Ticino

Movimento della Scuola, 'Ridare voce all'insegnante'

I professionisti della formazione ribadiscono la ferma volontà di continuare ad avere parte attiva nelle discussioni relative ai temi legati all'educazione,

2 marzo 2020
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Ridare voce all’insegnante! Lo chiede, in una risoluzione, il Movimento della Scuola, riunitosi di recente in seduta. “Nel corso degli ultimi anni si è andato progressivamente ampliando lo iato che perniciosamente separa il dibattito sulle politiche scolastiche dal vissuto professionale di chi fa scuola dentro le aule e negli istituti. Sulla voce degli insegnanti e dei loro organi di rappresentanza, sul loro apporto propositivo, a volte critico, sembra essere stata posta una sordina, quasi si trattasse di un fastidioso impiccio e non di un indispensabile contributo riflessivo” – si legge in un comunicato – “Riforme e progetti innovativi sono perlopiù elaborati in separata sede e decisi in maniera verticistica; i compromessi operativi sono frutto di equilibri politici e partitici trovati in parlamento senza che il dibattito pedagogico-culturale sia realmente partecipato dagli insegnanti stessi. Così è stato per il progetto denominato “La scuola che verrà”, per la revisione della griglia oraria dei licei, per l’implementazione e la revisione del nuovo Piano di studi della scuola dell’obbligo, per i profili di formazione degli insegnanti, ecc. L’atteggiamento di chiusura è percepibile anche nell’ostinata (e incomprensibile) campagna di delegittimazione delle associazioni magistrali condotta dai vertici del Dipartimento”. Secondo lo stesso Movimento, “a farne le spese è la scuola nel suo complesso. L’estraneazione degli insegnanti dalle politiche scolastiche ha conseguenze esiziali: è mortificata la matrice intellettuale e progettuale della professione, l’insegnamento è progressivamente privato di autorevolezza e prestigio sociale, l’autonomia didattica è piegata a mera operatività. Proprio quando il compito educativo (e il suo statuto istituzionale) necessiterebbe di un rinnovato afflato culturale, le risposte dipartimentali tendono a confinare l’insegnante in una dimensione prettamente didattico-operativa. La dignità dell’impegno formativo esige che all’insegnante venga restituita una voce autorevole, legata al ruolo pedagogico, intellettuale e culturale richiesto alla sua funzione educativa. Ne va della qualità della scuola e della fondamentale funzione critica che i maestri assumono in una società democratica”. Per invertire la rotta, prosegue la nota stampa,  è necessario (e davvero nell’interesse di tutti), che gli insegnanti, i loro collegi, le loro associazioni, i loro sindacati possano avere parte attiva nel dibattito relativo a:

  • -       gli investimenti nella scuola previsti a partire dall’anno 2020/21;
  • -       le condizioni di lavoro degli insegnanti;
  • -       la qualità e le modalità della formazione iniziale offerta dal DFA;
  • -       la diminuita attrattiva della professione docente (e le misure previste per contrastarla);
  • -       la revisione del Piano di studio della scuola dell’obbligo ticinese;
  • -       la riscrittura della griglia oraria dei licei;
  • -       l’annosa questione dell’identità professionale dell’insegnante.

 

Il DECS (e anche la politica) – conclude il comunicato – “dia risposte concrete a queste esigenze, si apra al confronto, comprenda finalmente che la qualità di ogni impegno formativo passa dalla dignità riconosciuta ai maestri”.

 

 

 

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