Bellinzonese

Interinali messi alla porta da Lgi perché non vaccinati

Unia trova conferme fra il personale a Sant’Antonino. Cicero: ‘Agire non etico, potremmo attivarci se sollecitati dai lavoratori colpiti’

Dipendenti del centro logistico Lgi di Sant’Antonino
(Ti-Press)

‘Non sei vaccinato o non hai il pass che certifichi la guarigione dal Covid negli ultimi tot mesi? Non ti rinnovo il contratto a termine’. Per la prima volta in Ticino il mondo del lavoro è confrontato con una restrizione volta a incentivare – se la si vuole leggere così – la vaccinazione dei lavoratori. Obbligo imposto in taluni Paesi a determinate categorie di professionisti, ma non in Svizzera. In Ticino a perdere il posto – conferma alla ‘Regione’ il sindacato Unia attivatosi dopo una nostra segnalazione – è stato negli ultimi giorni un imprecisato numero di dipendenti interinali impiegati durante le passate settimane e mesi nei centri logistici del gruppo Luxury Goods International (Lgi) con sede amministrativa a Cadempino e attivo nel settore dello smistamento di beni di lusso a livello mondiale. La struttura più imponente è quella di Sant’Antonino cui si aggiungono i satelliti di Bioggio e Riazzino. Stando a verifiche sindacali la decisione arriva dai vertici del gruppo Lgi Ticino che ha incaricato di agire in tal senso le due agenzie di lavoro temporaneo cui si affida solitamente, in primis la Work and Work di Manno. Ai collaboratori giunti a fine missione viene consegnata una decisione scritta di non rinnovo priva di motivazioni. «Queste – spiega Vincenzo Cicero di Unia – vengono date solo oralmente e si rifanno appunto, stando a quanto ci è stato riferito, alla mancata vaccinazione. Lo confermano più dipendenti vaccinati che si vedono da un giorno all’altro privare di colleghi saltuari sostituiti da altri vaccinati». Peraltro una voce interna, non confermata, indica che i dipendenti fissi non vaccinati o non guariti potrebbero venire concentrati nella sede di Riazzino.


Il sindacalista Unia Vincenzo Cicero (Ti-Press)



«C’è ovviamente una netta differenza fra l’obbligo di Covid-Pass per le attività ricreative e per il lavoro», annota Vincenzo Cicero quando gli chiediamo una valutazione dal profilo legale e sindacale: «Si può scegliere di non andare allo stadio ma non di non andare a lavorare. Il diritto al lavoro va dunque difeso e il datore non può sostituirsi allo Stato nello stabilire l’obbligo vaccinale». Le attuali disposizioni della Confederazione «consentono al datore di richiedere il Covid-Pass a condizione che si assuma il costo dei tamponi ripetuti per i dipendenti non vaccinati. Purtroppo gli interinali sono sottoposti a condizioni peggiorative quali i contratti di breve durata. Il cui mancato rinnovo, essendo a termine, può non essere motivato». Oltralpe alcuni licenziamenti «sono stati impugnati con dei ricorsi. Poiché la giurisprudenza non è al momento sufficientemente solida, è difficile dire – annota Vincenzo Cicero – se il ‘precedente’ ticinese possa a sua volta sfociare in una battaglia giuridica. A nostro avviso l’agire di Lgi viola le direttive federali e non è etico. Potremmo attivarci qualora venissimo sollecitati dai lavoratori colpiti». A quel punto Unia e Ocst, i sindacati di riferimento nel settore logistico, potrebbero coinvolgere la Commissione paritetica degli interinali. Interpellata dalla redazione, Work and Work non ha fatto sapere nulla, mentre Lgi rimanda a un’eventuale presa di posizione a tempo debito.

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