Mendrisiotto

Portò il figlio in Egitto senza consenso, pena ridotta

La Corte di appello e revisione penale ha riconosciuto il sincero pentimento a Salah Hassan, condannandolo a 180 aliquote sospese per due anni

La protesta lo scorso dicembre di fronte al Palazzo di giustizia a Lugano
27 giugno 2022
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Pena ridotta in Appello per Salah Hassan, il padre che nel 2015 portò con sé in Egitto il figlio di neanche 6 anni senza il consenso della madre e facendolo sparire dai radar per diversi mesi. La Corte di appello e revisione penale (Carp) di Locarno, presieduta da Giovanna Roggero-Will, gli ha infatti riconosciuto l’attenuante del sincero pentimento, condannandolo così a una pena pecuniaria: 180 aliquote da 30 franchi sospese condizionalmente per due anni. Altrettanto sospesi erano stati anche i sedici mesi di detenzione inflitti invece da Francesca Verda Chiocchetti, presidente della Corte delle Assise correzionali di Mendrisio nel 2020, contro la quale l’uomo ha ricorso.

No al proscioglimento

Una vittoria dunque, ma solo parziale, in quanto la difesa – rappresentata dall’avvocato Stefano Pizzola – aveva chiesto l’esenzione di pena e quindi di fatto il proscioglimento e solo in via subordinata il riconoscimento dell’attenuante del sincero pentimento. Per la Carp tuttavia i presupposti per l’esenzione di pena non sono stati dati. L’articolo 54 del Codice penale prevede infatti che "se l’autore è stato così duramente colpito dalle conseguenze dirette del suo atto che una pena risulterebbe inappropriata, l’autorità competente prescinde dal procedimento penale, dal rinvio a giudizio o dalla punizione". Secondo la Corte locarnese non è questo il caso però: Hassan ha sì sofferto, ma non tanto a causa delle conseguenze dirette dei suoi atti, quanto piuttosto a causa delle conseguenze delle decisioni prese dall’autorità civile che regolava i rapporti fra lui e il bambino.

L’Egitto non ha firmato la Convenzione dell’Aia

Semaforo verde invece per l’attenuante del sincero pentimento. Il motivo? Hassan ha riportato spontaneamente il figlio in Ticino, dato che si è reso conto di quanto fosse importante per il bambino il rapporto anche con la madre. Un gesto non scontato: l’Egitto infatti non ha sottoscritto la Convenzione sugli aspetti civili del rapimento internazionale dei minori del 25 ottobre 1980, meglio nota come Convenzione dell’Aia, che disciplina su scala globale le questioni relative alle sottrazioni di minori fornendo un quadro legale di riferimento. In tale contesto, l’iniziativa individuale è quindi da considerare in maniera positiva. A quest’aspetto, se ne sono aggiunti altri due favorevoli per l’imputato: il fatto che dal suo rientro in Svizzera abbia collaborato attivamente con gli inquirenti e il fatto che da questi fatti, dai quali sono ormai trascorsi diversi anni, non abbia più interessato la giustizia penale.

Vicenda vecchia di sette anni

La vicenda, ricordiamo, risale a sette anni fa. Nel 2015 Hassan portò il piccolo Marwan nel suo Paese d’origine. Lì rimase per poco meno di un anno e per la metà di questo periodo fece perdere le proprie tracce e quelle del bambino, impedendo così alla madre, una svizzera del Mendrisiotto, i contatti col figlio. All’origine del rapimento, oltre ai tesi rapporti con la donna, una malattia dermatologica del bambino. Male, del quale l’imputato non era adeguatamente informato a causa del divorzio litigioso con la compagna, e che lo ha portato in definitiva a partire per l’Egitto per far curare il figlio. Tutto considerato, Pizzola si è battuto per il proscioglimento e in seconda battuta per una pena al massimo di 90 aliquote. Il procuratore pubblico Pablo Fäh invece aveva chiesto in Appello la stessa pena già ipotizzata in primo grado: ventiquattro mesi. Per la pubblica accusa, la reale motivazione della partenza sarebbe stata infatti la volontà di dettare lui stesso le condizioni sul diritto di visita.

Diritti di visita contestati

Proprio questi ultimi sono stati poi la causa scatenante delle manifestazioni di protesta inscenate da Hassan stesso poco prima del Natale 2021 davanti al Palazzo di giustizia a Lugano e all’Arp (Autorità regionale di protezione) di Mendrisio, in quanto aveva subito la revoca dei diritti di visita per un lungo periodo prima e dopo i fatti. E anche la madre del ragazzo, alcuni anni prima, aveva manifestato a sua volta davanti alla Manor di Lugano con la foto del figlio per denunciarne il rapimento. Questioni di carattere civile tuttavia, tuttora aperte. Quelle penali, ricorsi permettendo, sembrano invece chiudere una vicenda che dura da oltre sette anni.

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