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Crisi energetica e telelavoro, Ocst: ‘Vigili sì, preoccupati no’

Dal sindacato cristiano sociale un webinar informativo. Isabella: ‘Non c’è giurisprudenza, partenariato importante’. Alari: ’Le spese preoccupano’

‘Vogliamo che si evitino passi falsi’
(Ti-Press)
30 settembre 2022
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A causa della crisi energetica il telelavoro torna ad affacciarsi come possibilità concreta nel mondo del lavoro. Alcune ditte in Svizzera interna, e soprattutto la Posta, stanno considerando da vicino questa idea per risparmiare sui costi di elettricità e per il riscaldamento. Ma «sul tema non c’è molta giurisprudenza, e bisogna che l’informazione sia corretta e capillare» sottolinea a ‘laRegione’ il responsabile settore terziario del sindacato Ocst Claudio Isabella, che ha recentemente organizzato un webinar proprio sul telelavoro che ha visto la partecipazione di circa 120 persone.

«Dal 2020 a oggi, prima per via del Covid e poi a causa della crisi energetica, il telelavoro è letteralmente esploso anche se la maggior parte delle volte non per tutta la settimana, ma per qualche giorno o qualche mezza giornata», afferma infatti Isabella. Spiegando che «ci siamo accorti come vi sia poca conoscenza, essendo ‘nuova’ la materia e che quindi, non vengono rispettate le regole. Noi, come Ocst, intendiamo promuovere le aziende sane e virtuose e quindi abbiamo coinvolto anche loro: tra queste 120 persone, infatti, a seguire il webinar c’erano responsabili delle risorse umane di numerose ditte, dipendenti e persone curiose. Il nostro obiettivo - rileva ancora Isabella - era dare tutte le informazioni e gli strumenti per comprendere bene un tema così delicato e per tutelare i dipendenti». Quali sono le preoccupazioni principali riguardo al telelavoro il responsabile settore terziario Ocst lo dice subito: «La principale riguarda gli orari: lavorare da casa rischia di portare una persona a essere connessa 10, 12 ore anche se ne lavora 8 contrattualmente. Il rischio è che il lavoro diventi il punto primario di una giornata, di una vita e che influenzi tutti gli altri aspetti personali». Poi c’è «la tutela della salute, cui teniamo in modo particolare» e questa «passa dalle sedie ergonomiche e da molti altri ambiti». Altrettanto «preoccupante» per Isabella è la situazione che concerne «la questione della socialità che viene a perdersi col telelavoro: non siamo contrari a questa modalità, ha molti aspetti positivi, come la conciliabilità lavoro famiglia, ma non dovrebbe diventare l’unico modo di svolgere una professione, sarebbe poco salutare e poco sociale vivere costantemente lontani dai propri colleghi e isolati dal resto della società».

C’è il Codice delle obbligazioni, però...

Il tutto, oggi, non ha una regolamentazione specifica. O meglio, ci sono il Codice delle obbligazioni e la Legge sul Lavoro, trattandosi di questioni di diritto privato. Ciò, riprende Isabella, «comporta che siamo in procinto di avviare le prime vere contrattazioni in questo ambito». Ma senza preoccupazione, almeno per ora: «Da parte nostra c’è fiducia, abbiamo organizzato questo webinar perché la nostra speranza è che non vengano fatti passi falsi da nessuna delle parti. Chiaro, purtroppo ci sarà una piccola parte di persone che approfitterà della situazione… ma ci sarà anche una stragrande maggioranza che rispetterà le norme e che crede a questa forma di lavoro, se ben regolata».

Il problema è che, torniamo sempre lì, una regolamentazione specifica non c’è. «Non esiste un diritto al telelavoro, bisogna accordarsi con il datore di lavoro e stabilire quali sono le condizioni per cui si può lavorare da casa» premette l’avvocato Adriano Alari, relatore del webinar. Soprattutto quando il discorso passa ai costi. Chi li copre? «La legge e la relativa giurisprudenza a oggi non forniscono ancora delle risposte definitive». C’è il Codice delle Obbligazioni, si diceva. Che «regola il tema tramite gli articoli 327 e 327a. Il primo concerne materiale e utensili di lavoro, che in linea di massima dovrebbe mettere a disposizione il datore di lavoro. Per chi lavora da casa, si parla ad esempio di computer, telefono, stampante, scrivania e sedia ergonomica. Questi costi, di principio, dovrebbero essere sostenuti dal datore di lavoro. Il capoverso 2 - continua l’avvocato - recita che se il lavoratore mette a disposizione i propri utensili e materiali deve essere indennizzato, salvo accordo o uso contrario». Tradotto? «Tradotto anche qui può e deve avviarsi una contrattazione tra le parti».

L’articolo 327a, invece, «affronta le spese rese necessarie dall’esecuzione del lavoro: ad esempio elettricità, internet, magari anche l’affitto della stanza dedicata all’attività professionale». Ebbene, che si fa con queste spese? «L’articolo parla precisamente di spese necessarie - afferma Alari -. Ciò porta a un distinguo tra quando il telelavoro è obbligatorio o facoltativo, e giuridicamente la questione è complessa». Un esempio: «Se l’ufficio non è agibile, il telelavoro diverrebbe una scelta obbligata e il datore di lavoro dovrà rifondere i costi sostenuti dal dipendente».

Insomma, il tema è delicato e presenta diverse sfaccettature. Se ne parlerà ancora a lungo. Intanto, «l’informazione e la trasparenza sono un’ottima base di partenza».

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