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Locarno, la nuova Santa Chiara sul ‘modello’ di Moncucco

Parla l'amministratore delegato Christian Camponovo: “Ritrovare un equilibrio fra costi e ricavi, poi investire”. Apertura (prudente) verso Swiss Medical Network

La Clinica Santa Chiara di Locarno
(Ti-Press)
20 agosto 2021
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Il recupero di un ruolo che la Clinica Santa Chiara ha per tradizione nel contesto sanitario locarnese; la necessità di investire a medio e lungo termine; i focus del futuro; e anche l’apertura a eventuali collaborazioni con Swiss Medical Network, l’antagonista con cui lungamente si è bisticciato fino all’assemblea del 23 luglio, che ha sancito un Consiglio d’amministrazione a esclusiva pertinenza Moncucco. Di tutto questo parla alla ‘Regione’ Christian Camponovo, direttore della Clinica Luganese Moncucco e oggi amministratore delegato (con compiti operativi) della Santa Chiara, nel cui Cda sta lavorando col presidente Donato Cortesi.

Direttor Camponovo, la nuova Santa Chiara ha una stanza di comando decisamente ridotta all’osso…

Il Cda è snello perché ci sono tante decisioni da prendere legate al risanamento finanziario e che non richiedono grosse discussioni. Sull’assetto di medio e lungo termine ci saranno dei cambiamenti, che dipenderanno dalle decisioni degli azionisti. Per il momento in Santa Chiara ci sono chiare priorità e una situazione sufficientemente chiara come gestione e non si vedono impedimenti per portare avanti un progetto di sviluppo, considerato prioritario.

Ha parlato di risanamento finanziario. Cosa avete trovato e come intendete porre rimedio?

Il 2020 è stato per il settore sanitario un anno particolarmente difficile. Ciò vale anche per la Santa Chiara, che ha però avuto la fortuna di essere in una zona in cui era operativo un ospedale Covid come La Carità. Questa separazione dei ruoli ha permesso alla clinica di “approfittare”, se vogliamo, della situazione, gestendo una buona attività che ha comunque subito un calo anche a causa di una maggiore prudenza dei pazienti. Il deficit accumulato a fine anno è stato di circa 2,5 milioni di franchi, ma sarà mitigato dalla decisione presa giovedì scorso dal Consiglio di Stato di riconoscere i costi Covid nella misura del 75% circa. Il disavanzo rimanente è un problema, ma lo sapevamo. Già negli anni precedenti si faceva fatica ad arrivare a pareggio. La nostra base di partenza era il rischio concreto che la clinica fallisse senza nemmeno passare dalla moratoria concordataria. E sarebbe stata una catastrofe.

Segnali dal 2021?

I primi sei mesi sono stati altrettanto negativi e condizionati anche dalle notizie riguardanti il passaggio di proprietà, con tutto ciò che ne è conseguito. Questo ha determinato un’ulteriore riduzione del fatturato, con l’accumulo di altri deficit di una certa importanza. È chiaro che una clinica può sopravvivere se riesce a invertire la rotta: non si può continuare ad accumulare uno o due milioni di deficit all’anno.

Il problema qual è?

Sono sostanzialmente due: costi e ricavi non sono in equilibrio e la clinica non è più in grado di far fronte alle spese; poi c’è la questione della liquidità, consumata in passato per far fronte ai disavanzi. Quello che abbiamo fatto fin da subito è stato immetterne senza porre condizioni, con un credito postergato. Altra liquidità bisognerà iniettarla nel prossimo futuro. Stiamo decidendo come farlo e in che misura. Questo è un passaggio essenziale, così come lo sono pagare i fornitori che sono stati a lungo in attesa e garantire il versamento regolare dei salari. L’altra operazione da fare, e ci stiamo lavorando, è la ricerca di un equilibrio tra costi e ricavi.

Dirlo è un conto, riuscire a farlo un altro.

Qualcosa si può ottenere aumentando i ricavi, e in questo senso qualcosa sta già timidamente muovendosi. Ma dovrà essere presa anche qualche decisione che permetta di contenere i costi, anche se questa non sarà piacevole, ma credo comunque che sia una precisa responsabilità di chi gestisce un’azienda.

