Luganese

Lugano, venticinque anni non posson bastare

Il Molino torna in piazza domani per celebrare l’anniversario dell’autogestione, lanciare un podcast e ‘rilanciare il suono della rivolta’

Un momento della manifestazione in città di fine maggio dopo lo sgombero e la demolizione di uno stabile dell’ex Macello (Ti-Press)
11 ottobre 2021
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“Un’idea, un’utopia, una lotta. Migliaia di persone, di iniziative, di eventi politici e culturali. Un quarto di secolo. Attraverso un’occupazione, due sgomberi e tanto dibattito da 25 anni il Molino r-esiste”. Comincia così il comunicato diffuso dal Soa (Strade occupate autogestite) Il Molino per celebrare il 25esimo della nascita dell’esperienza concretizzatasi il 12 ottobre, con occupazione degli ex Molini Bernasconi di Viganello. Da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti. Fino allo sgombero e alla demolizione di uno stabile dell’ex Macello di Lugano, dove l’autogestione aveva preso casa, nel dicembre 2002, attraverso una convenzione siglata con il Municipio di Lugano e il Consiglio di Stato. Domani, in piazza della Riforma a Lugano (ribattezzata della Rivolta), verrà ricordata “l’invasione delle Americhe e lo sterminio dei popoli nativi. Il Soa (Strade occupate autogestite) il Molino torna nelle strade, per riprendersele, per colorarle, per declamarle in versi, per rilanciare il suono della rivolta, della ribellione, dell’incomformità”. E, proprio domani uscirà “Macerie”, il podcast frutto di un progetto collettivo, un racconto a più voci sulla storia dell’autogestione in Ticino: “Un audio-documentario a puntate per riflettere su quello che siamo e su quello che vogliamo diventare, per risalire il fiume del tempo, per socializzare la nostra storia con occhio critico e per costruire narrazioni che possano innescare un conflitto sociale. Gli episodi usciranno di martedì e saranno disponibili sul sito del Molino, verranno trasmessi da diverse radio e portali vicini al movimento e si potranno ascoltare sulle principali piattaforme di podcast”.

Dalla manif all’occupazione di Viganello

Tutto nacque spontaneamente al termine dell’ennesimo corteo indetto da “Realtà antagonista” lungo le strade della città, per rivendicare un centro sociale autogestito al terzo piano dell’ex Termica. Venticinque anni fa, furono parecchi i giovani coinvolti nell’esperienza e provenienti da esperienze simili come “Realtà antagonista”, “Gas”, “Collettivo zapatista”, “Robin Hood”, che, con varie modalità, rivendicarono uno spazio libero e autogestito, una realtà diversa, mossi dalla volontà di un cambiamento del sistema vigente, con i suoi princìpi e le sue certezze. Alcuni partecipanti dopo il corteo, scavalcarono la ramina del Piccadilly ed entrarono nello stabile industriale in disuso da diversi anni. Avrebbe infatti dovuto essere un’azione simbolica, ma l’occupazione continuò fino all’incendio doloso, poco meno di un anno dopo, che costrinse gli autonomi al ‘trasloco’, con il benestare delle autorità cittadine e cantonali, nell’ex grotto al Maglio sul Piano della stampa. Un trasloco che durò fino all’alba del 18 ottobre 2002, quando arrivò lo sgombero a causa del “rifiuto dell’assemblea di mettere fine alle attività musicali”. Passarono poi altri due mesi, e le autorità concessero la metà degli spazi dell’ex Macello. La realtà non venne però mai digerita dal potere politico. Perché? Perché si tratta, si legge nella nota stampa, di “una realtà scomoda, perché induce alla riflessione, ad alzare lo sguardo dall’orizzonte dei propri privilegi, a reagire di fronte alle logiche di sfruttamento, discriminazione, controllo ed esclusione che ci governano. Un’alternativa. Tanti tentativi di repressione. O di ‘inclusione’ nel sistema, come se una mano di bianco potesse rendere la pecora nera uguale alle altre, come se l’omologazione potesse frenare una forza propulsiva”. Il comunicato del Soa parla pure del recente tentativo del Municipio di Lugano che, “nell’incapacità di assumere la responsabilità di uno sgombero e di una distruzione violenta e infame, riprova la carta dello smembramento e della confusione proponendo i fine settimana ‘autogestiti’ al Foce, previo consenso e accettazione delle attività proposte. Quella non è autogestione, ma solo l’ennesima forma di controllo paternalista, di sovradeterminazione statale rispetto alla libera autodeterminazione individuale e collettiva”.

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