Ticino

Caro-spaghetti & Co.: l’inflazione tocca anche il Ticino

Resta comunque inferiore rispetto all’Ue, ma alcuni beni di consumo risentono del rialzo globale. C’entrano clima, trasporti, petrolio, pandemia.

(Depositphotos)
17 gennaio 2022
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L’olio, gli spaghetti, addirittura i mobili: nell’ultimo periodo l’inflazione sta diventando un concetto meno astratto, purtroppo, e il balzo dei prezzi comincia a farsi notare anche in Ticino. Niente allarmismi: lo scorso dicembre il carovita si è fermato a un +1,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, molto meno di quanto registrato nel resto d’Europa – in Germania si veleggia già sopra il 5%, in Italia poco lontano dal 4% – e negli Usa che fanno segnare un +7%. Ma i cartellini su alcuni scaffali ormai saltano all’occhio anche qui, e secondo il Tages-Anzeiger per il 2022 si prevedono ad esempio aumenti fino al 15% su molti prodotti a base di cereali, come pane e pasta. Un rincaro che si aggiunge a quello dell’anno precedente sui prodotti non alimentari.

A peggiorare la situazione sono fattori molteplici: la ripresa economica più forte delle attese e l’aumento del consumo di beni fisici – mentre i servizi restano penalizzati da limitazioni e lockdown – ha fatto schizzare il costo dei trasporti internazionali anche del 600%. Lo stesso risveglio della domanda e le incertezze geopolitiche hanno sortito analogo effetto sul mercato dell’energia. Alcune produzioni sono state rallentate dalla pandemia. Poi ci sono i problemi climatici, che hanno limitato la produzione in aree geografiche cruciali per il settore agroalimentare. D’altra parte, il franco forte ha permesso di rallentare il rincaro dei beni d’importazione. Ma cosa dobbiamo aspettarci per l’anno che verrà?

Tra Manitoba e Manno

Partiamo dal cibo. È vero che in Svizzera si consuma molta produzione nazionale, ma intanto «i prezzi di acquisto della semola di grano duro e del caffè, tra gli altri, sono aumentati a causa del cattivo raccolto e dell’aumento della domanda», spiega l’addetto stampa di Coop Luca Corti, responsabile del servizio comunicazione e cultura di Migros: «I cereali subiscono ora gli effetti di un’estate molto secca e calda nella regione canadese del Manitoba, in sostanza il ‘granaio mondiale’, che ha portato a raccolti molto ridotti e a un conseguente aumento dei prezzi», donde il ‘caro-spaghetti’.

A questo – e al già menzionato costo dei trasporti – si aggiunge il fatto che anche «i materiali di imballaggio sono diventati più costosi», così Nabholz. «Carta, cartone e polimeri plastici sono ad esempio meno facilmente reperibili», precisa Corti. Più colpiti restano comunque i prodotti ‘non food’, ovvero diversi dagli alimentari. Proprio questi – in particolare quelli dipendenti da componenti elettroniche e provenienti dall’Asia – hanno subito rialzi e addirittura problemi di rifornimento.

Perfino Ikea ha anticipato listini almeno temporaneamente più salati, determinati dall’aumento di prezzo delle materie prime (per alcuni mesi il prezzo del legno è addirittura triplicato, spinto dalla combinazione tra il lavoro ridotto nelle segherie e un boom mondiale di chi, non potendo spendere soldi altrove, si è messo a rinnovare casa). Il risultato è un aumento medio globale del 9%. «Al prezzo dei nostri prodotti contribuiscono diverse componenti», sottolinea la portavoce Stefanie Brehm: «Questi costi sono rimasti abbastanza costanti fino all’inizio della pandemia e tendenzialmente sono addirittura diminuiti, il che ha avuto un impatto positivo anche sui prezzi di vendita dei nostri prodotti. Tuttavia, da allora diversi costi di produzione sono aumentati perché l’offerta dei fornitori non è stata in grado di tenere il passo con l’aumento della domanda. Questo squilibrio ha anche portato a strozzature nelle forniture e problemi con la disponibilità di alcuni prodotti, che a loro volta hanno avuto un impatto negativo», un effetto a catena che Ikea non potrebbe più assorbire riducendo i margini.

Nonostante tutti questi problemi, una cosa appare certa: non dobbiamo aspettarci scaffali vuoti. Tutti gli attori della grande distribuzione assicurano che la pianificazione degli acquisti a lungo termine permette in linea di principio di soddisfare le esigenze dei consumatori. Diverse catene assicurano che cercheranno di assorbire il più possibile gli aumenti dei prezzi invece di trasferirli sul consumatore finale, monitorando costantemente la situazione insieme ai fornitori.

Sollievo dall’energia

A dare sollievo alle famiglie sarà nel frattempo una posizione fortunata rispetto ai costi dell’energia, con l’utilizzo di fonti rinnovabili nazionali che contribuiscono a contrastare il rincaro generalizzato a livello internazionale (che il mercato del gas sia volatile è una battutaccia, ma è pur vero che gli screzi geopolitici con la Russia hanno avuto conseguenze drastiche per chi, come la Germania, ne dipende per alimentare le sue centrali; in Italia, il Paese dove un tempo si diceva che ‘il metano ti dà una mano’, il rincaro sulla bolletta potrebbe sfiorare il 50%). Invece «le economie domestiche e molte piccole imprese ticinesi possono stare sostanzialmente tranquille, dato che una strategia di approvvigionamenti anticipati a prezzi interessanti e la disponibilità della produzione idroelettrica in loco rende pressoché insignificanti gli aumenti in bolletta: parliamo mediamente di dieci franchi annui per famiglia», osserva Mauro Suà, direttore di Amb. «Diverso il discorso per coloro – grandi consumatori il cui fabbisogno corrisponde a circa il 40% del totale regionale – che hanno un contratto di cosiddetto ‘libero mercato’. Si tratta di soggetti a elevato fabbisogno – dall’hotel di grandi dimensioni alla fonderia – le cui tariffe contrattuali sono ancorate all’andamento del mercato internazionale dell’energia. Non tutti saranno penalizzati allo stesso modo, ma per chi ha contratti a breve termine in scadenza il rischio è di vedere le tariffe addirittura raddoppiate. La ripresa della domanda globale di energia, le tensioni geopolitiche, l’aumento di valore dei certificati di Co2 – che devono essere acquistati dalle centrali europee alimentate a combustibili fossili per autorizzarne l’emissione – contribuiscono a spingere i prezzi verso l’alto».

Un assaggio di questa tendenza, d’altronde, l’abbiamo già avuto nel 2021: «Nell’ultimo anno, a giocare un ruolo preponderante nell’aumento dei prezzi è stato proprio il rincaro dei carburanti fossili», conclude Hans Markus Herren, responsabile del settore prezzi al consumo presso l’Ufficio federale di statistica. «Il risultato è che mentre a inizio 2021 si era partiti con un’inflazione negativa, l’indice dei prezzi ha chiuso dicembre con un aumento dell’1,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. I colli di bottiglia nelle forniture internazionali hanno finora avuto un impatto meno netto. Si tratta di un aumento comunque più limitato che all’estero: questo perché su un livello di prezzi già alto rispetto alla media europea – in ragione di fattori come i più alti salari – il rincaro dei carburanti finisce per avere un impatto proporzionalmente minore». Resta il fatto che questa pandemia continua a spiazzare consumatori e mercati.

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