Luganese

Lugano, a processo due sospetti ladri d'arte

Chiesti oltre tre anni per l'accusa di essersi appropriati di diverse opere, del valore di quasi mezzo milione di franchi

Il processo si è svolto nell’aula principale di palazzo di Giustizia a Lugano
(Ti-Press)
20 dicembre 2023
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Se ci si invischia in questioni di cui non si è competenti, si corre il rischio di finire in tribunale. Questo concetto, estratto dall’arringa dell’avvocato difensore Felice Dafond, è facilmente applicabile ai due imputati, che secondo il legale hanno mancato di competenze artistiche e amministrative, processati quest’oggi davanti alla Corte delle Assise criminali di Lugano, ma anche, in parte, alle loro presunte vittime. Uno è un 60enne – difeso da Dafond – con residenza in Russia, ma di fatto senza fissa dimora, mentre l’altro è un 65enne – difeso da Francesca Piffaretti-Lanz – residente a Lugano, entrambi cittadini italiani. L’accusa principale nei loro confronti, riguarda la compravendita di opere d'arte del valore complessivo di circa 486mila franchi, avvenuta in particolare tra i due imputati e il proprietario di una galleria d’arte di Morcote, nel frattempo deceduto. Quest’ultimo avrebbe dato loro le opere per rivenderle, ricevendo una caparra come contropartita. Prima si parlava di incompetenza – in questo caso in questioni amministrative –, anche con riferimento alla vittima, in quanto registrava tutte le transazioni a mano e in maniera poco chiara, fatto di cui i due imputati avrebbero tratto vantaggio a seguito della sua morte. Nell’inchiesta, condotta dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli, sono coinvolte anche altre presunte vittime, che sarebbero state raggirate, sempre mediante la compravendita di opere d’arte, per diverse decine di migliaia di franchi. Non paghi, i due imputati – in particolare il 65enne – sono anche rei confessi di aver ottenuto illecitamente degli indennizzi Covid per il valore di 100mila franchi.

Le imputazioni a loro carico sono dunque quelle di appropriazione indebita ripetuta, truffa ripetuta e falsità in documenti. La Corte è presieduta dal giudice Amos Pagnamenta.

Transazioni poco chiare

Dicevamo che gli imputati avrebbero tratto vantaggio dalla poca diligenza del proprietario della galleria. Infatti, quando il figlio di questi, recatosi con il legale di famiglia Marino Di Pietro al loro ufficio, con lo scopo di proseguire la relazione d'affari, viene a sapere dai due sedicenti esperti d'arte, che le opere ricevute dal padre sarebbero state false e che loro stessi sarebbero vittime di un raggiro, dal momento che rischiavano ritorsioni legali a causa dell’assenza di certificati di autenticità. In quel momento non fu nemmeno possibile risalire a quali fossero esattamente le opere incluse nella transazione, dato che il padre non aveva tenuto traccia o rilasciato alcuna ricevuta. Continuando a confidare nella loro buona fede, il figlio garantì di restituire loro il denaro dovuto, a loro dire una somma ingente, una volta rientrato in possesso delle supposte opere false.

Quando in seguito queste vennero richieste, i due imputati dichiararono che le opere erano state vendute a un sedicente avvocato italiano per il valore di circa 300mila franchi, e che necessitavano al più presto delle certificazioni, altrimenti avrebbero richiesto un rimborso di 600mila franchi. A questo punto, Di Pietro avviò una causa penale, che portò all'apertura dell'inchiesta e al conseguente arresto dei due uomini nell'aprile 2023.

Chiesti oltre tre anni di carcere

Nonostante gli imputati abbiano dichiarato in aula di essere pronti a restituire le opere e che si tratti solo di un malinteso, la tesi dell’accusa è che i due uomini abbiano cercato di trarre volutamente in inganno le loro vittime, e tenersi i pezzi d’arte per sé. Borelli ha quindi chiesto una pena di 3 anni e 6 mesi per il 60enne, oltre all’espulsione dalla Svizzera per cinque anni, e 3 anni e 3 mesi per il 65enne. Di Pietro ha chiesto per i suoi patrocinati, la restituzione delle opere (circa 180mila franchi), e il pagamento di un indennizzo di circa 5mila franchi.

Le difese, dal canto loro, hanno portato la tesi della leggerezza e dell’incompetenza dei loro patrocinati. Dafond ha inoltre specificato che, data l’assenza di una chiara documentazione, non è possibile risalire con chiarezza a quanto accaduto, e che non si possa condannare un uomo sulla base di alcune ipotesi accusatorie. Piffaretti-Lanz ha chiesto che la pena per il suo assistito non fosse superiore ai due anni e posta al beneficio della condizionale, e anche Dafond ha richiesto che la pena del suo assistito fosse interamente sospesa.

La sentenza è attesa per domani.

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