Sta parlando di licenziamenti?

Non per forza, anche se degli esuberi ci sono. Il vantaggio è che la Santa Chiara, con i suoi circa 200 dipendenti, può ora appoggiarsi su una realtà più grande come la Clinica Moncucco, che ne conta circa 800. Visto il turnover, esiste una certa possibilità di assorbire eventuali esuberi. Si tratta di trovare soluzioni adeguate, e farlo secondo il “modello Moncucco”, che è quello di investire sulle persone e cercare di mettere ognuno al posto che gli è più confacente.

Il fallimento è oggi un’ipotesi definitivamente scongiurata?

Sì, nella misura in cui è stata messa la liquidità necessaria per dare una continuità. Ma è chiaro che il compito non si è esaurito con quello. Se abbiamo ripreso la Santa Chiara è perché siamo convinti che possa essere ritrovato un equilibrio fra costi e ricavi. Le competenze per riuscirci ci sono sia alla Moncucco, sia qui a Locarno. E c’è la disponibilità finanziaria interna per avere il tempo di pianificare come si deve, a costo di sopportare altri deficit per un paio di centinaia di migliaia di franchi al mese, per alcuni mesi. L’obiettivo per il 2022 è comunque chiudere in pareggio.

Si è arrivati a questo punto a causa di un sovradimensionamento a livello di personale, per una cattiva gestione o per cos’altro?

Fino al 2016 i ricavi equivalevano ai costi o li superavano leggermente. Da lì in poi, la riduzione dell’attività si è tradotta in una diminuzione del fatturato. Quando i ricavi sono diminuiti non si è riusciti a fare altrettanto con i costi. La situazione si è diciamo un po’ estremizzata nel 2020, quando le spese sono aumentate in maniera significativa dal momento in cui – ne va dato atto agli amministratori precedenti – è stato necessario impiegare più personale per gestire la stessa attività. Adesso è necessario ritrovare un equilibrio. Non è facile, ma il vantaggio è poter lavorare sui due istituti.

Quanto pesa il milione e mezzo di franchi prestato da Swiss Medical Network?

Il credito è esigibile ma per il momento non ne è stata richiesta la restituzione. Ne parleremo sicuramente nelle prossime settimane, coinvolgendo chi ha immesso capitali nella Santa Chiara, ovverosia, oltre alla Moncucco, Swiss Medical Network e soprattutto la banca che ha finanziato in passato la clinica.

In questo senso è possibile che Swiss Medical Network raggiunga il suo scopo, ovvero entrare in clinica con ruoli a livello dirigenziale e dal punto di vista operativo?

Sarebbe sbagliato escluderlo. Ma bisognerà sedersi al tavolo in condizioni un po’ più serene di quelle recenti, perché di collaborazione si può discutere solo se ci si libera dai residui del passato. La forma di un’eventuale collaborazione non è chiara né definibile, ma ci sarà la possibilità di valutarla. Lo stesso discorso vale per l’ente pubblico, proprietario della Carità, e ci sono anche le strutture a monte e a valle dell’acuto; penso alla Hildebrand per la riabilitazione, ma anche alla Varini. Il cambio nella gestione potrà, credo, dare uno stimolo per il rilancio di temi che nel tempo si sono un po’ sopiti. Non perché chi è arrivato è più bravo di chi c’era, ma piuttosto perché è più libero da schemi che con il tempo si cristallizzano.

In proiezione cosa cambierà per la Santa Chiara a livello operativo, come attività ospedaliera?

Parlando da ex locarnese prima che da amministratore, spero che per i pazienti della regione la clinica torni a essere così come la si è sempre conosciuta e considerata, ovverosia un punto di riferimento in ambito sanitario. Per chi è nato alla Santa Chiara, il legame è un po’ come un cordone ombelicale che rimane; per gli altri, la clinica era un istituto di fiducia, che è l’elemento cardine su cui si basano i rapporti fra paziente e medico e fra paziente e istituto. Sono valori che vogliamo assolutamente preservare.

Obiettivi a medio e lungo termine?

