Grigioni

Test sierologici nel Moesano: tanti positivi tra i sanitari

Il medico cantonale Marina Jamnicki Abegg: "All'inizio misure insufficienti, ma poi abbiamo imparato in fretta". Quasi assenti però gli asintomatici

Ti-Press
5 giugno 2020
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"All'inizio della pandemia nelle istituzioni sanitarie non c'erano sufficienti misure o non sono state attivate con sufficiente rigore". È quanto ha commentato il medico cantonale dei Grigioni Marina Jamnicki Abegg intervenuta a Mesocco per la presentazione dei risultati dello studio effettuato su un campione generico di persone e su un campione di personale sanitario in Mesolcina e Calanca per capire l'incidenza del coronavirus.

In particolare, ha aggiunto Jamnicki Abegg, ciò ha riguardato le case anziani, "particolarmente colpite qui, come in tutto il Cantone, in tutta la Svizzera ma anche in tutto il mondo". In effetti ha ricordato che un terzo dei contagi e la metà dei decessi avvenuti nei Grigioni sono stati registrati proprio all'interno di istituti per anziani. Qualcuno ha sbagliato? "All'inizio non c'era materiale sufficiente e il Cantone ha deciso di dare la precedenza agli ospedali anziché alle case anziani. Inoltre è stato sottovalutato l'utilizzo degli abiti di protezione. Quando però sono state introdotte misure protettive più severe e la quarantena è stata applicata in modo più incisivo il numero di infezioni è diminuito anche nelle case di cura. Abbiamo imparato in fretta a fare meglio e ora siamo ben preparati per una possibile seconda ondata", ha sottolineato.

Emergono dati interessati dai test sierologici effettuati in questa regione grigionese, ovvero che quasi nessuno era asintomatico e la maggior incidenza di contagi è stata rilevata tra il personale sanitario. Come sottolineato dal presidente della Regione Moesa Christian De Tann si è trattato del primo studio a livello federale di questo genere effettuato in una zona rurale, nonché del primo in assoluto nel Canton Grigioni.

Solo un asintomatico

I primi dati che saltano all'occhio sono le percentuali di persone nel cui sangue sono stati rinvenuti gli anticorpi. Sul campione rappresentativo di 427 partecipanti esaminati, per 11 volte il test ha dato esito positivo, ovvero nel 2,6% dei casi, in linea con la percentuale stimata per la Svizzera. Si è trattato di 8 donne e 3 uomini, la maggior parte dei quali sulla quarantina e in ogni caso tutti con un'età compresa tra 36 e 57 anni. Ricordiamo che si tratta di persone che non sono state testate con il tampone per il Covid-19, né sono state ospedalizzate a causa del virus; praticamente tutte però hanno elencato una serie di sintomi riscontrati a marzo o aprile riconducibili in effetti a quelli causati dal Covid-19. Trattasi di febbre, tosse, stanchezza, diarrea, alterazioni dell'olfatto. Solo in un caso la persona ha dichiarato di non aver notato alcun sintomo influenzale.

Quasi il 17% tra gli operatori sanitari

È decisamente più alta per contro la percentuale di positivi tra il personale attivo in ambito sanitario. Su 283 test effettuati (a fronte di 344 persone che lavorano in questo settore nel Moesano), nel sangue di 42 di essi sono stati riscontrati anticorpi specifici, con un'incidenza cioè del 16,9%. A parte alcune risposte ancora mancanti, anche in questo caso i partecipanti ricordano tutti di aver avuto alcuni dei sintomi sopraccitati. Ciò fa trarre la conclusione che "non esiste l'untore asintomatico", come ha dichiarato in conferenza stampa oggi a Mesocco il dottor Franco Muggli. È stato lui a illustrare i dati a rappresentanti politici e ai media presenti, in quanto responsabile del progetto Capitale Salute lanciato nel 2015 allo scopo di monitorare lo stato di salute di circa 500 persone sull'arco di 20 anni. Ed è proprio su questo campione di persone che si è basato il test sierologico, la cui realizzazione si è svolta celermente in meno di un mese e su un gruppo rappresentativo (il Moesano conta circa 8'000 abitanti).

In generale alla luce dei dati raccolti il medico cantonali trae le seguenti conclusioni: "La malattia non è molto diffusa e il rischio di infezione è dunque basso. Ma d'altra parte ciò significa che ci sono poche persone immuni. Bisogna dunque rimanere vigili e rispettare le regole d'igiene e di distanza". 

Domande ancora senza risposta

Se finora il test ha permesso di stabilire quante persone tra quelle testate hanno sviluppato gli anticorpi, rimangono ancora aperte in particolare due domande, come ha sottolineato il dottor Muggli. Ovvero se chi dispone di questi anticorpi non rischia di ammalarsi nuovamente e quanto dura eventualmente quest'immunità. Per cercare di dare delle risposte il test sarà ripetuto tra 6 e 12 mesi a chi è risultato positivo la prima volta.

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