaukee (abitudine tipicamente statunitense che attiene all’esperienza del ‘Serial Killer tour’, serial-business dell’orrore che conduce sulle scene del crimine dei cannibali). Nel 1995, nel film di cui poco sopra, ispirato alla Katherine Hepburn di ‘Tempo d’estate’ di quarant’anni prima, Woody Allen faceva fare jogging a Julia Roberts in Calle Piscina Sant’Agnese nel quartiere di Dorsoduro, aggiungendo una ulteriore location cinematografica alle più di cento offerte agli appassionati dei ‘Movie-tour’ (categoria antecedente al ‘Serial Killer tour’, anch’essa feticista ma specchio di menti meno distorte).

La Serenissima ha ospitato nei secoli ogni tipologia di storie, dal Thomas Mann di ‘Morte a Venezia’ fino alla gita del ragionier Fantozzi in pensione, che la città la raggiunge a piedi da Rovigo (anche l’accostare Luchino Visconti a Neri Parenti è atto deliberatamente provocatorio, ndr). Veniamo al punto. Attraversando in dicembre Dorsoduro, uno dei quartieri preferiti dai sostenitori del ‘via dalla pazza folla’, pare che Julia Roberts debba passare da un momento all’altro, perché la quiete è quella di una strada chiusa al traffico in attesa di un ciak. Solo che non ci sono riflettori.

«A Natale non c’è mai la ressa, avete scelto un buon momento» è frase che ti fa sentire intelligente, perché chi la pronuncia è all’oscuro della tua paura di mettere piede a Venezia dopo il 12 novembre. Chi parla è il veneziano defilato, ma c’è anche il veneziano esplicito che dice le cose come stanno: dice che «il 45 per cento dei turisti ha disdetto», che «gli alberghi sono vuoti», che è vero, «a Natale non c’è mai la ressa», ma «ieri sera in Piazza San Marco li ho contati, erano in cinque». Un anno e quattro mesi dividono veneziani e genovesi, e il veneziano che si lamenta dopo il 12 novembre è raro come il genovese che si lamentava dopo il 13 agosto, entrambi in piedi dalla mattina dopo a far da soli, entrambi che «non siamo qua ad aspettare gli aiuti, perché non arriveranno». E non è un lamento, ma pura constatazione. Come Cecilia, accompagnatore turistico specializzato nel vino e nel cibo, che cita il nonno per parlar della città di un tempo e cita sé stessa per parlar della città di oggi: «Sa qual è la cosa ridicola? Che qualcuno è ancora convinto che qui siamo da un mese con l’acqua alla vita». Cecilia conosce ogni angolo di questa città in cui «ogni singolo mattone di ogni singola casa è un’opera d’arte tutelata e da tutelare».

La coda che non c’è più

«C’è meno gente in giro, è vero», dice Cecilia. «Ma la cosa che mi spaventa di più non sono i turisti che mancano. Il turismo ha una memoria a breve termine. Quando l’inverno finirà, tutto tornerà alla normalità e il novembre del 2019 sarà qualcosa di lontanissimo. Mi spaventa, invece, vedere sempre meno veneziani in giro, che immagino essere i proprietari di un alberghetto o di un ristorantino che hanno ricevuto disdette. Nell’enoteca in cui lavoro in questi giorni ricordo Natali in cui non si entrava in negozio per via dei veneziani in coda a comprare la bottiglia per il dottore, quella per l’avvocato. Oggi, per esempio, non c’era nessuno». Colpa, anche e soprattutto, della tv del dolore, dell’ansia da reportage, dell’immagine (travisata) di una città dipinta in ginocchio, e dei veneziani che sarebbero già in fuga; colpa dell’acqua e delle parole, è andata in fumo la metà dei pernottamenti per Capodanno. Eppure, «la città è pienamente funzionante, così come le pompe, nella maggiorparte dei casi».

A parte l’esercente ancora senza modem, a parte la cioccolateria che ha temporaneamente interrotto la produzione della cioccolata (senza latte) di Goldoni, a parte tutto quello che si può ricomprare – e a parte una particolare tipologia di turista che in Piazza San Marco attende la marea con stivali, costume da bagno e sopra l’impermeabile, categoria che un esercente della suddetta piazza considera «turismo non necessario» – i danni ingenti riguardano soprattutto l’equilibrio dei marmi dei pavimenti, ai quali ora bisogna fare attenzione anche in caso di marea non imponente. «Ci sono infiltrazioni che prima non c’erano – spiega Cecilia – create dalla pressione che ha portato ulteriore dissesto in una stabilità storicamente precaria, che ora precaria lo è ancor di più». Ne sanno qualcosa i masegni di Piazza San Marco, la pavimentazione, sollecitata all’estremo.

‘In questo mare di crisi’

Sulla parete di una casa in mattoni, in Campiello del Forner, c’è uno dei Van Gogh di Blub. Il pittore fiammingo ritratto con la maschera da sub e le bollicine che gli escono dall’artistica bocca è un reperto stropicciato appartenente alla collezione ‘L’arte sa nuotare’, creata dall’artista di strada fiorentino che ha reso sommozzatori un po’ tutti, da Shakespeare a Freddie Mercury, dalla Gioconda a Totò, da Mastronianni a Dante, da Galileo a Batistuta. Blub cercava un senso all’espressione ‘con l’acqua alla gola’ e diceva di averla trovata nel mettersi la maschera da sommozzatore per imparare “a nuotare in questo mare di crisi”. Cecilia l’abbiamo sentita di nuovo ieri, ché l’acqua ha raggiunto i 140 centimetri. Ancora. Un evento pacifico, «niente a che vedere coi 187 di quella notte, qualcosa di straordinario, legato alla concomitanza di più fenomeni atmosferici come scirocco e pioggia». Inusuali sono solo i centimetri e la frequenza. «Di solito, una marea di questa portata si aveva una volta al mese. Domani mattina (oggi, ndr) alle 9 raggiungerà di nuovo i 140. C’è bassa pressione, elemento che ne determina l’altezza, ma due giorni consecutivi è qualcosa di strano». Con lei ci eravamo ripromessi di non finire a parlare del Mose e delle cozze che vi si attaccano, o di altri misteri d’Italia. E non lo faremo. Chiuderemo con Cecilia-Biancaneve che ci invia un video, lunghi stivali a fiori ai piedi, per le calli della città («Andiam, andiam, andiamo a lavorar!»).

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