
Il Rex, 51 anni dopo. Ci porta al suo interno Raphaël Brunschwig, vice Direttore operativo e Responsabile Sponsorship del Locarno Festival. È lui l’uomo al quale da settembre 2017 è stato affidato il compito di dominare ‘il mostro’, ovvero il Festival così come descritto dal suo Presidente Marco Solari nell’assemblea annuale svoltasi in aprile. Nei panni di un moderno San Giorgio alle prese con il drago, Brunschwig si è infilato in «un’impresa mastodontica, ma motivante». È lui a condurci in quello che sarà il Gran Rex, pronto ad essere restituito alla collettività e ai ricordi entro la fine di luglio, tirato a lucido per l’inaugurazione del Settantesimo. «Abbiamo voluto mantenere la storicità degli interni, il fascino tipicamente anni sessanta» dice Brunschwig, nell’intento di dare nuova e giusta luce a un elemento della città verso il quale la popolazione «continua a dimostrare affetto». In ordine, dietro una vetrata, stanno le vecchie poltrone, che è possibile acquistare. Quelle nuove, invece, saranno personalizzabili nelle modalità indicate sul sito www.granrex.ch, patrocinando di fatto il rinnovamento in corso. Tutto viaggia nel pieno rispetto di intenzioni e tempi, salvo un aggiornamento – positivamente per eccesso – dei posti a sedere, ora in numero definitivo di 449, considerate le sei postazioni per i portatori di handicap, con accesso pressoché immediato ai servizi igienici e alle uscite d’emergenza, raddoppiate e poste ai lati dello schermo. Nel cantiere ordinato che inizia a svelare il risultato finale, ci sono anche Patricia Boillat ed Elena Gugliuzza di La Boite Visual Art – al lavoro sul Gran Rex insieme ad Alessandro Bonalumi di Pianifica Ingegneri Consulenti – che raccontano quanto sia stato complesso mettere mano a una struttura del 1966 e adattarla alle moderne esigenze tecniche e alla normativa attuale in materia di sicurezza, rispettando però lo spirito iniziale della sala.
«La struttura metallica originaria del Rex - spiega Boillat – è simile a quella di alcune storiche sale anni ‘30, come Parigi, Chicago, Detroit», affascinanti da un lato e decisamente complesse dall’altro. Tra le migliorie apportate e presto visibili c’è l’avvicinamento della platea al palco, una distanza che si ritrova in molte strutture coetanee del Rex, dove il vuoto era concepito come buca dell’orchestra, eventualità che nel caso della sala locarnese è rimasta tale. Uno ‘spunto’ musicale, questo, che nella nuova impostazione potrebbe avere corrispettivi certi: «i 54 metri quadrati del palco in costruzione sono un palco ottimale anche, e non soltanto, per la musica dal vivo» dice Elena Gugliuzza, ricordando come la dotazione tecnica destinata alla riproduzione di ogni tipo di pellicola cinematografica sarà accompagnata da un impianto audio applicabile tanto al cinema quanto ai concerti (la responsabilità complessiva di immagine e suono per il Festival tutto, già affidato a La Boite, si allarga dunque anche al futuro Gran Rex).
Uno sforzo progettuale di grandi dimensioni, quello descritto da Patricia Boillat ed Elena Gugliuzza, reso affascinante dallo svelarsi, strato dopo strato, di tutti gli interventi effettuati dal 1966 in avanti, un percorso a ritroso sino a giungere alle origini. Fino a scoprire, per esempio, che la cabina di proiezione del vecchio Rex – tanto angusta che per gestire il proiettore «serviva una persona magra», ricorda Elena Gugliuzza – ‘sforava’ nell’edificio adiacente. Vezzo della nuova sala di proiezione, ricollocata per interno all’interno della nuova struttura, sarà la finestrella originale, ricordo vivo e un po’ romantico dei tempi che furono, e che – finalmente – saranno.