Ridare alla regione una clinica un po’ più al passo con i tempi, innanzitutto in termini di infrastrutture. È chiaro che quando si è in difficoltà finanziarie le prime cose a cui si rinuncia sono gli investimenti. Di questo siamo consapevoli, ne abbiamo discusso prima dell’acquisto con la maggioranza degli azionisti. Di investimenti a lungo termine bisognerà tornare a farne, perché la clinica ne ha la necessità. Ma potremo agire solo quando ci sarà un progetto dettagliato, per evitare di sprecare risorse. In questo senso dovrà esserci condivisione con i medici che lavorano in clinica in merito a ciò che la Santa Chiara vuol essere fra 15 o 20 anni.

Avete già individuato delle priorità?

La premessa è che in Moncucco abbiamo acquisito una buona esperienza intervenendo una quindicina di anni fa su infrastrutture che erano ben mantenute ma anche datate. La clinica era stata inaugurata nel ’78 e poi era restata più o meno così. Avendo effettuato un risanamento totale dello stabile, sappiamo come muoverci. Importante è avere in mano un concetto globale e sapere quale dev’essere il risultato finale. Una volta definito quello, e stabilito lo standard che si vuole raggiungere, si potrà iniziare a investire, in parte magari in base a delle priorità, ma anche considerando le situazioni contingenti. È chiaro che se parliamo dei reparti di cura, avere oggi delle camere di degenza con il bagno ma senza la doccia non è una situazione a lungo sostenibile. Ma prima di cambiare è necessario capire come farlo, perché abbiamo una struttura in funzione e non possiamo fermarla.

Al di là di questo, avrete già in chiaro su cosa punterà la clinica del futuro.

Sì. In linea generale dovrà tornare a essere un’ottima alternativa all’ospedale pubblico per il Sopraceneri. Questo significa che dovrà continuare a garantire delle buone cure nelle specialità generali come la chirurgia e la medicina interna, dove si concentra il grosso delle attività. Questo è basilare e finalizzato a garantire una risposta a un bisogno del territorio. Poi la Santa Chiara ha una storia e una tradizione nella ginecologia-ostetricia, che sicuramente continuerà a essere un punto di forza. Inoltre, c’è il potenziale per essere nel Sopraceneri un’alternativa privata nell’ambito dell’ortopedia e della chirurgia della colonna vertebrale. Non si tratta di costruire da zero, ma di riprendere qualcosa e ridarle vigore, anche con collaborazioni nel Sottoceneri. Come Moncucco abbiamo tutto l’interesse a collaborare con Santa Chiara in queste specializzazioni, visto che a Lugano non abbiamo né la ginecologia, né la chirurgia della colonna, ma una rete di pazienti che ha anche questo genere di bisogni.

In definitiva, considerando il retaggio del recente passato e le prospettive di rinascita, il lavoro che vi attende è improbo. Rimane una domanda: chi ve l’ha fatto fare?

La domanda ha un senso. A fine 2020 un gruppo di medici della Santa Chiara ci ha chiesto se eravamo interessati a valutare la ripresa della clinica, o eventuali collaborazioni. Essendo una persona curiosa, credo che ogni possibile cambiamento porti delle opportunità. A quella richiesta ho quindi guardato con quegli occhi, anche se ero conscio che c’erano dei problemi preesistenti e che la ripresa, come sempre succede, avrebbe potuto comportare qualche situazione di tensione. In un contesto sanitario in cui le tariffe sono stagnanti o vanno al ribasso, la vita è sempre più difficile per tutti, specialmente se si è piccoli. Trovare quindi altre strutture con cui collaborare e condividere i servizi è qualcosa di positivo.

Un’operazione di interesse, quindi?

Non nell’accezione negativa che le si può dare. Come Clinica Luganese Moncucco abbiamo due fondazioni azioniste che non hanno scopo di lucro, hanno investito una parte importante del loro capitale e si accontentano di una remunerazione che definirei molto moderata e che viene poi investita in altri progetti legati alla loro missione. Poter reinvestire grossa parte degli utili rende più facile replicare questo modello in altre realtà. Siamo a Locarno con la volontà di garantire un servizio di interesse pubblico come quello sanitario, ma, elemento fondamentale, senza avere la pressione di dover massimizzare il profitto.

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