Ticino

Addio al carbone tedesco, cosa ne sarà della centrale di Aet?

La partecipazione di 35 milioni a Lünen dovrà essere venduta nel 2035, 3 anni prima del possibile spegnimento. Pronini: 'Troppo presto per le valutazioni'

La centrale di Lünen (Foto Ti-Press)
28 gennaio 2019
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La Germania vuole dire addio al carbone. E una delle centrali che potrebbero essere spente entro il 2038 porta anche il logo dell’Azienda elettrica ticinese. È quella di Lünen, già al centro di un acceso dibattito politico una decina di anni fa, quando la partecipazione dell’Aet nel capitale azionario fu al centro di polemiche e di un referendum. Nel 2011 il popolo decise di dare tempo ad Aet fino alla fine del 2035 per sbarazzarsi della partecipazione già acquisita, ma ora – con l’uscita tedesca dal carbone prevista solo tre anni dopo tale termine (e forse anticipata al 2035) – la ricerca di un acquirente potrebbe diventare proibitiva. Se così fosse, al netto di possibili indennizzi da parte del governo tedesco, sarà difficile veder rientrare nelle casse dell’azienda cantonale quei 35 milioni investiti e già ridotti a 15 nel bilancio 2017.

Entrata in servizio a fine 2013 e partecipata da Aet nella misura del 16% in modo da potersi procurare energia di banda ‘in casa’, Lünen è stata progettata per funzionare 40 anni. Fino al 2053 quindi. Potrebbe invece terminare la sua vita poco dopo la mezza età. Ma, nonostante ciò, la nuova politica tedesca potrebbe avere risvolti anche positivi in Ticino, fa notare il direttore dell’Azienda elettrica Roberto Pronini: con lo spegnimento anticipato delle centrali a carbone più vecchie e «con l’abbandono tedesco del nucleare nel 2021, la Germania dovrà probabilmente importare energia dall’estero». A quel punto, il prezzo dell’elettricità salirà e vi sarà sicuramente spazio per quella prodotta attraverso l’idroelettrico, materia di cui Aet dispone in abbondanza. La stessa produzione di Lünen, che attualmente non rende proprio per via dei prezzi bassi dell’elettricità, potrebbe tornare remunerativa. Vi sarebbe, insomma, la possibilità di vedere dei guadagni almeno fino al 2035, quando si dovrà capire quanto rientrerà dell’investimento nella Ruhr. «La proposta della Commissione tedesca non è una sorpresa – commenta comunque Pronini –. Ne abbiamo preso atto ma è prematuro dire davvero come ciò influenzerà l’investimento a Lünen». Mancano intanto dettagli sull’accordo trovato all’interno della Commissione tedesca sul carbone e sui possibili indennizzi che verranno versati ai proprietari delle centrali che saranno spente anzitempo. C’è poi da vedere come verrà considerato il fatto che l’impianto di Lünen alimenti pure il teleriscaldamento della cittadina.

Se l’incognita finanziaria c’è, non ci sarebbero invece problemi per Aet dal punto di vista energetico: «Nel 2035 entrerà in funzione l’impianto ‘Maggia 1’, capace di produrre quanto oggi proviene da Lünen».


La proposta: basta entro il 2038

Niente più carbone per produrre energia a partire dal 2038 in Germania. Forse anche prima, nel 2035. Queste almeno sono le raccomandazioni della task-force tedesca che ha analizzato la questione nell’ottica della lotta ai cambiamenti climatici. Un parere, frutto di mesi di accese discussioni, presentato sabato alla stampa dopo l’accordo raggiunto in giornata tra i 28 membri che siedono nel gremio in rappresentanza delle regioni minerarie, delle aziende di utility e del mondo scientifico e ambientalista. Sebbene la proposta non sia legalmente vincolante, la Commissione è sostenuta da un’ampia maggioranza in parlamento e ci si aspetta che il governo segua le sue raccomandazioni. Nel documento si prevede un percorso di uscita, con una data di scadenza per la produzione di energia elettrica a carbone (anche a tappe), misure per compensare gli operatori delle centrali, supporto alle regioni minerarie e misure per proteggere i consumatori dall’aumento dei prezzi. Soddisfazione moderata dagli ambientalisti. «L’aver fissato questo passo al 2038 non permetterà di mettersi al riparo dai cambiamenti climatici, né di rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi», ha commentato Jennifer Morgan, direttrice esecutiva di Greenpeace International. 

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